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Costi sponsorizzazione fittizia: quando sono indeducibili

Un imprenditore ha dedotto costi per una sponsorizzazione a un’associazione sportiva. Il Fisco ha contestato l’operazione come fittizia. La Cassazione ha confermato l’indeducibilità dei costi di sponsorizzazione fittizia, rigettando i motivi del contribuente sulla delega di firma, sulla motivazione dell’accertamento (anche se il verbale di verifica non era allegato) e sulla valutazione delle prove, ritenendola di competenza del giudice di merito.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi sponsorizzazione fittizia: la Cassazione fissa i paletti per la deducibilità

La deducibilità dei costi di sponsorizzazione è un tema ricorrente nel contenzioso tributario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui costi sponsorizzazione fittizia, confermando la legittimità di un avviso di accertamento che negava la deduzione di tali spese, anche in assenza di allegazione del verbale di verifica. La pronuncia analizza aspetti cruciali come la motivazione dell’atto impositivo, la validità della firma del funzionario e la ripartizione dell’onere della prova.

I Fatti del Caso: Sponsorizzazione Sportiva nel Mirino del Fisco

Un contribuente, operante nel settore alberghiero, riceveva un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione un costo di 6.000 euro, sostenuto per la sponsorizzazione di un’associazione sportiva dilettantistica. Secondo l’Amministrazione finanziaria, l’operazione era da considerarsi inesistente. Tale conclusione derivava da una verifica fiscale condotta sull’associazione sportiva, dalla quale era emerso che quest’ultima stipulava contratti di sponsorizzazione al solo scopo di emettere fatture per operazioni fittizie, consentendo così alle controparti di dedurre costi e detrarre l’IVA indebitamente.

I Motivi del Ricorso e la Difesa del Contribuente

Il contribuente impugnava l’atto impositivo lamentando tre vizi principali:
1. Difetto di motivazione: L’avviso di accertamento si basava su un processo verbale di constatazione (PVC) redatto nei confronti di un terzo (l’associazione sportiva), senza però allegarlo né riprodurne il contenuto essenziale, violando così il suo diritto di difesa.
2. Nullità per difetto di delega: L’atto era stato sottoscritto da un funzionario privo di una valida delega di firma.
3. Errata valutazione delle prove: Il contribuente sosteneva l’effettiva esistenza dell’operazione, evidenziando la necessità di pubblicizzare la propria attività alberghiera, la convenienza della sponsorizzazione data la vicinanza dell’hotel al campo sportivo e la congruità dell’importo versato.

La Decisione della Cassazione sui costi sponsorizzazione fittizia

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del contribuente, confermando le decisioni dei giudici di merito e fornendo chiarimenti su ciascuno dei motivi sollevati.

La validità della delega di firma

In primo luogo, la Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui la delega alla sottoscrizione degli avvisi di accertamento ha natura di ‘delega di firma’ e non ‘di funzioni’. Si tratta di un mero atto di decentramento burocratico interno, che non richiede l’indicazione nominativa del delegato né un termine di validità. È sufficiente l’individuazione della qualifica del funzionario firmatario per garantire la legittimità dell’atto.

La sufficienza della motivazione ‘per relationem’

Sul punto cruciale della motivazione, la Corte ha precisato che l’obbligo di allegare un documento richiamato nell’atto impositivo non è assoluto. La motivazione ‘per relationem’ è valida se l’atto impositivo fornisce al contribuente tutti gli elementi necessari per comprendere la pretesa fiscale e per esercitare il proprio diritto di difesa. Nel caso di specie, l’avviso indicava elementi oggettivi sufficienti a ritenere l’operazione inesistente: la genericità delle prestazioni contrattuali, la sproporzione del corrispettivo, l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali da parte dell’associazione e la presenza di movimenti bancari sospetti. Questi elementi, secondo la Corte, realizzano un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa e il pieno esercizio del diritto di difesa.

L’onere della prova e i limiti del giudizio di legittimità

Infine, il terzo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ricordato che la violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova si configura solo quando il giudice attribuisce tale onere a una parte diversa da quella prevista dalla legge, non quando compie una valutazione dei fatti o delle prove ritenuta errata dal ricorrente. La valutazione del materiale probatorio è un’attività tipica del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione della sentenza non sia palesemente illogica o del tutto assente, circostanza non ravvisabile nel caso in esame.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha basato la sua decisione su principi consolidati volti a bilanciare l’efficienza amministrativa e il diritto di difesa del contribuente. La chiave di volta della pronuncia risiede nella distinzione tra il piano della motivazione dell’atto e quello della prova della pretesa. Per la validità dell’avviso di accertamento, è sufficiente che la motivazione, anche se ‘per relationem’, metta il contribuente in condizione di conoscere i fatti e le ragioni giuridiche alla base della contestazione. Nel caso specifico, l’Agenzia delle Entrate aveva elencato una serie di indizi gravi, precisi e concordanti che, letti congiuntamente, formavano un quadro probatorio sufficiente a sostenere l’inesistenza dell’operazione di sponsorizzazione. Di fronte a tale quadro, l’onere di fornire la prova contraria, ovvero di dimostrare l’effettività e l’inerenza del costo, si sposta sul contribuente. La Corte ha ritenuto che la valutazione di tale prova contraria sia di esclusiva competenza dei giudici di merito. Il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti, ma deve limitarsi a verificare la corretta applicazione delle norme e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento offre un’importante lezione pratica: di fronte a una contestazione di costi sponsorizzazione fittizia basata su solidi elementi presuntivi, il contribuente deve concentrare la propria difesa nel merito, fornendo prove concrete e inequivocabili dell’effettività dell’operazione economica e della sua utilità per l’impresa. Appellarsi a vizi meramente procedurali, come la mancata allegazione di un verbale o presunti difetti nella delega di firma, si rivela spesso una strategia perdente se la sostanza della pretesa fiscale è ben argomentata. Questa decisione rafforza il valore della prova per presunzioni nel diritto tributario e delinea con chiarezza i confini tra il giudizio di merito e quello di legittimità.

Un avviso di accertamento è valido se non allega il verbale di verifica (PVC) a cui fa riferimento?
Sì, può essere valido. La Corte di Cassazione ha chiarito che il documento richiamato non deve essere necessariamente allegato se l’avviso di accertamento ne riproduce il ‘contenuto essenziale’ o se il contribuente ne è già a conoscenza. Per ‘contenuto essenziale’ si intende l’insieme delle informazioni sufficienti a comprendere le ragioni della pretesa fiscale e a consentire l’esercizio del diritto di difesa.

Chi deve firmare l’avviso di accertamento perché sia valido?
L’atto deve essere sottoscritto da un funzionario competente, il quale può agire anche in forza di una ‘delega di firma’. Secondo la Corte, questa delega è un atto organizzativo interno all’amministrazione, e per la sua validità è sufficiente l’individuazione della qualifica o del ruolo del firmatario, senza che sia necessario indicarne il nominativo o un termine di efficacia.

Come può un contribuente difendersi dall’accusa di aver sostenuto costi per operazioni inesistenti?
Il contribuente ha l’onere di provare l’effettiva esistenza e l’inerenza del costo sostenuto. In base a questa sentenza, è fondamentale fornire prove concrete e specifiche nei primi due gradi di giudizio. Contestare la valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito in sede di Cassazione è generalmente inammissibile, poiché la Suprema Corte non riesamina i fatti, ma si limita a controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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