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Costi soggettivamente inesistenti: la guida completa

Una società vinicola fallita ha impugnato un avviso di accertamento che negava la deducibilità di costi per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, anche in caso di costi soggettivamente inesistenti, spetta al contribuente dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti di legge per la deduzione, come l’inerenza e la certezza, prova che in questo caso non è stata fornita.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità dei costi soggettivamente inesistenti: cosa dice la Cassazione?

La gestione dei costi soggettivamente inesistenti rappresenta una delle aree più complesse e rischiose della fiscalità d’impresa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui requisiti necessari per la loro deducibilità, ribadendo il rigoroso onere della prova a carico del contribuente. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I fatti del caso: una società vinicola e fatture sospette

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società vinicola, successivamente dichiarata fallita. L’Amministrazione Finanziaria contestava, per l’anno d’imposta 2007, un maggior reddito ai fini IRES e un maggior valore della produzione ai fini IRAP, oltre a una maggiore imposta IVA.

Le contestazioni si basavano principalmente su due pilastri:
1. Il disconoscimento di costi derivanti da fatture emesse da due fornitori, ritenute relative a operazioni inesistenti.
2. L’accertamento di ricavi non contabilizzati, emersi da rapporti commerciali con una terza società di trading.

La Curatela Fallimentare della società ha impugnato l’atto, portando la questione fino alla Corte di Cassazione. Il fulcro del ricorso riguardava la natura delle operazioni con uno dei fornitori, qualificate come soggettivamente inesistenti. La difesa sosteneva che, essendo le operazioni realmente avvenute (sebbene con un soggetto diverso da quello fatturante), i relativi costi avrebbero dovuto essere deducibili, in quanto avevano generato ricavi effettivi per l’azienda.

L’onere della prova nei costi soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della Curatela, ritenendolo infondato. Il punto centrale della decisione è che la qualificazione di un’operazione come soggettivamente inesistente non comporta automaticamente la deducibilità del costo.

La normativa di riferimento (art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993) consente la deduzione dei costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti, a condizione che non siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza e certezza.

La Corte ha specificato che spetta sempre al contribuente fornire la prova rigorosa che tali requisiti siano soddisfatti. Nel caso di specie, la società contribuente non era riuscita a dimostrare gli elementi necessari per valutare l’inerenza e la certezza di tali costi. La Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente evidenziato la mancanza di prove da parte dell’azienda, rendendo legittimo il disconoscimento dei costi da parte dell’Ufficio.

La consapevolezza della frode e il principio di capacità contributiva

Un altro aspetto rilevante è la consapevolezza del contribuente di partecipare a un meccanismo fraudolento. La Corte ha confermato che la giurisprudenza costante richiede, per negare la detrazione IVA in operazioni di questo tipo, la prova che il destinatario della fattura sapesse o avrebbe dovuto sapere della frode, usando la normale diligenza professionale.

Nel caso esaminato, numerosi indizi (come il fatto che il fornitore fosse un nullatenente e un prestanome) supportavano la conclusione che la società vinicola avesse partecipato consapevolmente al meccanismo illecito.

Infine, la Corte ha respinto anche la censura relativa alla presunta violazione del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.). La decisione ha chiarito che il mancato riconoscimento dei costi non derivava da un’applicazione forfettaria, ma dalla specifica e puntuale assenza di prova dei requisiti di deducibilità richiesti dall’art. 109 del TUIR. L’accertamento non era stato di tipo induttivo puro, ma analitico, basato su verifiche fiscali precise.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso basandosi su principi consolidati. In primo luogo, ha sottolineato che, sebbene la legge consenta la deducibilità dei costi da operazioni soggettivamente inesistenti, ciò non esonera il contribuente dall’onere di provare la sussistenza di tutti i requisiti generali previsti dall’art. 109 del TUIR, quali l’inerenza, la certezza e la determinabilità del costo. La semplice affermazione che a un costo è corrisposto un ricavo non è sufficiente. La CTR aveva correttamente rilevato che la società non aveva fornito alcun elemento probatorio a sostegno della deducibilità, rendendo il motivo di ricorso inammissibile per difetto di specificità.

In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che la CTR avesse correttamente valutato gli elementi indiziari per affermare la consapevole partecipazione della società alla frode, un elemento che, sebbene più attinente alla detrazione IVA, rafforza il quadro di illegittimità dell’operazione. Infine, ha escluso la violazione del principio di capacità contributiva, poiché il recupero fiscale non si basava su una ricostruzione induttiva dei ricavi, ma sulla contestazione analitica della deducibilità di costi specifici per mancanza di prova dei presupposti di legge.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: la deducibilità dei costi soggettivamente inesistenti non è un diritto automatico. L’impresa che registra tali costi deve essere in grado di fornire una prova completa e documentata non solo dell’effettiva esistenza dell’operazione economica sottostante, ma anche della sua conformità a tutti i principi fiscali, in particolare quello di inerenza. L’onere della prova grava interamente sul contribuente e la sua mancanza legittima il disconoscimento del costo da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Le imprese devono quindi esercitare la massima diligenza nella scelta e nella verifica dei propri partner commerciali per evitare di essere coinvolte, anche inconsapevolmente, in schemi fraudolenti con gravi conseguenze fiscali.

Un costo derivante da un’operazione soggettivamente inesistente è sempre deducibile?
No. La deducibilità è ammessa solo se il contribuente riesce a provare che il costo soddisfa tutti i requisiti previsti dalla legge fiscale, in particolare i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinabilità, come stabilito dall’art. 109 del TUIR.

Su chi ricade l’onere di provare la deducibilità di questi costi?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente. Non è sufficiente dimostrare che l’operazione economica è avvenuta; è necessario fornire prove concrete che giustifichino la deduzione del costo dal reddito d’impresa.

Il disconoscimento di un costo soggettivamente inesistente viola il principio di capacità contributiva?
No, secondo la Corte di Cassazione, il disconoscimento non viola tale principio se è basato sulla mancanza di prova dei requisiti di deducibilità da parte del contribuente. In tal caso, non si tratta di un accertamento arbitrario, ma della corretta applicazione delle norme fiscali che richiedono la prova della legittimità di ogni componente negativo del reddito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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