Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12016 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12016 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 33/2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOMECOGNOMENOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2713/2019 della Commissione tributaria regionale della Sicilia-sezione staccata di Siracusa, depositata il 6 maggio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1° aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’8 settembre 2009 l’Amministrazione finanziaria notificò a RAGIONE_SOCIALE l’atto n. CODICE_FISCALE, emesso ai sensi dell’art. 1, comma 421, della l. n. 311/2004 per il recupero di crediti d’imposta fruiti negli anni 2002, 2003 e 2004, oltre a interessi e sanzioni.
La società impugnò l’atto innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, che accolse il ricorso limitatamente ai primi due recuperi, rilevando che l’Ufficio era decaduto dalla potestà impositiva.
La sentenza fu oggetto di separati appelli della contribuente e dell’Amministrazione innanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Siracusa.
I giudici regionali, riuniti gli appelli, accolsero quello erariale e respinsero quello della contribuente.
Osservarono in particolare, e quanto all’appello dell’A genzia delle entrate, che alla fattispecie doveva applicarsi il termine di decadenza ‘raddoppiato’ di cui all’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185/2008, conv. nella l. n. 2/2009, che nella specie non era perento.
Quanto, poi, all’appello di RAGIONE_SOCIALE ritennero irrilevante la circostanza che, medio tempore , fosse stata annullata la cartella esattoriale emessa sulla base dell’atto di recupero, in quanto ciò era dipeso dal parziale accoglimento del ricorso della contribuente in primo grado; del pari, non attribuirono alcun rilievo al fatto che l’atto
medesimo costituisse il ‘duplicato’ di altro atto, recante numero RJYCRTB01077, precedentemente emesso per gli anni 2002 e 2003 e poi annullato all’esito di un precedente giudizio, poiché detto annullamento dipendeva da ragioni meramente procedurali e, dunque, non ostava a un nuovo esercizio della potestà impositiva.
La sentenza d’appello è stata impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ.
La ricorrente assume che i giudici d’appello avrebbero dovuto rilevare l’esistenza di un giudicato formatosi sull’atto di recupero impugnato in questa sede, avendo essa dedotto, innanzi a loro, che nel frattempo erano intervenute tre sentenze della C.T.P. di Siracusa divenute definitive, e segnatamente:
(a) la sentenza n. 174/2007, con la quale era stato annullato il precedente atto di recupero n. CODICE_FISCALE relativo agli anni 2002 e 2003, per inosservanza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000;
(b) la sentenza n. 175/2007, che aveva annullato la cartella di pagamento emessa a seguito di tale atto di recupero;
(c) la sentenza n. 789/2018, che aveva annullato la cartella di pagamento emessa a seguito dell’avviso impugnato in questa sede, dopo il suo parziale annullamento per effetto della sentenza di primo grado.
Secondo la ricorrente, in particolare, i giudici d’appello avrebbero errato nel ritenere che l’annullamento del primo atto di recupero, in quanto pronunziato « per motivi procedurali », non ostava a un nuovo
esercizio della potestà impositiva da parte dell’Ufficio, poiché « il giudicato copre il dedotto e il deducibile ».
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 24, 53 e 97 Cost., nonché degli artt. 2964 cod. civ., 43 del d.P.R. n. 600/1973, 11 prel., 3 e 10 della l. n. 212/2000.
La censura inerisce alla pronunzia sulla decadenza, che la ricorrente assume errata laddove ha ritenuto applicabile all’atto impugnato la disciplina speciale recata dall’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185/2008, che stabilisce, per l’esercizio della potestà impositiva in materia di recupero di crediti inesistenti , il termine dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, in luogo del quarto anno, stabilito in via generale dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973.
La ricorrente osserva che la disposizione in questione -entrata in vigore il 29 novembre 2008, quando l’Amministrazione aveva già consumato la potestà impositiva per gli anni 2002 e 2003 -non può applicarsi retroattivamente, così come opinato dalla C.T.R., trattandosi di norma di diritto sostanziale, e sottolinea che una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con i diversi principii costituzionali evocati in rubrica.
I due motivi appaiono connessi per le ragioni che si esporranno; essi, pertanto, vanno scrutinati congiuntamente.
