Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22862 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22862 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
Oggetto: accisa
– credito
‘revolving’ –
termine
rimborso
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 8292/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL ) e dall’avv. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL) in forza di procura speciale in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 701/00/2020 depositata in data 18/11/2020 e non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Uditi per la società ricorrente l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso e per l’Agenzia delle Dogane l’avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dell’impugnazione
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava sia la comunicazione di discarico amministrativo contabile per gas naturale uso combustione a decorrere dal marzo 2010 per euro 424.333,89 e a decorrere dal marzo 2011 per euro 70.722,32 con la quale l’Ufficio disconosceva il credito spettante in capo alla contribuente al 31 dicembre 2013 sia l’avviso di pagamento -conseguente a PVC -riferito alla conseguente omissione di versamenti di accisa sul medesimo gas per gli anni 2011, 2012, 2013, sia in ultimo il pedissequo atto di irrogazione delle sanzioni.
In sintesi, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli contestava quindi l’utilizzo del credito in forza di mancata presentazione delle dichiarazioni per gli anni 2009 e 2010, con conseguente rideterminazione del dovuto risultando secondo l’Ufficio preclusa la restituzione dello stesso, non chiesto a rimborso nel termine perentorio di cui all’art. 14 c. 2 del d. Lgs. n. 504 del 1995 (c.d. testo unico accise o TUA).
La CTP rigettava il ricorso; appellava la contribuente.
Con la sentenza qui impugnata il giudice di secondo grado ha confermato la statuizione di primo grado.
Ricorre RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a un solo motivo di ricorso illustrato da memoria ; resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
RAGIONI DELLA DECISIONE
La sola censura dedotta in ricorso da parte della RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione dell’art. 14 e dell’art 26 del d. Lgs. n. 504 del 1995 (c.d. Testo unico accise o TUA) per avere la sentenza di merito erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie tale termine facendolo decorrere dal termine della dichiarazione dell’anno in cui viene determinato il credito iniziale e non a partire da ciascun anno successivo in cui detto credito viene rigenerato sulla base del tributo maturato/liquidato.
Il motivo è infondato.
In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, richiamata in ricorso, in tema di accise sui prodotti energetici, nel corso del rapporto: a) il credito maturato per eccedenza dei versamenti non incorre in alcuna decadenza ove regolarmente riportato nelle
successive dichiarazioni; b) è preclusa, fino alla chiusura del rapporto medesimo, la possibilità di ottenere il rimborso del credito stesso, sicché non può essere accolta la richiesta anticipata di rimborso; c) è consentito, senza che sia rilevabile o eccepibile alcuna decadenza, il trasferimento contabile del credito ad altra posizione gestita dal medesimo contribuente. Allorché il rapporto sia definito, il credito maturato per eccedenza dei versamenti compiuti integra un indebito oggettivo, rispetto al quale la parte può chiedere il rimborso (o il trasferimento contabile del credito) con istanza da presentare entro il termine biennale di decadenza decorrente dall’ultima (e definitiva) dichiarazione di consumo (Cass. 18/06/2018, n. 11813, nonché, da ultimo, in relazione alla medesima contribuente dell’odierno giudizio, Cass. 15/07/2025, n. 19503).
Pacifica, tuttavia, la circostanza relativa alla mancata presentazione di cui si è detto sopra, essa ex se non provoca certo il venir meno del credito precedentemente maturato nel corso del 2008 il quale contribuisce comunque a determinare l’accisa in ultimo effettivamente dovuta o chiesta a rimborso; nondimeno alla luce delle superiori considerazioni, la stessa incide altrettanto sulla decorrenza del termine di decorrenza dell’istanza di rimborso.
Deve infatti ritenersi che la continuità dichiarativa, se non preclude l’esistenza del credito che resta tale in quanto maturato secondo il sopra descritto meccanismo, nondimeno risulta adempimento non meramente formale la cui violazione provoca conseguenze sostanziali sul rapporto tributario.
