Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32033 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32033 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6845/2022 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso, giusta procura allegata in calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, sezione staccata di Latina n. 3799/2021, depositata in data 29 luglio 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME, titolare della ditta individuale «RAGIONE_SOCIALE», esercente l’attività di «Agenzia di recupero crediti», avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2011, con il quale erano state contestate l’indebita deduzione di costi per acquisto di carburante e l’indebita deduzione di costi per spese di sponsorizzazione ed era stato accertato un maggior reddito ai fini delle imposte dirette, un maggior valore della produzione ai fini Irap e una maggiore imposta dovuta ai fini Iva, oltre interessi e sanzioni.
2. I giudici di secondo grado, dopo avere precisato che l’appello aveva censurato solo la parte dell’accertamento avente ad oggetto le due fatture per sponsorizzazioni, sicché per la residua parte doveva ritenersi che il Di Notaro avesse fatto acquiescenza alla pronunzia dei primi giudici, ha affermato che il contratto di sponsorizzazione, tra la ditta RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE contemplava l’impegno di questa ad una serie di prestazioni, di cui non risultava traccia oggettiva, pur essendo onere della ditta COGNOME fornire tale supporto documentale; le foto prodotte dalla stessa non consentivano di stabilire un sicuro nesso tra l’attività di sponsorizzazione e l’attività sportiva svolta dalla RAGIONE_SOCIALE Roccasecca, avendo l’Ufficio rilevato che dalle foto risultava che la dicitura RAGIONE_SOCIALE fosse presente su completini fotografati su un pavimento o su semplici T-shirt.; si trattava, inoltre, di materiale assai esiguo, nemmeno prodotto dalla
ditta, né l’indicazione del beneficiario sulle matrici degli assegni e l’estratto conto prodotto consentivano di sopperire alla mancata dimostrazione della effettività e della certezza delle prestazioni, a fronte della comune esperienza che deponeva per una apparenza contabile ed economica e per una retrocessione dei pagamenti eseguiti e di contratto privo di data certa non essendo stato registrato, oltre che della mancanza delle fatture o di altra documentazione riguardante le prestazioni rese a vantaggio della ditta RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi e successiva memoria.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 109 TUIR, 2697 e 2729 cod. cv., 39, comma primo, del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2000, in riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso o contraddittorio esame su un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Nella sentenza impugnata non vi era traccia delle censure formulate con riguardo alla sentenza di primo grado e la stessa si riduceva ad una parafrasi dell’originario avviso di accertamento facendone proprie tutte le risultanze e non lasciando spazio alle deduzioni difensive sulle foto e sui pagamenti, così violando l’art. 109 TUIR e l’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, che prevedeva una presunzione legale assolta circa la natura pubblicitaria delle spese di sponsorizzazione sostenute entro il limite quantitativo ivi previsto. I giudici di secondo grado, inoltre, avevano fatto ricadere l’onere della prova sul contribuente, né le scritture contabili erano state dichiarate dall’Ufficio incomplete, false o inesatte.
1.1 Il motivo è inammissibile, in relazione all’omesso esame di fatto decisivo, in costanza del principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter cod. proc. civ. e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo grado e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 20 settembre 2023, n. 26934; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439).
1.2 In disparte il rilievo che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511), nel caso in esame, la censura è pure inammissibile per difetto del requisito dell’attinenza della censura alla ratio decidendi della sentenza impugnata, laddove i giudici di secondo grado, lungi dal non considerare le argomentazioni difensive dell’appellante, le hanno, invece, esaminate specificamente, affermando sostanzialmente che il ricorrente non aveva dato la prova della effettività e della certezza delle prestazioni pubblicitarie rese dall’associazione sportiva e che, in tal senso, non rilevavano, né le foto (esigue) dalle quali risultava che la dicitura RAGIONE_SOCIALE era presente su completini fotografati su un pavimento o su semplici T-shirt e che, dunque, non consentivano di stabilire un sicuro nesso tra l’attività di sponsorizzazione e l’attività sportiva svolta dalla RAGIONE_SOCIALE Roccasecca, né l’indicazione del beneficiario sulle matrici degli assegni e l’estratto conto prodotto , a fronte della comune esperienza che
deponeva per una apparenza contabile ed economica e per una retrocessione dei pagamenti eseguiti, alla luce anche della circostanza che il contratto era privo di data certa non essendo stato registrato e della mancanza delle fatture o di altra documentazione riguardante le prestazioni rese a vantaggio della ditta Di Notaro.
