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Costi soggettivamente inesistenti: la deducibilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19242/2024, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la deducibilità dei costi soggettivamente inesistenti. Il caso riguardava un imprenditore a cui erano stati contestati costi per servizi effettivamente ricevuti ma fatturati da un soggetto diverso da quello che li aveva eseguiti. La Corte ha ribadito che tali costi sono deducibili se reali, inerenti all’attività e non utilizzati per commettere un delitto. Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare la mancanza di inerenza o la consapevolezza della frode da parte del contribuente.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Soggettivamente Inesistenti: la Cassazione Conferma la Deducibilità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema delicato dei costi soggettivamente inesistenti, fornendo chiarimenti cruciali per le imprese. La questione centrale è: un’azienda può dedurre i costi relativi a beni o servizi realmente ricevuti, ma fatturati da un soggetto diverso da quello che li ha forniti? La risposta della Suprema Corte è affermativa, ma a precise condizioni.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un imprenditore individuale. L’Agenzia delle Entrate contestava la deduzione di costi per l’anno d’imposta 2005, sostenendo che si trattasse di operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, l’imprenditore aveva pagato per lavori edili che erano stati effettivamente eseguiti, ma la fattura proveniva da una società che non era la reale esecutrice delle prestazioni.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione al contribuente, annullando l’avviso di accertamento. Secondo i giudici di merito, le prestazioni erano state realmente eseguite e i costi effettivamente sostenuti, sebbene da un soggetto diverso da quello formale. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta della decisione, ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha rigettato integralmente il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, confermando la sentenza di secondo grado favorevole al contribuente. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di onere della prova e del requisito di inerenza dei costi.

Le Motivazioni della Deducibilità dei Costi Soggettivamente Inesistenti

La Corte ha innanzitutto richiamato il principio, introdotto dalla Legge n. 537/1993, secondo cui i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili. Questo perché, a differenza delle operazioni oggettivamente inesistenti (in cui la prestazione non è mai avvenuta), in questo caso il costo è stato realmente sostenuto dall’impresa.

La deducibilità è esclusa solo se i costi violano i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza, oppure se sono relativi a beni o servizi utilizzati per il compimento di un delitto non colposo. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano accertato, sulla base di numerosi elementi (pagamenti, contratti, dichiarazioni, esiti di un procedimento penale), che i lavori erano stati effettivamente eseguiti e che i costi erano correlati all’attività dell’impresa.

Il Principio di Inerenza e la Congruità dei Costi Soggettivamente Inesistenti

L’Agenzia delle Entrate lamentava che la CTR non avesse verificato l’inerenza del costo sotto il profilo della sua congruità. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, chiarendo la natura del principio di inerenza. L’inerenza esprime una correlazione qualitativa tra costo e attività d’impresa, non una valutazione quantitativa o di convenienza economica.

Un costo palesemente anti-economico o sproporzionato può essere un indizio della mancanza di inerenza, ma non è una prova di per sé. In questi casi, l’onere della prova si articola in questo modo:
1. Il contribuente deve dimostrare che il costo esiste e si riferisce all’attività d’impresa.
2. Se l’Amministrazione Finanziaria contesta l’inerenza basandosi sull’anti-economicità della spesa, è essa a dover fornire gli elementi (anche indiziari) per dimostrare che il costo non è in realtà correlato all’attività d’impresa.

Nel caso in esame, l’Agenzia non aveva fornito prove specifiche sulla presunta incongruità dei costi, limitandosi a contestare l’effettività delle prestazioni, un punto già risolto a favore del contribuente.

La Consapevolezza della Frode ai Fini IVA

Con il secondo motivo, l’Agenzia contestava la violazione delle norme sull’IVA. Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto al Fisco. La giurisprudenza, sia unionale che nazionale, è chiara: in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario della fattura di essere parte di un’evasione fiscale.

Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni, ma devono basarsi su elementi oggettivi e specifici. Se l’Amministrazione assolve a questo onere, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode. Nel caso di specie, la CTR aveva accertato in fatto la mancanza di consapevolezza da parte del contribuente, una valutazione che, essendo ben motivata, non poteva essere riesaminata in sede di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rafforza un importante principio a tutela del contribuente in buona fede. I costi per prestazioni reali sono deducibili anche se la fattura proviene da un soggetto interposto, a condizione che siano inerenti all’attività. La presunta anti-economicità di un costo non è sufficiente per negarne l’inerenza; spetta all’Agenzia delle Entrate fornire prove concrete che dimostrino il contrario. Allo stesso modo, per negare il diritto alla detrazione IVA, il Fisco deve provare che l’imprenditore sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, non potendo basarsi su mere supposizioni.

Cosa si intende per costi soggettivamente inesistenti?
Si tratta di costi sostenuti per beni o servizi che sono stati realmente forniti all’impresa, ma che sono stati fatturati da un soggetto diverso da quello che ha effettivamente eseguito la prestazione.

Un’impresa può dedurre i costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti?
Sì, la legge e la giurisprudenza costante ammettono la deducibilità di tali costi, a condizione che siano stati effettivamente sostenuti e soddisfino i requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza. La deduzione è esclusa solo se i costi sono stati utilizzati per commettere un delitto non colposo.

Chi deve provare che un costo non è inerente all’attività d’impresa?
L’onere della prova iniziale grava sul contribuente, che deve dimostrare l’esistenza e la correlazione del costo con l’attività. Tuttavia, se l’Amministrazione Finanziaria contesta l’inerenza sulla base della sua presunta anti-economicità o incongruità, spetta alla stessa Amministrazione dimostrare, anche con indizi, l’inattendibilità della condotta del contribuente e la reale mancanza di correlazione del costo con l’attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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