Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20749 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20749 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4221/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE SOCIETA’ RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI RAVENNA
-intimato-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’EMILIA -ROMAGNA n. 1902/2016 depositata il 08/07/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1902/16 depositata in data 08/07/2016, ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE , dichiarata fallita nel 2016 ( hinc: RAGIONE_SOCIALE, contro la sentenza n. 152/2015, che aveva, a sua volta, respinto il ricorso della società contribuente contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale era stato accertato un maggior reddito d’impresa, a fini IRES, pari a Euro 3.563.281,09, con il disconoscimento di costi per Euro 3.274.844,18, riconoscendo maggiori componenti positivi per Euro 288.436,91. Veniva, poi, accertato il valore della produzione in Euro 3.563.281,09 ai fini IRAP e una maggior imposta di Euro 531.081,17 ai fini IVA, con il disconoscimento di detrazioni indebite per Euro 473.393,69 in relazione a fatture per operazioni inesistenti e con addebito di IVA su operazioni imponibili non fatturate. Venivano, poi, applicate le sanzioni di legge nell’importo maggiorato pari al 50%.
La CTR -con particolare riferimento alle questioni oggetto di censura nel presente giudizio di cassazione -ha ritenuto che dal PVC depositato dall’amministrazione finanziaria risultasse
l’inesistenza delle operazioni che hanno dato luogo al recupero fiscale, con riferimento ai rapporti commerciali intrattenuti con due fornitori.
In particolare, in merito al fornitore Genova Giovanni era stato rilevato che:
-l’impresa iniziata in data 12/06/2006 e ra cessata in data 08/10/2007;
-era stata presentata la dichiarazione dei redditi a fini IVA, senza alcun versamento;
-il titolare aveva esibito documentazione incompleta e aveva omesso la Comunicazione Annuale IVA per entrambe le annualità 2006 e 2007;
-l’impresa possedeva, inoltre, un’unica attrezzatura, non ha avuto dipendenti, in quanto il titolare ha dichiarato che si faceva aiutare da un amico occasionale di nazionalità rumena e che comprava uva da singoli contadini in contanti, senza alcun atto scritto;
-non risultavano, poi, provate le operazioni di trasporto del mosto, considerato che un asserito autotrasportatore era in carcere e poi agli arresti domiciliari, mentre altri due pretesi autotrasportatori avevano negato di conoscere il sig. COGNOME
-era, infine, inverosimile che senza alcuna conoscenza della solvibilità e affidabilità di quest’ultimo fossero stati corrisposti in suo favore acconti per Euro 3.250.000 per l’anno d’imposta 2006 ed Euro 2.663.060,54 per l’anno d’imposta 2007;
-la nota di debito n. 8 del 28/06/2007, emessa dall’impresa RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per Euro 240.000, esente IVA, relativa alla ‘Vostra asserita inadempienza contrattuale’ , era stata registrata nel 2007, ma era stata imputata a costo nel 2006;
-lo stesso sig. COGNOME aveva ammesso che tali operazioni erano frutto di meri accordi verbali.
In merito al fornitore COGNOME NOME era stato evidenziato che:
-l’impresa, sorta nel maggio 2006 , era cessata un anno dopo, senza presentare alcuna dichiarazione ai fini IVA e non aveva esibito alcuna documentazione contabile, asserendo, poi, che quest’ultima si trovasse, probabilmente, in un’autovettura (di cui non ricordava la targa) che era stata rubata, senza presentare alcuna denuncia;
-l’impresa non possedeva attrezzature o macchinari ed esercitava l’attività usando le attrezzature di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, poi diventata RAGIONE_SOCIALE di Cerignola, in base a un contratto di locazione (di vasi vinari e automezzi) e a un contratto di fornitura di servizi;
-non aveva i dipendenti necessari per le peculiarità dell’attività;
–NOME NOME era un nullatenente, sprovvisto di garanzie per le aperture di credito presso istituti bancari e, all’epoca dei fatti, era l’ultimo di una catena di prestanom i;
-la società contribuente era stata la maggiore cliente di COGNOME NOMECOGNOME da cui aveva fatto acquisti per oltre un milione di euro, cui aveva corrisposto, contrariamente a ogni logica commerciale, asseriti acconti per oltre Euro 890.000 nell’anno d’impos ta 2006.
