Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24517 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24517 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 28521/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi d all’ avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione
(PEC: EMAIL
-ricorrenti –
Contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, n. 2776/04/2021, depositata il 10.08.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto: Tributi –
Contraddittorio preventivo – Prova di resistenza
La CTP di Cosenza accoglieva, previa riunione, i ricorsi proposti dalla RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, nonché dai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso distinti avvisi di accertamento, per imposte dirette ed IVA, con i quali era stato rideterminato, in relazione all’anno d’imposta 2013, il reddito d’impresa della società e, di conseguenza, il reddito di partecipazione di ciascun socio, a seguito del recupero a tassazione dei costi di sponsorizzazione, sostenuti in favore della RAGIONE_SOCIALE;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale della Calabria accoglieva l’appello dell ‘Agenzia delle entrate osservando, per quanto qui rileva, che i costi di sponsorizzazione, pari a complessivi euro 47.500,00, sostenuti tutti nei confronti della stessa ASD, erano esagerati ed antieconomici, sia nel loro ammontare complessivo, sia con riferimento alle singole prestazioni, in quanto la società, pur presentando foto e documenti che attestavano l’avvenuta sponsorizzazione, non aveva dimostrato l’aspettativa del ritorno commerciale, stante l’elevato esborso di denaro speso per le spese di pubblicità e sponsorizzazione , pari quasi al 50% dell’intero fatturato e al 67% del totale dei componenti negativi;
i contribuenti impugnavano la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria;
l ‘ Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, in quanto i contribuenti non hanno contestato la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di appello, ma hanno censurato la sussunzione dei fatti come accertati nelle disposizioni di riferimento, in quanto sostengono che la fattispecie concreta è stata giudicata mediante la non corretta applicazione delle previsioni normative di riferimento;
tanto premesso, con il primo motivo i contribuenti denunciano la violazione degli artt. 12 l. n. 212/2000 e 5 d.lgs. n. 218/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , per avere la CTR ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento nonostante la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo;
il motivo è infondato;
-occorre ribadire che, per le modalità di svolgimento del contraddittorio non viene prescritta alcuna forma vincolata, per cui va ribadito il principio, secondo il quale è sufficiente (e necessario) che detto contraddittorio, quando previsto, ‘si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obiettivo’ (Cass. 19.07.2021, n. 20436);
nella specie, risulta dallo stesso ricorso che, prima della notifica dell’avviso, l’Ufficio aveva inviato al contribuente un invito, seppure riguardante un diverso anno d’imposta, al fine di acquisire documentazione e chiarimenti, proprio al fine di verificare la regolarità della sua posizione contabile e fiscale, e il contribuente ha avuto modo di interloquire con l’Amministrazione inviando la documentazione richiesta;
in ogni caso, occorre ribadire che nei casi -come quello in esame in cui non vi è stato accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale esclusivamente per i tributi “armonizzati”, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto impositivo, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far
valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass. Sez. U. n. 24823 del 2015); secondo la giurisprudenza unionale, inoltre, il positivo superamento della c.d. prova di resistenza avviene, quando il contribuente illustra come e in che termini, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (CGUE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13 e C-130/13, punti 78 e 79; CGUE, SC C.F. cit., punto 35);
– in ultimo, va condiviso anche il recente arresto giurisprudenziale di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 21271 del 2025), secondo il quale, con riguardo alla disciplina ratione temporis applicabile e alle verifiche ‘a tavolino’ su tributi armonizzati, ‘ la violazione dell’obbligo di contraddittorio procedimentale comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto gli elementi in fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito, a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo.’;
