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Costi soggettivamente inesistenti: deducibilità e limiti

Una società ha ricevuto avvisi di accertamento per IRES e IRAP, contestando l’indeducibilità di costi fatturati da una società estera schermo, per operazioni definite soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione ha stabilito che i termini di accertamento possono essere raddoppiati per IRES in presenza di un’ipotesi di reato tributario, ma non per IRAP. Inoltre, ha affermato la deducibilità dei costi soggettivamente inesistenti, a condizione che siano stati effettivamente sostenuti e siano inerenti all’attività d’impresa, cassando la sentenza di merito e rinviando alla Corte di Giustizia Tributaria per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi soggettivamente inesistenti: quando sono deducibili?

La gestione fiscale di un’impresa presenta numerose complessità, una delle quali riguarda la deducibilità dei costi soggettivamente inesistenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema delicato, tracciando confini precisi sulla deducibilità di tali costi e sull’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento per IRES e IRAP. Questa decisione offre chiarimenti fondamentali per le aziende che si trovano a gestire fatture per servizi effettivamente ricevuti, ma emesse da soggetti non corrispondenti al reale prestatore.

I Fatti del Caso

Una società operante in Italia si è vista notificare due avvisi di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per gli anni 2002 e 2003, relativi a IRES e IRAP. L’amministrazione finanziaria contestava l’indeducibilità di alcuni costi sostenuti dall’azienda. Sebbene i servizi fossero stati effettivamente resi alla società, le fatture erano state emesse da una società estera risultata essere una mera “società schermo”, priva di struttura e operatività. Secondo l’accertamento, il vero prestatore dei servizi era un’altra società, questa volta italiana.

La contestazione si basava quindi sull’inesistenza soggettiva delle operazioni: la transazione economica era reale, ma il soggetto che l’aveva fatturata era fittizio. La contribuente ha impugnato gli avvisi di accertamento, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno confermato la legittimità della pretesa fiscale. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi della Corte e i costi soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha esaminato tre motivi di ricorso presentati dalla società, accogliendone due e rigettandone uno. L’analisi si è concentrata su tre punti cruciali: il raddoppio dei termini di accertamento per IRES, la sua inapplicabilità per IRAP e la deducibilità dei costi.

Raddoppio dei Termini per IRES: Legittimo

La società sosteneva che l’Agenzia delle Entrate avesse illegittimamente applicato il raddoppio dei termini di accertamento, previsto in caso di violazioni che comportano denuncia penale. Secondo la contribuente, l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non configurerebbe il reato tributario necessario a giustificare tale estensione. La Corte ha rigettato questo motivo, confermando un orientamento consolidato: il raddoppio dei termini scatta in presenza di una violazione che astrattamente configuri una fattispecie di reato, a prescindere dalla verifica di tutti gli elementi costitutivi del reato stesso. Anche l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti può integrare il reato di dichiarazione fraudolenta, legittimando quindi il prolungamento dei termini per l’accertamento IRES.

Raddoppio dei Termini per IRAP: Illegittimo

Con il secondo motivo, la società ha lamentato la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo ai fini IRAP, sostenendo che il raddoppio dei termini non potesse applicarsi a tale imposta. Su questo punto, la Corte ha dato ragione alla contribuente. La giurisprudenza è chiara nel ritenere che il raddoppio dei termini di accertamento, previsto dall’art. 43 del d.P.R. 600/1973, non si estende all’IRAP, poiché le violazioni relative a questa imposta non sono presidiate da sanzioni penali. Di conseguenza, l’accertamento IRAP era stato notificato oltre i termini ordinari.

Deducibilità dei Costi Soggettivamente Inesistenti: Ammessa

Il terzo motivo, anch’esso accolto, riguardava il cuore della questione: la deducibilità dei costi soggettivamente inesistenti. La società ha argomentato che, ai fini della deducibilità, l’elemento fondamentale è l’inerenza del costo all’attività d’impresa, non l’identità del soggetto che emette la fattura. La Cassazione ha confermato questa linea, richiamando il principio secondo cui i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili. Ciò è possibile a condizione che siano stati effettivamente sostenuti e rispettino i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza. La consapevolezza del carattere fraudolento dell’operazione da parte dell’acquirente non osta alla deducibilità, a meno che i costi non siano direttamente utilizzati per commettere un delitto non colposo.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati e su una chiara distinzione tra le diverse imposte. Per quanto riguarda l’IRES, la potenziale rilevanza penale della condotta (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti) è sufficiente a innescare il meccanismo del raddoppio dei termini. L’intento è quello di dare più tempo all’amministrazione per accertare violazioni fiscali complesse e potenzialmente legate a reati.

Per l’IRAP, invece, la mancanza di una corrispondente sanzione penale nel sistema normativo impedisce l’applicazione estensiva del raddoppio dei termini. Questo crea una biforcazione procedurale tra le due imposte, anche se scaturiscono dalla medesima contestazione.

Sulla deducibilità dei costi, la Corte ha applicato il principio di prevalenza della sostanza sulla forma. Se un costo è reale, è stato effettivamente sostenuto ed è funzionale all’attività d’impresa, esso deve essere considerato deducibile dal reddito. L’irregolarità formale, consistente nell’errata identità del fatturante, non può di per sé precludere la deduzione, poiché il costo ha comunque contribuito alla produzione del reddito imponibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre importanti implicazioni pratiche per le imprese. In primo luogo, conferma che la deducibilità dei costi non dipende dall’identità formale del fornitore, ma dalla realtà economica dell’operazione e dalla sua inerenza all’attività aziendale. Un’azienda può quindi dedurre un costo anche se la fattura proviene da un soggetto fittizio, a patto di poter dimostrare che il servizio è stato realmente ricevuto e pagato. In secondo luogo, la decisione ribadisce la netta separazione tra la disciplina IRES e quella IRAP in materia di termini di accertamento in presenza di ipotesi di reato, proteggendo i contribuenti da estensioni ingiustificate per l’imposta regionale.

I costi derivanti da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che sono deducibili a condizione che siano stati effettivamente sostenuti e rispettino i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza. La consapevolezza del carattere fraudolento dell’operazione non impedisce la deduzione, salvo che i costi siano relativi a beni o servizi usati per commettere un delitto non colposo.

Il raddoppio dei termini di accertamento si applica sempre in caso di reato tributario?
Si applica per l’IRES quando la violazione fiscale configura astrattamente una fattispecie di reato tributario. Tuttavia, la Corte ha chiarito che questo raddoppio non può essere applicato all’IRAP, poiché le violazioni relative a tale imposta non sono sanzionate penalmente.

Cosa si intende per operazione soggettivamente inesistente?
Si tratta di un’operazione economica che è stata realmente effettuata (ad esempio, un servizio è stato effettivamente prestato e pagato), ma la fattura che la documenta è stata emessa da un soggetto diverso da quello che ha realmente fornito il bene o il servizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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