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Crediti pro solvendo: la Cassazione sulla deducibilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7732/2024, ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la legittimità della deduzione delle svalutazioni su crediti pro solvendo. La Corte ha stabilito che, poiché il rischio di insolvenza del debitore rimane in capo all’impresa cedente, questa ha il diritto di effettuare gli accantonamenti fiscalmente deducibili. La sentenza ha inoltre ritenuto valida la deduzione del costo del lavoro ai fini IRAP per un’azienda operante in regime di appalto pubblico.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità dei Crediti Pro Solvendo: la Cassazione fa Chiarezza

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 7732 del 22 marzo 2024, è intervenuta su una questione di grande rilevanza fiscale: la deducibilità delle svalutazioni relative a crediti pro solvendo. La decisione ribadisce un principio fondamentale: se il rischio di insolvenza del debitore rimane in capo all’impresa che cede il credito, quest’ultima mantiene il diritto di operare gli accantonamenti fiscalmente rilevanti. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione per le aziende che utilizzano la cessione del credito come strumento di gestione finanziaria.

I Fatti del Contenzioso Tributario

Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società di servizi. L’Amministrazione Finanziaria contestava, per l’anno di imposta 2013, due principali rilievi:
1. L’indeducibilità di una quota di ammortamento al fondo svalutazione crediti, poiché relativa a crediti che la società aveva ceduto pro solvendo.
2. L’illegittima deduzione del costo del lavoro dipendente dalla base imponibile dell’IRAP.

La società contribuente aveva impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo grado, presso la Commissione Tributaria Provinciale, sia in appello, davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ha quindi proposto ricorso per cassazione.

L’Analisi della Corte sulla Deducibilità dei Crediti Pro Solvendo

Il primo motivo di ricorso dell’Agenzia si fondava sull’idea che, una volta ceduto il credito, l’impresa cedente non ne fosse più titolare e, di conseguenza, non potesse più dedurre alcuna svalutazione. Secondo la tesi erariale, tale facoltà spetterebbe unicamente al cessionario. La Suprema Corte ha respinto questa argomentazione, giudicandola infondata e richiamando la propria giurisprudenza consolidata.

Il Rischio Residuo sul Cedente è il Fattore Chiave

I giudici hanno chiarito che, nella cessione pro solvendo, il trasferimento del credito è risolutivamente condizionato all’inadempimento del debitore. Questo significa che, a differenza della cessione pro soluto (in cui il rischio passa interamente al cessionario), nella cessione pro solvendo il cedente continua a garantire per la solvenza del debitore. Il rischio economico dell’operazione rimane, quindi, a suo carico esclusivo. È proprio la permanenza di questo rischio a giustificare la deducibilità degli accantonamenti al fondo rischi su crediti. La Corte ha sottolineato che la normativa fiscale esclude la deducibilità solo per i crediti coperti da garanzia assicurativa, non per quelli in cui il rischio di insolvenza rimane in capo al contribuente.

La Questione della Motivazione per Relationem in Ambito IRAP

Con il secondo motivo, l’Agenzia delle Entrate lamentava un difetto di motivazione della sentenza di appello riguardo alla deducibilità del costo del lavoro ai fini IRAP. La Commissione Tributaria Regionale, secondo l’Agenzia, non avrebbe spiegato adeguatamente perché il rapporto tra la società e gli enti pubblici committenti fosse qualificabile come appalto.

Anche questo motivo è stato rigettato. La Cassazione ha ritenuto la motivazione della CTR pienamente sufficiente, in quanto faceva esplicito rinvio a precedenti decisioni rese tra le stesse parti per diverse annualità, oltre che a consolidata giurisprudenza della stessa Corte e del Consiglio di Stato. La motivazione per relationem (cioè per rinvio) a un precedente è legittima quando permette di comprendere il percorso logico-giuridico seguito dal giudice e consente alla parte di esercitare il proprio diritto di impugnazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati. Per quanto riguarda i crediti pro solvendo, la motivazione si centra sul concetto di rischio economico. Finché il cedente è esposto al rischio di inadempimento del debitore originario, ha il diritto di tutelare il proprio bilancio attraverso accantonamenti fiscalmente deducibili. L’operazione di cessione non sposta il rischio, ma solo la titolarità formale del credito, che può essere retrocessa in caso di mancato pagamento. Sul versante IRAP, la Corte ha valorizzato l’economia processuale, confermando che un giudice può motivare la propria decisione richiamando un precedente, specialmente se reso tra le stesse parti, a patto che le ragioni della condivisione di tale precedente siano esplicitate, come avvenuto nel caso di specie.

Le Conclusioni

La sentenza n. 7732/2024 consolida un orientamento favorevole ai contribuenti. Le imprese che cedono crediti con la formula pro solvendo possono continuare a dedurre le relative svalutazioni, a condizione che il rischio di insolvenza resti a loro carico. Questa decisione fornisce certezza giuridica e permette una corretta pianificazione fiscale. Inoltre, conferma la legittimità della motivazione per relationem, un principio importante per la stabilità e la prevedibilità delle decisioni giudiziarie.

È possibile dedurre la svalutazione di crediti che sono stati ceduti pro solvendo?
Sì, la sentenza conferma che è possibile. La deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti si applica anche ai crediti ceduti “pro solvendo” se, e nella misura in cui, il rischio di insolvenza del debitore continua a gravare sul cedente.

Perché la cessione pro solvendo non esclude la deducibilità per l’impresa che cede il credito?
Perché in questo tipo di cessione il cedente garantisce la solvenza del debitore. Il trasferimento del credito è quindi condizionato al buon fine del pagamento. Poiché il rischio economico dell’operazione non viene trasferito definitivamente al cessionario ma rimane in capo al cedente, quest’ultimo ha il diritto di dedurre gli accantonamenti per coprire tale rischio.

Un giudice può motivare una sentenza facendo semplicemente rinvio a un’altra sua precedente decisione?
Sì, la Corte di Cassazione lo ha ritenuto legittimo. Una sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio a un altro precedente dello stesso ufficio, anche se reso tra le stesse parti, in quanto ciò rientra in una logica di economia processuale e di uniformità decisionale. È necessario, però, che il giudice espliciti le ragioni della condivisione del precedente richiamato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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