Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3966 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3966 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29029/2016 R.G. proposto da COGNOME Antonio (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO; – controricorrente – avverso la sentenza n. 628/16 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, depositata in data 12/5/2016;
udita la relazione della causa svolta dal dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del l’11 dicembre 2024;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi l’ Avvocato NOME COGNOME per il contribuente e l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle Entrate;
Fatti di causa
In data 23/11/2011 l’Agenzia delle Entrate di Asti emise, nei confronti di NOME COGNOME (d’ora in avanti, anche ‘il contribuente’ ), esercente attività di panificazione e di rivendita al minuto di prodotti della panificazione, un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 200 8 con cui l’Ufficio recuperò a tassazione una nota di costo ritenuta non veritiera, con conseguente ripresa Irpef, Irap e addizionali.
A suffragio dell’affermazione di non veridicità della nota di costo, l’avviso di accertamento indicò che: 1) il soggetto che aveva emesso il documento di spesa non poteva essere ritenuto un soggetto qualificato, in quanto non risultava iscritto in albi né era titolare di partita iva; 2) il differimento del pagamento sarebbe stato antieconomico per il consulente e vantaggioso per l’impresa che, peraltro, con la deduzione del detto costo avrebbe conseguito una sproporzione netta tra volume d’affari dichiarato e costi sostenuti dichiarati.
Non essendo andato a buon fine il procedimento di accertamento con adesione, il contribuente impugnò l’avviso di accertamento.
Nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, la C.T.P. di Asti respinse il ricorso.
Su appello del contribuente, la C.T.R. del Piemonte confermò la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, alcuni dei quali articolati a loro volta in vari profili.
Resiste con controricorso l ‘Agenzia delle Entrate .
Il Sostituto P.G., nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
Il contribuente ha depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) per violazione dell’art. 112 c.p.c. che impone al giudice di pronunciarsi sulle domande proposte dalle parti, dell’art. 113 c.p.c. che consente al giudice di dare una diversa qualificazione giuridica della domanda solo ove non mutino i fatti costitutivi dell’istanza e dell’art. 24 e 111 Cost. regolanti diritto di difesa e giusto processo; Ed erroneità della sentenza per violazione di norma di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) di cui agli artt. 42 del d.P.R. n. 600/73, 7 e 10 L. n. 212 del 2000, 24 Cost.’ , il contribuente censura la sentenza impugnata per essersi pronunciata su fatti estranei alla motivazione dell’atto di accertamento e per aver omesso di pronunciarsi sulla effettiva censura proposta dalla parte. In particolare, mentre la ripresa fiscale si sarebbe fondata unicamente sulla ‘non veridicità’ della nota di costo, la sentenza d’appello , in adesione alle difese dell’Agenzia delle Entrate in appello, avrebbe ampliato il thema decidendum , rigettando l’appello del contribuente anche per la asserita ‘non inerenza’ del costo recuperato a tassazione.
1.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata, nel giudicare sulla corretta ripresa del costo, fa riferimento non solo alla non inerenza dello stesso, ma anche alla sua inesistenza, chiarendo che l’onere della prova dell’esistenza e della effettività del costo spettava al contribuente (sentenza impugnata, pag. 2 dei motivi della decisione).
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) per violazione dell’art. 112 c.p.c. per difetto di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., applicabili al rito trib utario in forza del rinvio di cui all’art. 1 comma 2 d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 36, comma 2, n. 4 d.lgs. n. 546 del 1992 applicabile alla sentenza di secondo grado ad effetto del disposto di cui all’art . 61 d.lgs. n. 546 del 1992, norme che impongono al giudice di enunciare motivazione a suffragio della decisione, ed art. 111 comma 6 Cost. che dispone che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati’ , il contribuente censura la sentenza impugnata in quanto intrinsecamente contraddittoria ed in quanto non sufficientemente motivata.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Esso, deducendo la violazione di norme di legge, tende a contestare l’apparato motivazionale della sentenza impugnata, che invece si rivela congruo e adeguato, coerente con le premesse fattuali assunte dalla decisione e non contraddittorio.
La C.T.R., infatti, ha reputato attendibile l’avviso di accertamento fondato sulla inesistenza del costo (la sentenza impugnata parla, infatti, anche di ‘inesistenza’, oltre che, promiscuamente e rafforzativamente, di ‘non inerenza’), fondando tale suo giu dizio su rilievi di fatto logici e coerenti, facendo buon governo dei princìpi che regolano il riparto dell’onere della prova.
Non sussiste la contraddittorietà dedotta dal contribuente, in quanto la C.T.R., pur affermando come possibile che NOME COGNOME prestasse un’attività di collaborazione nell’esercizio dell’attività
commerciale, ha negato recisamente che quella forma di collaborazione giustificasse l’entità del costo dichiarato dal contribuente e recuperato a tassazione dall’amministrazione, confermando dunque la conclusione, cui era giunta l’Agenzia, di inesistenza del costo stesso.