La CTR ha poi fatto riferimento ad alcune intercettazioni esperite durante il procedimento penale e relative alla frode fiscale, oltre alle dichiarazioni rilasciate da uno dei partecipi a quest’ultima.
2.1. Con riferimento alla ripresa a tassazione inerente ai ricavi non contabilizzati, dagli atti depositati -e in particolare dal PVC della Guarda di Finanza -emergeva che tra la società contribuente e la RAGIONE_SOCIALE ci fossero rapporti commercial molto stretti: le
due società usavano gli stessi locali, svolgevano attività simili e le compagini sociali erano strettamente correlate. Risultava, inoltre, che RAGIONE_SOCIALE svolgesse attività di trading puro, acquistando merce dal produttore per cederla direttamente all’acquire nte finale cui veniva consegnata direttamente dal venditore, senza che transitasse dai suoi locali. Si trattava, sostanzialmente, di un’attività di intermediazione.
In corrispondenza di acquisti in nero da parte di RAGIONE_SOCIALE vi erano, quindi, corrispondenti vendite non contabilizzate da parte della società contribuente.
Contro la sentenza della CTR la Curatela fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con un motivo suddiviso in due censure di violazione di legge.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 bis, legge 24/12/1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con d.l. 02/03/2012, n. 16, art. 8, comma 1, convertito dalla legge 26/04/2012, n. 44) e dell’art. 53 Cost.
1.1. La ricorrente rileva che la sentenza impugnata incorre nella violazione dell’art. 14, comma 4 bis, legge 24/12/1993, n. 537, per aver ritenuto che i rapporti intrattenuti con il fornitore COGNOME fossero riconducibili a operazioni oggettivamente inesistenti, sebbene in sede di appello fosse stato rilevato come tali rapporti fossero stati qualificati in termini di operazioni soggettivamente inesistenti e tale circostanza non fosse stata censurata. In particolare, se è vero che nell’avviso di accertame nto impugnato era
stato contestato alla società contribuente di aver contabilizzato costi relativi a operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, è altrettanto vero che, in relazione alle operazioni con il sig. COGNOME i rilievi erano stati motivati come operazioni soggettivamente inesistenti , come risulta a pag. 7 dell’avviso di accertamento (richiamata a pag. 22 del ricorso in cassazione). Già nel ricorso davanti al giudice di prime cure era stato evidenziato come l’amministrazione finanziaria, in relazione alle operazioni con il sig. COGNOME avesse contestato solamente la circostanza della realizzazione con soggetti diversi, al punto da non disconoscerne i ricavi, senza consentire, al contempo, la deduzione dei relativi costi.
1.2. Tale circostanza veniva, poi, ripresa anche nell’atto d’appello a pag. 9 (v. pag. 25 del ricorso in cassazione).
1.3. La sentenza impugnata, tuttavia, ha violato l’art. 14, comma 4-bis, cit., laddove ha affermato che: « risulta evidente quanto meno il difetto in capo all’Azienda RAGIONE_SOCIALE, di un minimo di diligenza professionale, nel relazionarsi a tali soggetti, senza chiedere né ricevere garanzie di alcun tipo a fronte di così ingenti acconti. All’insieme di tali elementi probatori, che appaiono già sufficiente da soli ad affermare la sussistenza in capo al contribuente della condotta contestata e la sussistenza dei presupposti impositivi per operare il recupero fiscale effettuato dall’Agenzia delle Entrate con l’Avviso di Accertamento impugnato, si aggiungono gli ulteriori elementi probatori che derivano dall’indagine penale commessa …».
1.4. La ricorrente ha, poi, evidenziato (pag. 28 del ricorso in cassazione) che nel ricorso introduttivo (pag. 22) aveva denunciato come i costi oggetto di contestazione avessero generato ricavi che concorrevano a formare la base imponibile. Tale motivo di doglianza veniva, poi, ripreso anche nell’atto di appello dove veniva contestato che, a fronte della mancata contestazione del carattere fittizio delle
operazioni de quibus , il corollario era che, se la merce era stata effettivamente venduta, era altrettanto evidente che fosse stata acquistata in precedenza.
A differenza dei ricavi -definiti nell’art. 56 t.u.i.r. i costi non sono definiti nel T.U. delle imposte sui redditi. È pertanto necessario rinviare alla nozione comune, acquisita in sede contabile che identifica i costi come un fattore negativo della produzione. In tale accezione rientrano, quindi, nella previsione del T.U. cit., che, nel dettare le norme generali sui componenti del reddito d’impresa , sancisce il principio che le spese e gli altri componenti negativi del reddito, così come gli oneri afferenti ai ricavi sono ammessi in deduzione.
