Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28929 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28929 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
Oggetto: Ires e Iva -accertamento -controllo formale RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni -sanzioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8779/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE dello RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è domiciliata in RomaINDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l’amministratore unico, sig. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO e dall’ AVV_NOTAIO , con domicilio eletto presso lo studio della dott.ssa NOME COGNOME NOME in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 322/32/17 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 13/1/2017.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 16 ottobre 2025 dal consigliere NOME COGNOME .
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE impugnò dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE la cartella di pagamento con cui l’Ufficio, a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. 600/1073, aveva recuperato le imposte IRES e IVA dovute per l’anno d’imposta 2011 nonché le relative sanzioni.
Il Giudice di prime cure accolse il ricorso limitatamente alle sanzioni irrogate per il mancato pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte, ritenendo che dagli atti di causa emergesse la non colpevolezza del contribuente, essendo stato questi vittima di un raggiro del proprio consulente fiscale.
La Commissione Tributaria Regionale di RAGIONE_SOCIALE, investita dell’appello principale dell’RAGIONE_SOCIALE e dell’appello incidentale del contribuente, rigettò il primo e accolse il secondo, rilevando che i tributi dovuti dalla società per il periodo di imposta 2011 erano già stati corrisposti e i debiti iscritti a ruolo già pagati allorquando venne
presentato il modello F24 con il quale venivano dedotti in compensazione crediti verso l’amministrazione finanziaria in realtà completamente inesistenti, con la conseguenza che la deduzione dei crediti d’imposta inesistenti risultava del tutto neutra rispetto agli obblighi tributari già assolti in precedenza.
Avverso tale pronuncia l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a due motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che:
Va anzitutto esaminata la preliminare eccezione di difetto di integrità del contraddittorio sollevata dalla società controricorrente rispetto alla posizione dell’RAGIONE_SOCIALE della riscossione RAGIONE_SOCIALE, soggetto che ha partecipato al processo in entrambi i gradi di merito ma che non risulta chiamato in giudizio davanti a questa Corte. A parere della RAGIONE_SOCIALE, nei confronti dell’Agente della riscossione, litisconsorte necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c., dovrebbe disporsi l’integrazione del contraddittorio in applicazione dell’art. 331 c.p.c.
1.1. L’eccezione è infondata.
È pacifico che la società contribuente abbia originariamente impugnato la cartella di pagamento -emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36bis d.P.R. 600/1073 e perciò costituente essa stessa atto impositivo -per ragioni esclusivamente legate alla fondatezza sostanziale della pretesa impositiva (insussistenza del debito tributario a prescindere dalla deduzione in compensazione di crediti fiscali inesistenti).
In controversie di questo tipo, che cioè non involgono esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, ferma restando la legittimazione passiva, per così dire ‘naturale’, dell’ente impositore siccome titolare del diritto di credito controverso, sussiste altresì una generale legittimazione
passiva dell’esattore quale soggetto incaricato della riscossione RAGIONE_SOCIALE somme della cui debenza si controverte (Cass. n. 2570 del 2017).
A tale conseguenza si giunge sulla base del disposto dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, a mente del quale « Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde RAGIONE_SOCIALE conseguenze della lite »: se l’azione del contribuente è svolta direttamente nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (v. Cass. n. 21222 del 2006); se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito. In ogni caso, l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio.
L’enunciato principio di responsabilità esclude che il giudice debba ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non sussiste tra ente creditore e concessionario una fattispecie di litisconsorzio necessario, anche in ragione dell’estraneità del contribuente al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e l’ente impositore (Cass., sez. un., n. 16412 del 2007; Cass, n. 30792 del 2024; nello stesso senso Cass., sez. un., n. 11676 del 2024 che, pur pronunciandosi sulla diversa ipotesi di mancata citazione in appello di una parte che ha partecipato al giudizio di primo grado, ha affermato un principio di portata generale, senz’altro valevole anche nel caso in esame).
In definitiva, l’azione « può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore » (così la già citata Cass., sez. un., n. 16412 del 2007).
Nel caso in esame, la mancata evocazione dinanzi a questa Corte dell’RAGIONE_SOCIALE della riscossione, che pure ha partecipato ad entrambi i gradi del giudizio di merito, non impone, per quanto detto, l’integrazione del contraddittorio (in termini anche Cass. n. 29191 del 2017).
Con il primo motivo la ricorrente deduce l ‘ «omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.», per non avere la sentenza gravata «sufficientemente riscontrato le difese nonché gli atti di causa, da cui non risulta né che la società abbia effettivamente versato il tributo dovuto per l’anno d’imposta 2011, né che non vi era alcun debito fiscale pregresso». Secondo l’RAGIONE_SOCIALE fiscale gli elementi probatori offerti in giudizio non davano alcuna certezza del versamento RAGIONE_SOCIALE imposte dovute per l’anno 2011, mentre, al contrario, dagli stessi emergeva l’esistenza di debiti pregressi, non certo elisi dal provvedimento di sgravio invocato dalla società contribuente, essendo tale sgravio soltanto parziale: queste circostanze, se riscontrate, esaminate e valutate dal giudice di merito, avrebbero indotto quest’ultimo a respingere il gravame della parte contribuente e a ritenere valido e legittimo l’atto impugnato.