Dalla complessiva lettura della disciplina e della giurisprudenza della Corte dinanzi descritta, difatti, deriva -come si è illustrato sopra che il contribuente, a fronte di una eccedenza nei versamenti diretti,
può riportare il credito all’annualità successiva o, in alternativa, chiedere il rimborso.
La prima opzione comporta una sostanziale rimessione a nuovo del credito e, quindi, in caso di incapienza dell’imposta rispetto al credito, una nuova alternativa tra riporto all’anno ancora successivo e istanza di rimborso, i cui termini ex art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973 decorrono, in questo caso, non dall’originario versamento ma dal nuovo saldo.
Tale possibilità, tuttavia, è ancorata alla corretta osservanza degli adempimenti imposti dal legislatore per la regolare fruizione del meccanismo di riporto delle eccedenze; in assenza il credito mantiene la sua dimensione originaria e può essere sì richiesto a rimborso, quale seconda opzione prevista per il suo soddisfacimento, ma con termine per l’istanza che decorre dal momento dell’originario versamento.
Né, come si sostiene in controricorso, l’omissione della dichiarazione -qui presentata ‘a zero’ quindi da ritenersi non utilmente presentata ai fini del riporto – configura violazione meramente formale.
Premesso che la dichiarazione, “oltre alle indicazioni occorrenti per l’individuazione della ditta (denominazione, sede, ubicazione dell’officina, codice fiscale e numero della partita I.V.A.), deve contenere tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta” ( così prevede il l’ art. 55, comma 5 TUA anche nel testo antecedente al 2007, non diversamente dalla versione riprodotta e integrata dall’art. 53, comma 8, nel testo novellato nel 2007), al riguardo, questa Corte ha già avuto modo di chiarire (v. Cass., Sez. Trib., 19/04/2023, n. 10418), che, in materia di pagamento dell’accisa, la scadenza dei termini previsti per i versamenti e per il conguaglio è fissata, dall’art. 56, comma 1, TUA, disposizione che regola altresì la compensazione stabilendo, per le accise relative al
gas naturale (art. 26, comma 13, del citato TUA), che le somme eventualmente versate oltre il dovuto sono detratte dai successivi versamenti in acconto, senza che possa essere utilmente invocato dal contribuente un generale diritto potestativo alla compensazione, la cui erronea applicazione, con modalità difforme rispetto al meccanismo prescritto, non integra una violazione meramente formale.
L’ inadempimento, quindi, influisce sul meccanismo di rinnovo anno per anno del credito in argomento, rispondente alla natura dei fatti generativi dell’accisa (vale a dire alla produzione o al consumo dei beni da essa colpiti).
Se infatti le rate mensili di versamento dell’accisa non corrispondono ad autonomi adempimenti di autonomi debiti, bensì a modalità di adempimento di un unico debito, frazionato, appunto, in più rate (in tal senso, Cass. n. 3051/2019 e Cass. n. 3100/2014), laddove in sede di conguaglio gli acconti mensilmente versati risultino maggiori rispetto a quanto effettivamente dovuto, e quindi il credito che ne emerge debba andare a sommarsi con il credito d’imposta relativo all’anno successivo, il saldo creditorio costituisce un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati.
La disposizione di cui all’art. 14 TUA delinea invero un sistema in cui la rinnovazione del credito come di pertinenza della annualità successiva a quella in cui è originariamente insorto è vincolata al puntuale e corretto adempimento degli obblighi di dichiarazione, in mancanza dei quali il credito finisce per cristallizzarsi.
Ne deriva che, se la dichiarazione non è presentata il contribuente può solo chiedere il rimborso del tributo in argomento nel rispetto dei termini previsti che decorrono dall’originario momento di insorgenza del credito (in argomento Cass. n. 4369 del 23/02/2011; v. anche
Cass. n. 4776 del 28/2/2011, che, ai fini della regolarità della dichiarazione successiva e, dunque, della possibilità del riporto ‘a nuovo’ dell’eccedenza, evidenzia la possibilità del ricorso ad una dichiarazione emendativa, con ciò sottolineando la centralità e necessarietà della dichiarazione).
