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Costo indeducibile: onere della prova e sanzioni

Un imprenditore si è visto negare la deduzione di un costo per una consulenza, ritenuto inesistente dall’Agenzia delle Entrate. La Corte di Cassazione ha confermato che, di fronte a presunzioni gravi, precise e concordanti fornite dal Fisco, l’onere di provare l’effettiva esistenza della prestazione ricade sul contribuente. La Corte ha però accolto il ricorso riguardo le sanzioni, stabilendo che deve essere applicata la legge successiva più favorevole (principio della lex mitior), e rinviando il caso per la rideterminazione della pena.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costo Indeducibile: La Cassazione tra Onere della Prova e Sanzioni più Lievi

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 3966 del 2025, offre importanti chiarimenti su un tema cruciale per imprese e professionisti: la gestione di un costo indeducibile e le relative conseguenze. La pronuncia analizza in dettaglio la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente quando viene contestata l’esistenza stessa di un’operazione, e interviene sul fronte delle sanzioni, applicando il principio della legge più favorevole.

Il Caso: Un Costo per Consulenza Sotto la Lente del Fisco

Un’impresa esercente attività di panificazione si era vista notificare un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate. L’Ufficio contestava la deducibilità di una nota di costo relativa a una consulenza, ritenendola non veritiera. Le ragioni del Fisco erano fondate su diversi elementi: il consulente non risultava iscritto ad albi professionali né era titolare di partita IVA, e l’operazione presentava profili di antieconomicità. Dopo la conferma della decisione nei primi due gradi di giudizio, il contribuente ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Onere della Prova in caso di Costo Indeducibile

Uno dei punti centrali della controversia riguarda l’onere della prova. Il contribuente lamentava che i giudici di merito avessero erroneamente posto a suo carico il dovere di dimostrare l’esistenza del costo. La Cassazione, rigettando questa tesi, ha ribadito un principio consolidato: quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che facciano dubitare della veridicità di un’operazione (come l’assenza di una struttura organizzativa del prestatore), l’onere della prova si sposta sul contribuente.

La Prova Contraria a Carico del Contribuente

In tali circostanze, non è sufficiente esibire la fattura o la documentazione contabile, poiché questi documenti possono essere creati ad arte per simulare un’operazione fittizia. Spetta al contribuente, quindi, fornire prove concrete e sostanziali dell’effettività della prestazione ricevuta e della sua inerenza all’attività d’impresa. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente valutato gli indizi forniti dal Fisco come sufficienti a fondare la presunzione di inesistenza del costo, legittimando così la ripresa a tassazione.

Diritto di Difesa e Contraddittorio Preventivo

Un’altra doglianza del ricorrente riguardava la mancata attivazione del contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, che a suo dire avrebbe violato il diritto di difesa. Anche su questo punto, la Corte ha dato torto al contribuente. Richiamando un’importante sentenza delle Sezioni Unite (n. 24823/2015), i giudici hanno chiarito che, per i tributi non armonizzati a livello europeo (come l’IRPEF e l’IRAP in questo caso) e per gli accertamenti “a tavolino”, non sussiste un obbligo generale di contraddittorio preventivo, se non nei casi specificamente previsti dalla legge.

L’Applicazione della “Lex Mitior” sulle Sanzioni

L’unico motivo di ricorso accolto dalla Cassazione è stato quello relativo alle sanzioni. Il contribuente aveva richiesto l’applicazione della lex mitior, ovvero della legge più favorevole intervenuta dopo la commissione della violazione.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha riconosciuto che la normativa sulle sanzioni per l’illecito contestato era stata modificata più volte, in senso favorevole al contribuente, da provvedimenti legislativi successivi (in particolare il D.Lgs. n. 158/2015 e il D.Lgs. n. 209/2023). Il principio della retroattività della legge più favorevole è pienamente applicabile anche in materia di sanzioni tributarie. Pertanto, il giudice che si trova a decidere sulla sanzione deve applicare la disposizione più mite tra quella vigente al momento della violazione e quelle entrate in vigore successivamente, fino al momento della decisione.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata limitatamente al punto sulle sanzioni, rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Quest’ultima dovrà ricalcolare le sanzioni applicando la normativa più favorevole al contribuente. La decisione ribadisce l’importanza per il contribuente di conservare prove concrete a supporto dei costi dedotti e, al contempo, conferma un importante principio di garanzia in materia sanzionatoria, assicurando che nessuno sia punito in modo più severo di quanto previsto dalla legislazione più recente e mite.

A chi spetta l’onere della prova quando il Fisco contesta l’esistenza di un costo?
Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che suggeriscano l’inesistenza dell’operazione. Una volta forniti tali elementi, l’onere della prova si inverte e spetta al contribuente dimostrare con prove concrete l’effettiva esistenza e inerenza del costo.

L’Amministrazione Finanziaria è sempre obbligata ad attivare il contraddittorio preventivo prima di emettere un avviso di accertamento?
No. Secondo la sentenza, per i tributi non armonizzati (come IRPEF e IRAP) e in caso di accertamento “a tavolino”, non esiste un obbligo generalizzato di instaurare un contraddittorio preventivo, a meno che non sia specificamente previsto da una norma di legge.

Se le sanzioni tributarie cambiano dopo la violazione, si può applicare la legge più favorevole?
Sì. La sentenza conferma che nel campo delle sanzioni amministrative tributarie vige il principio della retroattività della lex mitior (legge più mite). Il giudice deve applicare la normativa più favorevole al trasgressore, anche se entrata in vigore dopo la commissione dell’illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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