3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) per violazione dell’art. 101 comma 2 c.p.c. che impone al giudice se ritiene di porre a fondamento una questione rilevabile d’ufficio di segnalarlo alle parti assegnando loro un termine per poter interloquire nonché erroneità della sentenza per violazione di norme di diritto art. 2697 c.c. e 2729 c.c., 115 c.p.c. (art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c. in relazione alle regole sulle presunzioni e sull’onere della prova) e per erroneità della sentenza per violazione di norma di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) di cui all’art. 2729 c.c. e 42 e 39 comma 1 d.P.R. n. 600/73 degli artt. 10 comma 4 bis L. n. 146 del 1998 e 10 comma 9 d.l. n. 201/11 riguardo alla motivazione che deve aver e l’atto di accertamento, nonché di cui all’art. 109 Tuir che prevede che un costo per prestazione di servizi si considera inerente quando è attinente alla sfera dell’impresa e si considera sostenuto (e quindi è deducibile) nell’esercizio in cui viene comp iuta la relativa prestazione (indipendentemente dal tempo del pagamento) e per violazione della norma di cui all’art. 1350 c.c. che individua gli atti che devono farsi necessariamente per iscritto (e tra cui non rientra la tipologia di rapporto che ha generato il costo dedotto dalla parte ed oggetto di ripresa)’ , il contribuente censura la sentenza impugnata per violazione delle regole sul riparto dell’onere della prova.
Il contribuente si duole anche del fatto che la C.T.R. non abbia adeguatamente valutato le prove da lui offerte a suffragio dell’esistenza e veridicità del costo ripreso dall’Agenzia.
In particolare, suddividendo l’esposizione del terzo motivo di ricorso in vari profili, sotto il primo profilo il contribuente si lamenta che la C.T.R. abbia addossato su di lui l’onere di provare l’esistenza del
costo; sotto il secondo profilo si lamenta che la C.T.R. abbia posto a suo carico un onere eccessivamente gravoso, da assolvere necessariamente con documenti incontrovertibili, svalutando il compendio probatorio da lui effettivamente prodotto in giudizio; sotto il terzo profilo, il contribuente si duole che gli elementi valorizzati nell’avviso di accertamento non concretizzerebbero indizi gravi, precisi e concordanti costituenti presunzioni semplici, ma semplici congetture prive di valore inferenziale; sotto il quarto profilo, il contribuente si duole che il disconoscimento del costo lo renderebbe non coerente rispetto agli studi di settore; sotto il quinto profilo, il contribuente censura la sentenza impugnata per aver affermato che egli avrebbe dovuto dare una prova formale dell’esistenza del costo.
3.1. Il terzo motivo è infondato.
Esso tende inammissibilmente a devolvere a questa Corte il giudizio circa il modo in cui la C.T.R. ha valutato le prove ad essa offerte relativamente alla esistenza del costo oggetto di ripresa fiscale.
Peraltro, con riferimento ai primi due profili del terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che questa Corte, in tema di iva, ha statuito che l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Sez. 5 – , Ordinanza n. 9723 del 10/04/2024, Rv. 670825 – 01).
Tale principio è valido senz’altro anche in tema di imposte dirette, ed è stato correttamente applicato dalla C.T.R., la quale ha ritenuto, con un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, che l’onere
di provare l’esistenza del costo dedotto spettasse al contribuente, avendo l’amministrazione dedotto elementi idonei a fondare la presunzione di anomalia e, dunque, di inesistenza di quel costo. Del resto, a confutazione del terzo profilo nel quale si articola il motivo di ricorso in esame, questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., Sez. 2 – , Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 – 01).
Nel caso che ci occupa, la C.T.R., nel confermare l’avviso di accertamento, non ha avallato le congetture dell’Agenzia delle Entrate, ma ha valorizzato indici fattuali ben precisi, gravi e concordanti, valutandoli unitariamente al fine di ritenere l’inesistenza del costo dedotto (cf r. la sentenza impugnata, a pag. 2 dei motivi della decisione).
La doglianza esposta con il quarto profilo del motivo infondato è parimenti infondata.
Il divieto per l’amministrazione, stabilito dall’art. 10, comma 9, del d.l. n. 201 del 2011, di emettere, nei confronti dei contribuenti coerenti con gli studi di settore, atti di accertamento ai sensi dell’art. 39, comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 non preclude, infatti, il potere di disconoscere elementi negativi di reddito nel caso in cui questi siano inesistenti (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 28457 del 05/11/2024, Rv. 672639 – 01).
Anche la doglianza spiegata con il quinto profilo del motivo di ricorso in esame è infondata.