La CTR, avendo accertato che ai costi inesistenti per l’acquisto di prodotti vinosi corrispondessero ricavi effettivi conseguenti alla cessione di prodotti, a suo dire mai acquistati, ha leso il principio di capacità contributiva della società contribuente.
Passando all’esame del motivo di ricorso, occorre dare atto che è infondata la censura, secondo cui la CTR avrebbe qualificato le operazioni intrattenute con il sig. COGNOME come oggettivamente inesistenti: la motivazione della CTR, nel rilevare che l ‘u so di un minimo di diligenza professionale, nel relazionarsi a tali soggetti, senza chiedere né ricevere garanzie di alcun tipo a fronte di così ingenti acconti versati e a fronte della circostanza che il fornitore risultava un nullatenente, oltre a un prestanome, giunge al corollario di una consapevole partecipazione della società contribuente al meccanismo frodatorio. In altre parole, secondo la CTR l’elemento soggettivo -che deve essere necessariamente provato in caso di operazioni soggettivamente inesistenti -nel caso di specie è integrato non già dalla conoscenza o conoscibilità della riconducibilità delle operazioni a un meccanismo fraudolento, ma dall’ effettiva
partecipazione a quest’ultimo da parte della società contribuente. L’incedere argomentativo della sentenza impugnata, sotto tale profilo, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, secondo cui, in tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., 09/08/2022, n. 24471; Cass., 20/04/2018, n. 9851).
2.1. Ciò premesso e dato atto che le operazioni in esame sono state considerate come soggettivamente inesistenti occorre richiamare il contenuto del l’art. 14, comma 4 -bis, legge n. 537 del 1993, il quale prevede che: « Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale.
Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi. »
Sull’interpretazione d ella norma appena evocata questa Corte ha precisato che in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4bis , della l. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012), che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale ius superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem , sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una frode carosello), per il solo fatto che sono stati sostenuti, anche se l’acquirente è consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass., 15/10/2024, n. 26786, v. anche Cass., 06/07/2018, n. 17788).
Il carattere soggettivamente inesistente delle operazioni non esclude, quindi, la deducibilità dei costi, purché non siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza (o determinabilità) o tali costi riguardino beni o servizi direttamente usati per un delitto non colposo. Questa Corte ha, infatti, precisato che, in tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012 (conv. in l. n. 44 del 2012), poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, bensì per essere commercializzati, non
è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni anche ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (Cass., 30/10/2018, n. 27566).
2.2. Proprio in relazione al profilo appena evocato emerge l’inammissibilità del motivo di ricorso per difetto di specificità, fermo restando che tale motivo è, comunque, infondato. La CTR ha ritenuto le fatture emesse dal COGNOME come soggettivamente inesistenti, come da contestazione dell’Ufficio, ma non ha riconosciuto i relativi costi perché mancava la prova dei requisiti di cui all’art. 109 tuir, non avendo la contribuente allegato gli elementi per valutare l’inerenza, la certezza, ecc.
2.3. È altresì infondata la censura sull’asserita violazione dell’art. 53 Cost.: il riconoscimento forfettario dei costi vale solo per l’accertamento induttivo puro e, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale (C. cost. n. 10 del 2023), in alcuni casi di accertamento analitico – induttivo conseguente all’espletamento delle indagini bancarie ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973. Nel caso di specie l’amministrazione finanziaria non ha, tuttavia, proceduto alla ricostruzione dei ricavi con metodo induttivo, ma con riferimento ai rapporti con COGNOME NOME ha contestato la deducibilità dei costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti e ricavi non contabilizzati in ordine alle operazioni intercorse con la società RAGIONE_SOCIALE (v. pag. 1 del controricorso). In ogni caso, come si legge a pag. 1 della sentenza impugnata l’avviso di accertamento nei confronti dell’odierna parte ricorrente scaturisce da verifiche fiscali eseguite nei confronti delle sue maggiori società fornitrici che
erano risultate coinvolte in meccanismi di frode e di altre violazioni di normative fiscali.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a pagare, in favore della parte controricorrente, le spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 13.800, oltre spese prenotate a debito; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/04/2025.