Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16480 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16480 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
Oggetto: Art. 102, comma 4, d.P.R. 917/1986 – Costo non ammortizzato di immobile demolito – Deducibilità Art. 96 d.P.R. 917/1986 – Interessi passivi * Principio di diritto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31192/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentate e difese, in virtù di procure speciali in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del difensore;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, n. 2332/09/2019, depositata il 15 marzo 2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo.
Udito per le ricorrenti l’ Avv. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale condotta dall’Agenzia delle entrate veniva contestata alla RAGIONE_SOCIALE l’illegittima deduzione, da un lato, del costo fiscale residuo, non completamente ammortizzato, del capannone principale del complesso immobiliare ‘RAGIONE_SOCIALE sito nel comune di Milano, dall’altro, di oneri finanziari del gruppo, in violazione, rispettivamente degli artt. 107, comma 4, e 96, commi 1, 2 e 3, del t.u.i.r..
L’Agenzia notificava, quindi, alla detta società, in qualità di consolidata, ed alla RAGIONE_SOCIALE in qualità di consolidante, l’avviso di accertamento n. TF90E0105663, con il quale determinava, nei confronti della prima, per l’anno di imposta 2013, maggiori IRES ed IRAP.
Le società ricorrevano alla Commissione tributaria provinciale di Salerno, premettendo, in punto di fatto, che la demolizione del capannone principale si inseriva nel più ampio progetto di riqualificazione dell’intero complesso immobiliare, da assegnare alla società consolidante; in punto di diritto, ritenevano l’eliminazione de l capannone deducibile dal reddito di impresa ex art. 102, comma 4, t.u.i.r., sussistendone tutti i presupposti, ed insussistente, con riferimento al secondo rilievo, la violazione d ell’art. 96 t.u.i.r..
La CTP di Salerno respingeva il ricorso, ritenendo inapplicabile l’art. 102, comma 4, t.u.i.r., ‘non essendo avvenuta alcuna eliminazione dal processo produttivo del bene’ e corretto l’inserimento degli interessi passivi infragruppo nel calcolo del reddito.
Le contribuenti proponevano gravame innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno.
La CTR rigettava l’impugnazione : da un lato, riteneva che la società, non avendo proceduto alla eliminazione (contabile e materiale) del cespite (integrante un bene composto, costituito dal capannone e da altri due edifici), non poteva dedurre il costo residuo da ammortizzare ex art. 102, comma 4, t.u.i.r., né la svalutazione riferibile all’intero complesso poteva costituire un accantonamento deducibile, anche se iscritta in apposito fondo, ex art. 107 t.u.i.r.. Dall’altro, con riferimento alla violazione d ell’art. 96 t.u.i.r., rilevava che l’appellante, pur avendo allegato i mastri, non aveva ‘formulato alcuna riconciliazione delle voci del mastro e quanto accertato dall’AdE e quelli indicati nel Bilancio di esercizio’ (pag. 4 della sentenza).
Le contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Ufficio resiste con controricorso.
Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona della dott.ssa NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
L ‘Ufficio e le ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ. rispettivamente in date 05/05/2025 e 09/05/2025. Le ricorrenti hanno depositato altra memoria ex art. 378 cod. proc. civ. in data 12/05/2025.
All’udienza pubblica del 23/05/2025 il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo; l’ avvocati delle ricorrenti ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevato che le parti hanno depositato le seguenti memorie:
-in data 27/02/2025 l’ADE;
-in data 05/05/2025 l’ADE (memoria sulle conclusioni del PG);
-in data 09/05/2025 le ricorrenti;
-in data 12/05/2025 le ricorrenti (memoria in risposta alla memoria depositata dall’Avvocatura dello Stato sulle conclusioni del PG).
Ora, le seconde memorie, depositate rispettivamente da ADE il 05/05/2025 e dalle ricorrenti il 12/05/2025, sono inammissibili e del loro contenuto non può tenersi conto ai fini della decisione.
Invero, qualora la trattazione del giudizio di legittimità si dipani attraverso la fissazione di una pubblica udienza, l’art. 378 cod. proc. civ. consente alle parti di depositare, non oltre cinque giorni prima della udienza, «memorie», aventi tenore illustrativo di censure ed argomentazioni già svolte negli atti introduttivi del processo (con esclusione, così, della deduzione di nuove ragioni di impugnazione) e funzione preparatoria della celebrazione della pubblica udienza, a mo’ di puntuazione delle ques tioni su cui si intende centrare la discussione innanzi il Collegio.