-le Sezioni Unite hanno, dunque, chiarito che l’oggetto della prova di resistenza deve consistere nella ‘ specifica indicazione dei fatti e delle informazioni mancate, in una con la loro concreta e ragionevole idoneità ad orientare l’Amministrazione a non più adottare il provvedimento impositivo, oppure ad adottarlo con un contenuto oggettivamente o soggettivamente più mite ‘, dovendosi considerare che: ‘ a. i fatti in esso deducibili non sono necessariamente gli stessi che possono essere dedotti in sede giurisdizionale; b. la ripetibilità della deduzione in sede giurisdizionale non salva dall’invalidità l’atto di imposizione; c. la ‘evidenza’ del fatto o delle deduzione in sede
amministrativa non coincide con i requisiti della ‘prova’ da fornire nel processo ‘;
ciò premesso, nella specie i contribuenti non hanno adempiuto a di
detto onere precisando, anzi, che era ‘ superfluo cercare individuar e se l’eventuale contraddittorio sarebbe stato utile o meno ‘; – con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, e 3 l. n. 212/2000, 3 l. n. 241/1990 in relazione all’art . 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto sufficientemente motivati gli avvisi di accertamento impugnati;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto non riproduce il contenuto degli avvisi di accertamento impugnati;
-come è stato più volte chiarito, infatti, poiché l’avviso di accertamento non è un atto processuale, ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. n. 3289 del 2014 e n. 16147 del 2017);
con il terzo motivo denunciano la violazione degli artt. 90, comma 8, l. n. 289/2002 e 109, comma 5, d.P.R. n. 917/1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , per avere il giudice d’appello ritenuto la non deducibilità dei costi di sponsorizzazione in ragione dell’asserito ‘esagerato’ ammontare , senza considerare che si trattava di spese di sponsorizzazione in favore di una associazione sportiva dilettantistica, in ordine alle quali è prevista una presunzione assoluta di inerenza, anche sotto il profilo quantitativo;
il motivo è fondato;
– occorre premettere che l’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, prevede che ‘Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonchè di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 74, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917’;
– secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio intende dare continuità, la citata disposizione ha introdotto, a favore del “soggetto erogante” il corrispettivo (nella specie, la società ricorrente), una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria (e non di rappresentanza) delle spese di sponsorizzazione, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (Cass. 7.06.2017, n. 14232), senza che rilevino requisiti ulteriori ( ex plurimis , Cass. 1.02.2022, n. 2985);
– il legislatore ha, dunque, stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, rendendo non sindacabile la scelta dell’imprenditore di promuovere il nome, il marchio o l’immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico; non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno
commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa (Cass., 20 dicembre 2018, n. 33030; Cass., 16 dicembre 2019, n. 33120; Cass., 4 marzo 2020, n. 6017) e non è, dunque, più basata sulla necessaria riconducibilità dell’onere alla percezione di ricavi da parte dell’impresa che sostiene il costo;
non è consentita neppure la contestazione della incongruità o dell’antieconomicità del costo, dal momento che nel campo delle sponsorizzazioni è improponibile, se non impossibile, individuare l’ammontare «congruo» di una sponsorizzazione, poiché queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi, senza la ben che minima garanzia che tale obiettivo possa essere davvero conseguito (Cass. 27 luglio 2021, n. 21452);
sussiste, pertanto, una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese o associazioni sportive dilettantistiche, laddove risultino soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1420; Cass., 6 maggio 2019, n. 11797; Cass., 15 gennaio 2020, n. 8540), essendo in tal caso integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor (Cass., 27 luglio 2021, n. 21452);
la CTR non si è attenuta ai principi sopra esposti, nonostante l’importo complessivo oggetto delle spese di sponsorizzazione non superasse i limiti previsti dalla norma richiamata e l’Agenzia non avesse contestato l’effettiva corresponsione delle somme da parte della società contribuente e la specifica attività dei beneficiari delle stesse, ma si fosse limitata a sostenere la mancanza di inerenza e la
antieconomicità della spesa, come si evince anche dal contenuto del controricorso;
la decisione impugnata risulta, dunque, errata, avendo ritenuto che l’Amministrazione finanziaria potesse sindacare le scelte economiche dell’imprenditore, al fine di negare l’inerenza dei costi di sponsorizzazione manifestamente sproporzionati rispetto all’utilità ritraibile dalla pubblicità;
in conclusione, va accolto il terzo motivo, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la decisione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 giugno 2025.