Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18373 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18373 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20301-2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore , COGNOME nonché quest’ultimo e COGNOME , in proprio, rappresentati e difesi, per procure speciali in calce al ricorso , dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente-
Oggetto
: TRIBUTI –
accertamenti bancari – costi
avverso la sentenza n. 262/03/2021 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 19 gennaio 2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento emessi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, a ristretta base societaria, e di quelli emessi nei confronti dei soci per i conseguenti redditi di capitale. Gli avvisi di accertamento, scaturiti da indagini finanziarie conseguenti all’omessa presentazione del modello dichiarativo da parte della società contribuente per l’anno d’imposta 2012, e fondate anche sulle risultanze delle movimentazioni bancarie, erano relativi ad imposte dirette ed IVA per gli anni 2012, 2013 e 2014.
La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Roma, riuniti i separati ricorsi proposti dalla società e dai soci, accoglieva parzialmente il ricorso dei contribuenti riconoscendo i costi del personale nella formazione del reddito di impresa per l’anno di imposta 2012 . Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) del Lazio r espingeva l’appello principale dei contribuenti e accoglieva parzialmente quello incidentale de ll’Ufficio .
2.1. In via preliminare, la CTR dichiarava infondate tutte le eccezioni di nullità sollevate dai contribuenti appellanti per irregolarità formali degli avvisi impugnati, ritenendo le stesse sanate per il raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 cod. proc. civ.
2.2. Nel merito, il collegio di seconde cure , con riferimento al motivo di appello con cui era stata contestata l’omessa pronu ncia da parte della CTP sul difetto di motivazione degli atti impositivi, riteneva «esaustiva la sentenza di primo grado sotto il profilo motivazionale».
2.3. Quanto alla sussistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento parziale , ex art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, la CTR riteneva che l’Ufficio avesse raccolto elementi di prova in grado di
accertare in maniera certa e precisa l’esistenza di materia imponibile sottratta a tassazione. Inoltre, sottolineava come la società contribuente non avesse prodotto alcuna prova documentale riferita ai movimenti bancari idonea a superare le presunzioni legali previste in favore dell’amministrazione finanziaria.
2.4. Quanto ai costi, richiamando Cass. n. 23873/2010, rigettava la richiesta di deduzione di componenti negativi di reddito in mancanza di prova della certezza del loro sostenimento e quella di riconoscimento di «costi occulti» di cui i contribuenti non avevano fornito documentazione che ne comprovasse la certezza, l’effettività e l’inerenza all’attività d’impresa.
2.5. Per ciò che concerne i ricorsi proposti dai soci, la CTR rilevava che gli stessi avevano omesso di fornire idonea prova a sostegno della mancata percezione degli utili.
2.6. Quanto all ‘appello incidentale proposto dall’Ufficio, lo accoglieva parzialmente nella parte in cui i giudici di prime cure avevano omesso di indicare nel dispositivo della sentenza impugnata il socio NOME COGNOME.
2.7. Rigettava, invece, il motivo di impugnazione della statuizione di primo grado che aveva riconosciuto costi per il personale, detraendolo dal reddito accertato.
Avverso tale statuizione la società contribuente ed i soci propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di cassazione i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’ omessa pronuncia in ordine all’ eccezione relativa alla violazione dell’art. 2 , comma 6, del d.lgs. 82/2005 e dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, per non avere la CTR considerato nulli gli avvisi di accertamento firmati digitalmente ma notificati con modalità tradizionali e non tramite pec.
1.1. Il motivo che, diversamente da quanto obiettato in controricorso, è ammissibile, perché esaurientemente formulato, è infondato e va rigettato in quanto sulla questione dedotta nel motivo la CTR ha pronunciato dichiarando «infondate tutte le eccezioni di nullità sollevate avverso tutti gli avvisi – per irregolarità formali», ritenendo le stesse sanate per il raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 cod. proc. civ.
1.2. Al riguardo pare opportuno osservare che l’eccezione sollevata dai ricorrenti è comunque infondata nel merito posto che, per condiviso principio giurisprudenziale, applicabile al caso di specie per essere stati gli atti impositivi emessi e notificati nell’anno 2017, nella vigenza dell’art. 2, comma 6, del CAD, «La copia analogica dell’avviso di accertamento, sottoscritta digitalmente dal funzionario incaricato e dichiarata conforme all’originale informatico nel rispetto della previsione dell’art. 23 del d.lgs. n. 82 del 2005, tiene luogo del menzionato originale ed è validamente notificata al contribuente oltre che a mezzo posta elettronica certificata, anche a mezzo del servizio postale» (Cass. n. 13995/2024; in termini anche Cass. n. 1150/2021, citata dalla controricorrente). Peraltro, deve ricordarsi che la possibilità di una notifica a mezzo PEC per gli atti impositivi è stata introdotta solo a decorrere dal 1° luglio 2017, a seguito dell’aggiunta del comma 6 all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 7-quater, comma 6, del d.l. n. 193 del 2016 e che, pertanto, l’amministrazione finanziaria, non potendo utilizzare la notifica a mezzo PEC prima di tale data, ha correttamente proceduto alla notifica ordinaria di una copia analogica dell’atto informatico, munita della prescritta attestazione di conformità (in tal senso, in motivazione, Cass. n. 1150/2021 e n. 13995/2024, cit.)