La C.T.R., infatti, non ha inteso affermare che il contratto di collaborazione con il Fiore dovesse rivestire una determinata forma ad substantiam o ad probationem , ma, al contrario, ha solo voluto inserire l’informalità o la scarsa formalità dell’incarico attribuito al Fiore tra gli indici presuntivi della non veridicità del costo.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) per violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., applicabili al rito tributario in forza del rinvio di cui all’art. 1 comma 2 d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 36 comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546 del 1992 applicabile alla sentenza di secondo grado ad effetto del disposto di cui all’art. 61 d.lgs. n. 546 del 1992, norme che impongono al giudice di enunciare motivazione a suffragio della decisione e art. 111 comma 6 Cost. che dispone che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati ed erroneità della sentenza (art. 360 n. 3 c.p.c.) per violazione dell’artt. 24 L. n. 4 del 1929, dell’art. 5 bis, comma 1 del d.lgs. n. 218/97, artt. 7 e 12
comma 7 L. n. 212/2000, L. n. 241/1990 e art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e per violazione del diritto di difesa presidiato dagli artt. 24 Cost. e 6 CEDU e 41 e 52 Carta di Nizza efficaci nel diritto interno tramite l’art. 117 Cost. e al diritto all’imparzia lità di azione della P.A. art. 97 Cost.’ , il contribuente censura la sentenza impugnata in quanto non ha attribuito efficacia dirimente, al fine di giudicare invalido l’atto di accertamento notificatogli, alla mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale prima della notificazione dell’atto impositivo.
Il contribuente contesta l’affermazione della C.T.R. secondo la quale nei casi di accertamento ‘a tavolino’ non ci sarebbe bisogno di redigere il processo verbale di constatazione.
La mancata instaurazione del contraddittorio preventivo avrebbe privato il contribuente dei diritti fondamentali di difesa.
4.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte, a Sezioni Unite, con un orientamento costantemente seguito, ha chiarito che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 – 01).
Nel caso di specie, la ripresa oppugnata riguarda tributi diretti, sicché, vertendosi in ipotesi di accertamento ‘a tavolino’, non vi era l’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo.
Con il quinto motivo di ricorso, rubricato ‘Nullità della sentenza per difetto di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.)’ , il contribuente censura la sentenza impugnata per non aver
statuito sulla validità della delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento, validità che invece il contribuente aveva contestato con l’atto di appello.
5.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata dà atto che l’avviso di accertamento è stato sottoscritto da un funzionario appartenente alla carriera direttiva su delega del Direttore provinciale conferita mediante ordine di servizio prodotto per estratto dall’amministrazione , aggiungendo che non vi era l’obbligo di allegare l’atto nella sua integralità e che non vi era alcun dubbio sulla provenienza dell’atto dall’amministrazione finanziaria.
6. Con il sesto motivo di ricorso, rubricato ‘Erroneità della sentenza per violazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) e precisamente artt. 17 comma 1 d.lgs. n. 472/97, nonché art. 6 CEDU e art. 41 della Carta di Nizza, art. 24 Cost.’ , il contribuente censura la sentenza impugnata con riferimento all’irrogazione delle sanzioni, affermando che la motivazione è apparente e che non sarebbe dato comprendere le ragioni della loro entità, anche rispetto alle norme sopravvenute rispetto al tempo della co mmissione dell’illecito.
6.1. Il motivo è fondato.
Con la memoria difensiva, il contribuente ha chiesto l’applicazione della lex mitior con riferimento alle sanzioni amministrative tributarie.
Orbene, senza voler considerare il recente d.lgs. n. 87 del 2024 e l’ancora più recente d.lgs. n. 173 del 2024 (quest’ultimo, che entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2026, teso ad inglobare, quale testo unico, il precedente n. 87 del 2024), deve rilevarsi che la cornice edittale della sanzione per l’illecito di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471 del 1997, è mutata, rispetto a quella della legge applicabile al tempus commissi delicti , sia in seguito al d.lgs. n. 158 del 2015 che in seguito al d.lgs. n. 209 del 2023.
Ne consegue che, valendo anche nel campo delle sanzioni tributarie, ove non diversamente disposto, il principio della retroattività della
legge più favorevole al trasgressore, il giudice del rinvio dovrà rivalutare il fatto ai fini dell’irrogazione della sanzione in applicazione della legge più favorevole al contribuente (cfr. Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 8716 del 30/03/2021, Rv. 660967 – 01).
In definitiva, il ricorso è accolto in relazione al sesto motivo, rigettato nel resto.
La sentenza è cassata e la causa è rinviata, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettato nel resto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria del Piemonte, in diversa composizione.
Così deciso, in Roma, l’ 11 dicembre 2024.