1.3 Ciò, peraltro, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In tema di imposte sui redditi delle società, la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo valutazione qualitativa e non quantitativa, la cui prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé » (Cass., 1 giugno 2023, n. 15530; Cass., 18 agosto 2022, n. 24880) e che, con specifico riferimento a ll’onere della prova, ha sottolineato che « L’inerenza integra un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa ma spetta al contribuente l’onere della prova che, quindi, si articola ancora prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Cass., 2 febbraio 2021, n. 2224; Cass., 30 maggio 2018, n. 13588, che valorizza il principio di «vicinanza alla prova»; Cass., 4 ottobre 2017, n. 23164; Cass., 16 novembre 2011, n. 24065;
Cass., 27 maggio 2015, n. 10914). Nel contempo, l’Amministrazione può contestare l’inerenza, rilevando la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e, quindi, la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza ovvero allegando l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa (Cass., 21 novembre 2019, n. 30366), però il controllo del fisco sull’inerenza dei costi d’impresa, ai fini della loro deducibilità, non può interferire nel campo delle scelte imprenditoriali, a meno che la sproporzione tra prestazioni non sia rilevante ed evidente ictu oculi (Cass., 2 febbraio 2021, n. 2224, citata), così da costituire elemento sintomatico dell’assenza di correlazione della stessa con l’esercizio dell’attività imprenditoriale (Cass., 28 dicembre 2018, n. 33574).
1.4 Diverso è l’ambito applicativo della disposizione, pure richiamata dal ricorrente, di cui all’art. 90 della legge n. 289/2002, in relazione alla quale questa Corte ha, più volte, ribadito che « in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale » (Cass., 7 giugno 2017, n. 14232), « senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori » (Cass., 6 aprile 2017, n. 8981; Cass., 19 gennaio 2018, n. 1420; Cass., 30 maggio 2018, n. 13508; Cass., 6 maggio 2020, n. 8540).
1.5 Ed invero, il citato art. 90, comma 8, costituisce norma speciale, destinata a derogare anche al regime generale di deducibilità dei costi previsto dall’art. 109 del T.U.I.R., trattandosi di disposizione che detta peculiari condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità che
rispondono alle specifiche esigenze del settore di riferimento, ossia delle compagini sportive dilettantistiche; la norma intende perseguire finalità diverse che, con tutta evidenza, possono essere rintracciate nella voluntas legis di approntare un regime agevolativo per quei soggetti che decidono di investire nello sport amatoriale e di favorire tramite la leva fiscale – la diffusione di questo genere di attività giudicate socialmente utili e degne di protezione, stante anche la rilevanza costituzionale dello sport (cfr. Cass., 27 luglio 2021, n. 21452, in motivazione).
1.6 Non vi è stata, dunque, la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., che ricorre solo quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541), evenienza che, nel caso in esame, non è stata nemmeno dedotta dalla società ricorrente.
1.7 Né sussiste, infine, la violazione dell’art. 2697 cod. civ., che si configura quando il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l ‘onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769).
Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’ omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata aveva omesso di esaminare il principio evidenziato nel ricorso introduttivo per il quale in caso di accertamento non e ra consentita l’estensione automatica
all’imposizione indiretta delle presunzioni poste a base per l’imposizione diretta e la censura sul punto svolta a pag. 4 dell’appello sulla mancata considerazione di tale principio da parte dei giudici di primo grado.
2.1 Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto, nel caso di specie condizione del tutto assente.
2.2 Il motivo è pure inammissibile perchè deduce l’omesso esame della censura svolta a pag. 4 dell’appello (rilevando anche un difetto di autosufficienza nella mancata trascrizione del contenuto dell’atto di appello) che doveva essere formulata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto « L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra, infatti, una
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. » (Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759).
Il terzo mezzo deduce l’omessa e comunque insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.., ovvero l’omesso esame della problematica relativa alla ripresa di cos ti per carburante avendo il ricorrente in sede di appello fatto richiamo integrale alle richieste del ricorso e delle successive memorie illustrative e concluso, a pag. 4, dell’atto di appello che « per le fatture di carburante di esiguo importo si conferma quanto riportato nel ricorso introduttivo ».
3.1 In disparte ancora una volta il difetto di autosufficienza della censura nella parte in cui non trascrive il contenuto integrale dell’atto di appello, il motivo è inammissibile, deducendo la parte ricorrente il vizio di insufficiente motivazione della sentenza, ormai espunto dal sistema per effetto della riforma del n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 54 del decret o legge n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n., 134/2012, nemmeno risultando prospettato il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
3.2. Come affermato da questa Corte « In tema di ricorso per cassazione, per effetto della modifica dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotta dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., deve essere dedotto mediante esposizione chiara
e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo, e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 cod. civ. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale) » (Cass., 29 luglio 2011, n. 16655; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29883).
3.3 Nel caso in esame, nell’esposizione del motivo, non si ravvisa alcun riferimento a fatti controversi, nella accezione indicata (censura inammissibile, peraltro, per violazione dell’art. 348 ter , ultimo comma, cod. proc. civ.), ma è sollecitata una statuizione sull’omessa pronuncia sul motivo di appello riguardante i costi per carburante oggetto di accertamento, che integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. (Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759).
3.4 Sul punto deve precisarsi che il ricorso per cassazione, che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il
ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., 7 maggio 2018, n. 10862; Cass., 20 febbraio 2014, n. 4036).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 3 dicembre 2024.