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Costi soggettivamente inesistenti: come dedurli

Un imprenditore ha dedotto costi per lavori edili documentati da fatture soggettivamente inesistenti, in quanto emesse da un soggetto diverso da chi ha eseguito la prestazione. L’Agenzia delle Entrate ha contestato la deduzione. La Corte di Cassazione ha dato ragione al contribuente, stabilendo che i costi soggettivamente inesistenti sono deducibili ai fini delle imposte dirette se effettivi e inerenti all’attività. Per l’IVA, ha ribadito che spetta all’Amministrazione provare la consapevolezza della frode da parte del contribuente, prova che in questo caso mancava. Il ricorso dell’Agenzia è stato quindi respinto.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Soggettivamente Inesistenti: Quando sono Deducibili? L’Analisi della Cassazione

Il tema dei costi soggettivamente inesistenti è una delle questioni più delicate e complesse nel diritto tributario. Si tratta di situazioni in cui un’impresa sostiene un costo reale per un bene o un servizio, ma la fattura viene emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettivamente eseguito la prestazione. Con l’ordinanza n. 19292/2024, la Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sui requisiti per la deducibilità di tali costi e sulla ripartizione dell’onere della prova tra contribuente e Amministrazione Finanziaria.

I Fatti del Caso: Una Contestazione su Fatture Sospette

La vicenda riguarda un’impresa individuale a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deduzione di alcuni costi relativi all’anno d’imposta 2007. L’Amministrazione riteneva che le fatture fossero relative a operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, i lavori edili erano stati effettivamente eseguiti, ma da un’impresa diversa da quella che aveva formalmente emesso i documenti fiscali. La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione al contribuente, annullando l’avviso di accertamento. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione delle norme sull’onere della prova e sui requisiti di deducibilità dei costi.

La Decisione della Corte: Deducibilità dei Costi Soggettivamente Inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale: la deducibilità dei costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti è ammessa ai fini delle imposte dirette, a condizione che tali costi siano stati realmente sostenuti e rispettino i principi generali di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinabilità. Per quanto riguarda l’IVA, la Corte ha sottolineato che l’onere di provare la consapevolezza del contribuente di partecipare a una frode fiscale spetta all’Amministrazione Finanziaria.

Le Motivazioni: Il Principio di Inerenza e l’Onere della Prova

L’analisi della Corte si è sviluppata su due fronti distinti: la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi e la detraibilità ai fini IVA.

Deducibilità ai Fini delle Imposte Dirette

La Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della Legge 537/1993, i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili. Il punto cruciale non è l’identità formale del fornitore, ma la realtà economica dell’operazione. Se il contribuente dimostra che il costo è stato effettivamente sostenuto ed è inerente alla propria attività d’impresa, ha diritto alla deduzione.

Nel caso di specie, il contribuente aveva fornito prove sufficienti: l’esistenza di contratti d’appalto, il pagamento delle prestazioni e le dichiarazioni dei lavoratori. L’Agenzia, invece, si era limitata a contestare l’operazione senza fornire elementi concreti per dubitare della congruità della spesa o della sua correlazione con l’attività aziendale. La Cassazione ricorda che il principio di inerenza è un giudizio qualitativo, non quantitativo. L’antieconomicità di una spesa può essere un indizio di non inerenza, ma spetta all’Amministrazione dimostrare, anche tramite indizi, l’inattendibilità della condotta del contribuente.

Indetraibilità dell’IVA: La Prova della Consapevolezza

Per quanto riguarda l’IVA, il discorso è diverso e più stringente. La giurisprudenza, sia nazionale che europea, stabilisce che per negare il diritto alla detrazione dell’imposta, non è sufficiente che l’operazione sia inserita in una frode. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare che il cessionario (il contribuente) sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’IVA. Nel caso esaminato, i giudici di merito avevano accertato in fatto la mancanza di consapevolezza da parte del contribuente, e tale valutazione non è stata ritenuta sindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza consolida orientamenti giurisprudenziali cruciali per le imprese, offrendo importanti indicazioni pratiche:

1. Distinzione Fondamentale: È essenziale distinguere tra operazioni oggettivamente inesistenti (mai avvenute, costi mai deducibili) e soggettivamente inesistenti (realmente avvenute ma con un fornitore fittizio). Per queste ultime, la deducibilità del costo è possibile.
2. Onere della Prova sui Costi: Per le imposte sui redditi (IRPEF/IRES), l’onere principale del contribuente è dimostrare l’effettività e l’inerenza del costo. Non è compito del Fisco sindacare le scelte imprenditoriali, a meno che non dimostri una palese antieconomicità che faccia dubitare della realtà dell’operazione.
3. Diligenza per l’IVA: Sul fronte IVA, la buona fede si presume. Spetta all’Agenzia delle Entrate provare la malafede o la colpa grave del contribuente. Ciò non toglie che per le imprese sia fondamentale adottare procedure di controllo e verifica dei propri fornitori per dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile.

Un costo per un’operazione soggettivamente inesistente è sempre deducibile ai fini delle imposte dirette?
Sì, a condizione che il costo sia stato effettivamente sostenuto e soddisfi i requisiti generali di deducibilità, come l’inerenza, la competenza, la certezza e la determinabilità, anche se l’operazione è inserita in una frode.

Chi deve provare l’inerenza di un costo?
Il contribuente ha l’onere iniziale di dimostrare i fatti che collegano il costo alla propria attività d’impresa. Se l’Amministrazione Finanziaria contesta l’inerenza sulla base dell’antieconomicità o incongruità della spesa, spetta a essa fornire elementi, anche indiziari, che dimostrino l’inattendibilità della condotta del contribuente.

Per detrarre l’IVA su una fattura soggettivamente inesistente, cosa deve provare il contribuente?
Inizialmente, l’onere della prova grava sull’Amministrazione Finanziaria, che deve dimostrare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che la transazione faceva parte di una frode IVA. Solo se l’Amministrazione fornisce tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che dovrà dimostrare di aver agito con la massima diligenza per evitare di essere coinvolto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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