La corretta osservanza degli adempimenti imposti dal legislatore per la regolare fruizione del meccanismo di riporto delle eccedenze include e garantisce la necessità di garantire che il credito mantenga -ove tale adempimento venga meno – la sua dimensione originaria e possa essere sì richiesto pur sempre a rimborso ma con termine per l’istanza che decorre dal momento dell’originario versamento (in argomento Cass. n. 11813/2020 che riporta la giurisprudenza appena sopra citata).
Nel caso in cui il contribuente abbia, invece di chiedere il rimborso, formulato istanza per il trasferimento contabile del credito ad altra posizione contestualmente gestita in forza dell’art. 26 (o 56) TUA, viene in rilievo anche l’art. 6, comma 3, d.M. n. 689 del 12/12/1996, il quale contempla l’ipotesi del ‘rimborso per accredito’ (in corrispondenza a quanto previsto dall’art. 14, comma 4, TUA), con possibilità per l’operatore di trasferire il credito ad altro impianto presso cui opera.
È il caso, di maggiore frequenza, in cui il medesimo operatore svolga la sua attività in diverse province, per cui, a fronte dell’unicità del soggetto d’imposta, sorgono, per le modalità di gestione, separate posizioni contabili (debitorie/creditorie) per le singole ripartizioni territoriali.
Orbene, si deve ritenere che il trasferimento contabile del credito, che riguarda pur sempre il medesimo soggetto e il rapporto complessivo tra esso e l’erario, non sia impedito dall’esser il rapporto ancora in
corso poiché realizza una modalità solo integrativa (quale forma autorizzata di ‘compensazione esterna’ ma pur sempre in una prospettiva di ‘riporto’ dell’eccedenza) del meccanismo operativo previsto dall’art. 26 cit., che non solo non altera la struttura del procedimento ma, anzi, ne determina la razionalizzazione e la sua riconduzione ai parametri previsti dal legislatore.
Ne deriva che la richiesta di trasferimento contabile del credito assume lo stesso rilievo -e resta soggetta alle medesime condizioni e disciplina -del riporto dell’eccedenza alla dichiarazione successiva per lo scomputo dalle rate successive.
Ciò non significa, come sopra già chiarito, che la parte possa, di iniziativa, procedere ad una autonoma compensazione (invocando i principi generali in tema di compensazione od anche l’art. 8 L. n. 212 del 2000) poiché il meccanismo normativo individua la compensazione come riferita alla specifica gestione e dichiarazione annuale di consumo, sicché una modalità di compensazione ‘esterna’ può avvenire solo a fronte di specifica istanza, il cui eventuale diniego è suscettibile di autonoma impugnazione.
È appena il caso di rilevare, infine, che deve essere escluso che la mera indicazione del credito nella dichiarazione annuale di consumo integri, di per sé, (anche) una istanza di rimborso. Infatti, la possibilità -considerata dalla norma come modalità ordinaria di soddisfacimento del credito -di operare la detrazione delle eccedenze dalle rate successive osta a ritenere una tale indicazione come mirata (anche) a chiedere il rimborso.
Da ciò discende che l’istanza con cui si chiede il rimborso (che ha carattere residuale ed eventuale) e quella intesa ad ottenere il trasferimento contabile del credito nel corso del rapporto (diretta a soddisfare le medesime esigenze del meccanismo di detrazione) non
sono tra loro mutualmente rilevanti ma rispondono a criteri e presupposti di fatto separati ed autonomi, per cui l’una non implica l’altra, né viceversa, ben potendo le stesse anche in via alternativa tra di loro – costituire comunque strumenti idonei per consentire al contribuente l’esercizio del diritto al rimborso.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni, il ricorso va quindi rigettato avendo la sentenza impugnata, in sostanza, pronunciato in conformità ai sopra illustrati principi.
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 8.200,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2025.