2.1. Il motivo è infondato e va rigettato.
La circostanza che nessuna argomentazione è rinvenibile nella sentenza impugnata in ordine ai singoli documenti prodotti dalle parti, non è di per sé indicativa che quelli ed i fatti dagli stessi emergenti non siano stati oggetto di valutazione da parte dei giudici di appello.
E ciò si desume dal principio giurisprudenziale secondo cui «la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma» (Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34476).
La sentenza impugnata dà espressamente conto di aver valutato gli elementi documentali prodotti dalle parti e di essere giunta, sulla base di tale esame, ad escludere la sussistenza di debiti tributari a carico della società contribuente. La sentenza così si pronuncia sul punto: « Dalla documentazione versati in atti da entrambe le parti e dalle stesse proposizioni difensive dell’RAGIONE_SOCIALE, infatti, si evidenzia che per il periodo di imposta 2011 la società aveva regolarmente corrisposto i tributi dovuti e che i debiti iscritti a ruolo erano già stati pagati quando veniva presentato il modello F24 con il quale venivano dedotti in compensazione crediti verso l’Amministrazione Finanziaria in realtà completamente inesistenti ».
A fronte di tale valutazione del compendio probatorio operata dal giudice di merito, deve escludersi la sussistenza del denunciato vizio di omesso esame, e ciò a prescindere da ogni considerazione in ordine al grado di
completezza della motivazione adottata dal Giudice d’appell o, profilo che non ha formato oggetto di specifica censura.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce «violazione e falsa applicazione dell’art. 36bis DPR n. 600/73, dell’art. 31 del D.L. n. 78/2010 conv. L. 122/2010 e dell’art. 31 dpr N. 602/73, oltre che dell’art. 6 comma 3 del D.Lgs n. 472/97 in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.». Secondo la prospettazione della ricorrente, la Commissione tributaria regionale di RAGIONE_SOCIALE, nell’affermare il carattere neutro della dedotta compensazione di crediti fiscali inesistenti, avrebbe violato le citate norme di legge dettate in tema di compensazione, attesa la presenza di tributi pregressi cui era stato imputato il pagamento in compensazione: ne deriverebbe la piena legittimità dell’atto impugnato, anche per ciò che concerne le sanzioni, a nulla rilevando il fatto colposo del consulente fiscale, i cui effetti, a differenza di quanto sostenuto dal Giudice di secondo grado, non possono che ricadere nella sfera giuridica del contribuente delegante.
3.1. Il motivo, che a ben vedere si articola in una pluralità di censure, è inammissibile per più ordini di ragioni.
3.1.1. Questa Corte (v. Cass. n. 24298 del 2017ì6: Id. n. 23745 del 2020) è ferma nel ritenere che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione RAGIONE_SOCIALE norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione RAGIONE_SOCIALE stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi,
inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione RAGIONE_SOCIALE singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica RAGIONE_SOCIALE soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. 23233 del 2022).
L’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, nel formulare il motivo ora in esame, ha omesso di indicare quali sarebbero le affermazioni di diritto contenute nella sentenza impugnata che si porrebbero in contrasto con le invocate norme di legge, ma ha piuttosto lamentato, sostanzialmente reiterando una doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso, la mancata valutazione, da parte del giudice d’appello, della sussistenza in capo alla società di un’esposizione debitoria per gli anni pregressi al 2011.
3.1.2. Quanto appena rilevato fa emergere, poi, un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo. Come già dianzi esposto, la Commissione tributaria regionale, nel ritenere il carattere neutro della deduzione in compensazione di crediti di imposta inesistenti, ha centrato la sua decisione sul fatto che i debiti iscritti a ruolo erano già stati pagati quando venne presentato il modello F24 con cui venivano dedotti in compensazione i detti crediti. Tale ratio decidendi non risulta scalfita dal mezzo di impugnazione il quale, sotto tale profilo, tende a operare un’inammissibile rivisitazione dell’accertamento in fatto compiuto dal Giudice di merito.
3.1.3. Le censure della ricorrente in merito alla mancanza di rilevanza del fatto colposo del terzo ai fini dell’applicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni a carico del contribuente sono assorbite dalle considerazioni che precedono: l’applicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni irrogate nell’atto impugnato è infatti esclusa
in conseguenza dell’accertata insussistenza della pretesa tributaria, e non già per l’imputabilità della violazione al comportamento del consulente fiscale.
Concludendo, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge, spese da distrarsi in favore dei difensori antistatari della controricorrente, AVV_NOTAIOti AVV_NOTAIO e NOME COGNOME .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 ottobre 2025
Il Presidente
NOME COGNOME