Diversamente dagli scritti difensivi conclusionali del giudizio di merito, le memorie ex art. 378 cod. proc. civ. non mirano alla definitiva chiarificazione delle posizioni dei contraddittori, da realizzare mercé un ulteriore scambio di atti e rispettive repliche, ma sono propedeutiche all’utile svolgimento del momento processuale finale, partecipato oralmente dai litiganti ed anche dal Pubblico Ministero: e a tale momento, ovvero alla pubblica udienza, è esclusivamente riservata la facoltà delle parti di replicare alle deduzioni e argomentazioni formulate nella memoria avversaria. Tanto è reso, del resto, evidente dalla lettera della norma processuale, che fissa un unitario termine a tutte le parti e non anche un sistema di termini, né sfalsati, né successivi, all’una ed all’altra di queste.
Va pertanto ribadito il seguente principio di diritto: «nel giudizio di cassazione svolto con trattazione del ricorso in pubblica
udienza, è inammissibile una seconda memoria, tanto più se con funzione di replica alla memoria della controparte, per essere riservata alla discussione orale la possibilità di controbattere alle argomentazioni illustrate nella memoria avversaria» (Cass. 17/05/2024, n. 13873).
2. Con il primo motivo le contribuenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la «illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 102, comma 4 del Tuir e 83 del Tuir, nonché dell’art. 2426, comma 1, n. 3 c.c.». Sostengono che, pacifica la demolizione del capannone principale e la sua eliminazione dal processo produttivo, avevano rappresentato tale accadimento nel bilancio di esercizio, in conformità all’art. 2426, comma 1, n. 3, cod. civ., ed al principio contabile n. 16 (OIC). Secondo tali disposizioni, infatti, l’eliminazione del cespite dai beni strumentali indicati in bilancio conduce ad una elisione del relativo valore che si opera mediante una ‘svalutazione’ del valore stesso, mentre il residuo costo non ancora ammortizzato va imputato al conto economico.
L’art. 102 t.u.i.r. prevede, in tale ipotesi, la deducibilità del costo residuo del bene non ancora ammortizzato, nell’anno di imposta in cui ha luogo l’eliminazione (non necessariamente fisica) di esso dal processo produttivo (comma 4). La norma ‘attribuisce rilevanza esclusivamente alla materiale espunzione del bene dal processo produttivo, debitamente riflessa nelle scritture contabili del contribuente’ (pag. 12 del ricorso).
Di contro, l’interpretazione avallata d alla CTR (e fondata su un ‘incomprensibile concetto di ‘bene composto”), secondo la quale essendo stato il capannone registrato in contabilità insieme ad altri beni (il terreno sul quale insisteva ed altri due edifici) la deduzione sarebbe stata possibile solo in caso di dismissi one dell’intero complesso, comporterebbe una illegittima limitazione dell’ambito di applicazione della citata norma, che non richiede affatto che il bene estromesso dal ciclo produttivo, ai fini della deduzione in esame, non
debba essere stato precedentemente iscritto in contabilità insieme ad altri.
Il motivo è fondato.
2.1. L’art. 102 del t.u.i.r., rubricato ‘ammortamento dei beni materiali’, prevede, al comma 4, che «in caso di eliminazione di beni non ancora completamente ammortizzati dal complesso produttivo, il costo residuo è ammesso in deduzione».
La CTR ha ritenuto non applicabile nella specie la detta norma in quanto ha ritenuto il capannone demolito (ed eliminato dal ciclo produttivo) quale bene facente parte di un cespite più grande, ‘composto’ anche dagli altri due edifici, asserviti al capanno ne e, perciò, non suscettibili di autonoma utilizzazione; ha, quindi, inferito che solo nell’ipotesi in cui fosse stato demolito l’intero ‘bene composto’ (cioè nell’ipotesi in cui fossero stati demoliti anche gli altri due edifici) la società avrebbe potuto dedurre il residuo costo da ammortizzare.
La tesi non può essere condivisa.
La norma, sotto il profilo letterale, è chiara nell’ancorare la deducibilità del costo residuo di un bene alla sola eliminazione dello stesso dal complesso produttivo; non contiene alcun riferimento ad eventuali relazioni di fatto (interdipendenza, accessorietà, ecc.) del bene eliminato con altri beni aziendali; è chiaro che, come osservato dal Sostituto procuratore generale, se i beni siano naturalisticamente uniti in un unicum , tale da impedire l’eliminazione del singolo bene dal ciclo produttivo, la norma può trovare applicazione solo nel caso in cui tutti i beni siano eliminati.