3.1. In ordine alla possibile esistenza di un giudicato, va anzitutto osservato che non assume alcun rilievo l’intervenuto annullamento, in sede giudiziale, delle cartelle emesse in seguito alla notifica degli atti di recupero.
Si tratta, infatti e all’evidenza, di atti consequenziali, intrinsecamente improduttivi di effetti sull’atto presupposto.
È invece rilevante la pronunzia inerente al primo avviso, del quale l’atto oggetto del presente giudizio costituisce parziale duplicazione, concernendo gli stessi periodi d’imposta che da quello erano interessati (2002 e 2003), oltre all’anno successivo.
3.2. Sul punto, tuttavia, la tesi della ricorrente trascura di confrontarsi con l’orientamento consolidato di questa Corte.
È stato da tempo affermato, infatti, che «in caso di annullamento dell’avviso di accertamento da parte del giudice del merito, l’amministrazione finanziaria, se non siano maturate decadenze o prescrizioni e non vi sia violazione del giudicato, può emettere per il medesimo periodo di imposta un nuovo atto impositivo, purché nel rispetto del divieto di plurime imposizioni di cui all’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dunque previo annullamento, nell’esercizio del potere di autotutela, di quello precedente» (così, fra le altre, Cass. n. 27874/2021; Cass. n. 27091/2019; Cass. n. 15557/2010; Cass. n. 24620/2006).
Nel caso di specie, l’amministrazione finanziaria ha emesso un nuovo atto di recupero successivamente all’annullamento giudiziale definitivo del precedente atto, che era risultato viziato per una ragione di ordine formale, ravvisata, come si è detto, nel mancato rispetto del termine di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000.
Si tratta, allora di verificare se sussistano i requisiti indicati per l’emissione di nuovo atto impositivo .
3.3. In tal senso, si può osservare che il nuovo atto di recupero non ha costituito un bis in idem , né ha contravvenuto al giudicato di annullamento, al quale, semmai, si è conformato; inoltre, e proprio per l ‘ avvenuta pregressa eliminazione dell’avviso viziato, esso non ha comportato alcuna duplicazione di prelievo, effettiva o anche solo potenziale.
Resta allora il requisito del rispetto del termine decadenziale di legge, oggetto del secondo mezzo di ricorso.
3.4. L’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185/2008, conv. nella l. n. 2/2009, dispone: «Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall’articolo 10quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo».
Nel medesimo intervento normativo sono regolati anche gli effetti temporali di tale previsione.
Il comma 17 dello stesso articolo prevede, infatti, che la disposizione di cui al comma 16 si applichi «a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato nel quale sono indicati crediti inesistenti utilizzati in compensazione in anni con riferimento ai quali alla data di entrata in vigore della presente legge siano ancora pendenti i termini di cui al primo comma dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».
Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 34419/2023, hanno poi precisato che il termine di otto anni si applica quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza -anche alla luce dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del
1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 -allorché lo stesso risulti, in tutto o in parte, essere frutto di una artificiosa rappresentazione, ovvero sia carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge, ovvero, ancora, sia sorto ma già estinto al momento del suo utilizzo.
Occorre, inoltre, che l’ inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; pertanto, ove sussista il primo requisito ma l ‘ inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento.
3.5. Era, pertanto, con riguardo alla richiamata previsione, per come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte, che andava verificato il rispetto del termine per la notifica dell ‘ avviso di recupero relativamente ai crediti di imposta utilizzati in compensazione per gli anni 2002, 2003 e 2004.
A tale criterio non risulta improntata la sentenza d’appello, che ha ritenuto l’intero recupero triennale indistintamente soggetto al termine di otto anni previsto dal comma 16, senza svolgere alcuna verifica nell’ottica indicata .
Sotto tale profilo, pertanto, la censura è meritevole di accoglimento.
In conclusione, va respinto il primo motivo di ricorso, mentre il secondo motivo, fondato per quanto di ragione, va accolto.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice a quo il quale, decidendo in diversa composizione, si conformerà al principio indicato e provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia-sezione staccata di Siracusa, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 1° aprile 2025.