Ma nella specie non ricorre tale ipotesi, atteso che il capannone principale fu distrutto senza recare nocumento agli altri due edifici costruiti sul medesimo terreno (circostanza non contestata dall’Ufficio); di qui, la incontestabile autonomia (anche di fruizione) degli stessi, ciò che comporta l’applicazione della norma in commento.
2.2. La CTR, ritenendo che nella specie il costo residuo potesse essere dedotto solo nel caso in cui tutti i beni fossero stati demoliti, non ha fatto corretta applicazione della norma in scrutinio; la CTR è, poi, giunta a tale conclusione senza analizzare il rapporto funzionale e giuridico tra il capannone ed il terreno, e tra il capannone e gli altri edifici; nemmeno argomenta l’unicità del ‘bene composto’ dalla eventuale unitarietà del costo in sede di ammortamento.
2 .3. In termini giuridici militano a favore dell’interpretazione fornita dalle ricorrenti: a) la prassi dell’Agenzia delle entrate, che ha considerato rilevanti ai fini della deducibilità per intero del residuo costo non ammortizzato, le ipotesi in cui un bene divenga inutilizzabile (R.M. 10/10/1975, n. 2/1963), venga distrutto (C.M. 29/09/1988, n. 23) o demolito (R.M. 09/08/1976, n. 9/136; Circolare 19/01/2007, n. 1/E); b) il principio contabile OIC 16 in tema di immobilizzazioni immateriali e la necessità di una svalutazione, per effetto della perdita durevole di valore, nell’ipotesi di ‘sintomi che facciano prevedere difficoltà per il recupero del valore netto contabile tramite l’uso’ (v., altresì, par. D.XIII del principio OIC 16); c) la giurisprudenza di questa Corte in materia di principi contabili e rapporto tra bilancio civilistico e fiscale, secondo la quale, a prescindere dall’applicazione diretta dei principi comunitari ed internazionali condivisi, ispirati al ‘principio della prevalenza della sostanza sulla form a’, la rappresentazione sostanziale e quella fiscale devono coincidere il più possibile, anche per il rispetto del principio della capacità contributiva (v. ad es. Cass. 23/06/2022, n. 20327; Cass. 23/03/2025, n. 7723).
La sentenza va, quindi, cassata ed il giudice del rinvio si atterrà al seguente principio di diritto: «ai sensi dell’art. 102, comma 4, t.u.i.r., la deducibilità del costo residuo del bene eliminato, non ancora completamente ammortizzato dal complesso produttivo, non è esclusa quando il bene, pur facendo parte di un più ampio cespite, sia dotato di autonomia funzionale e sia, perciò, autonomamente utilizzabile».
Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 96 commi 1, 2 e 3 del tuir» per avere la CTR erroneamente ricompreso nell’ambito di applicazione di tale norma taluni oneri sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE, estranei alle fattispecie ivi previste.
Sostengono, in particolare, che la disposizione limita la deducibilità degli interessi passivi corrisposti a titolo di remunerazione di capitali presi in prestito per finanziare l’attività d’impresa, mentre nella specie gli oneri oggetto di contestazione da parte dell’Ufficio avevano ad oggetto gli interessi passivi connessi al contratto di cash pooling ed i costi del conto ‘Altre commissioni -Terzi’, ossia interessi che non sottendono alcun rapporto finanziario.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.
Invero, la CTR ha ritenuto non provata da parte della società contribuente l’inferenza degli interessi ad operazioni di carattere non finanziario; le ricorrenti, con argomentazioni generiche, ripropongono, invece, la tesi dell’assenza di rapporto finanziario connesso al contratto di cash pooling ed al conto ‘Altre commissioni -Terzi’.
La doglianza è, quindi, inammissibile in quanto, per costante giurisprudenza di questa Corte, «deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme» ( ex multis , Cass. 23/04/2024, n. 10927).
In definitiva, va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo; la sentenza gravata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, Sezione Staccata di Salerno, in diversa composizione, perché provveda a nuovo esame in relazione alla censura accolta, tenendo conto del principio di diritto esposto, ed a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, Sezione Staccata di Salerno, in diversa composizione, perché provveda a nuovo esame nel rispetto dei principi esposti, ed a regolare le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 maggio 2025.