1.3. A ciò aggiungasi che nel caso in esame è incontestato, e comunque non provato, che gli atti impositivi notificati in copia cartacea presentavano l’attestazione di conformità all’originale; che la conformità del documento analogico a quello digitale non risulta essere stata
nemmeno disconosciuta dai contribuenti; che è pacifico che gli atti siano comunque giunti nella sfera di conoscibilità dei destinatari sicché, come espressamente affermato dai giudici di appello, trova applicazione il principio consolidato secondo cui, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c., ove l’atto, malgrado l’irritualità della notifica, sia venuto a conoscenza del destinatario, la nullità non può essere dichiarata per il raggiungimento dello scopo (cfr. ex multis , Cass., Sez U, n. 7665/2016).
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la «Mancanza assoluta di motivazione del provvedimento impugnato o ‘motivazione apparente’, violazione della norma di cui al combinato disposto degli artt. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 36 comma 2 n. 4 D.lgs. 546/1992, art. 61 D.lgs. 546/1992 e art. 1 comma 2 D.Lgs. 546/1992».
2.1. Sostengono i ricorrenti di aver dedotto in appello l’omessa pronuncia da parte dei giudici di primo grado sul motivo di ricorso incentrato sul difetto di motivazione degli avvisi di accertamento « in quanto contraddittoria, di conseguenza incomprensibile », e che la CTR, «con motivazione del tutto apparente, quindi sostanzialmente omessa », aveva ritenuto « esaustiva la sentenza di primo grado sotto il profilo motivazionale » ancorché nella stessa non vi fosse alcuna statuizione in merito.
2.2. Il motivo, che, diversamente da quanto sostiene la controricorrente, è ammissibile essendo stato dedotto il difetto di motivazione della sentenza impugnata e non anche un’omessa pronuncia sul motivo di appello di cui si discute, è comunque infondato e va rigettato.
2.3. Invero, la censura è basata su una lettura parziale della sentenza d’appello in quanto nella stessa la CTR ha affermato, « con riguardo all’omessa pronuncia da parte della CTP sul difetto di motivazione degli avvisi », che doveva ritenersi « esaustiva la sentenza
di primo grado sotto il profilo motivazionale » ed ha precisato che « Contrariamente a quanto ex adverso sostenuto la predetta pronuncia offre una puntuale disamina degli avvisi, entrando nel merito della controversia sorta ».
2.4. È ben evidente, quindi, che il motivo di appello proposto dai contribuenti – di omessa pronuncia dei giudici di primo grado sul difetto di motivazione degli atti impositivi -, è stato rigettato sull’assunto, assolutamente chiaro ed esauriente, quindi con argomentazione che si pone ben al di sopra del minimo costituzionale di cui all’art. 111, comma 6, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014), che la sentenza di primo grado conteneva un rigetto implicito del vizio motivazionale degli atti impositivi dedotto in primo grado.
2.5. A quanto detto devono aggiungersi due considerazioni.
2.6. La prima è che il giudizio di appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia (cfr. Cass. n. 19579/2018; n. 3559/2010; n. 17127/2007) sicché va affermato il seguente principio di diritto: «in materia di processo tributario, l’ omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un motivo di ricorso avverso l’atto impositivo non può comportare la riforma del l’impugnata sentenza , né tampoco la retrocessione del processo al grado inferiore, ma impone al giudice d’appello di pronunciare sul motivo pretermesso ; ne consegue che il ricorso per cassazione può essere proposto solo per contestare la motivazione resa dai giudici di appello sul motivo di merito o la mancanza di motivazione, ma non invece per contestare l’omessa motivazione o, comunque, la motivazione resa dal giudice di grado superiore sulla censura di omessa pronuncia del giudice di grado inferiore».
2.7. La seconda considerazione è che la questione, che era oggetto del motivo originariamente proposto con il ricorso in primo grado,
ovvero di nullità dell’avviso di accertamento per motivazione contraddittoria sul metodo di accertamento adottato in concreto dall’amministrazione finanziaria, non è utilmente deducibile per carenza di interesse posto che, come affermato da Cass. n. 26035/2024, in motivazione, è riservata alla sede giudiziale l’accertamento dell’effettiva incidenza delle irregolarità riscontrate nella contabilità della parte contribuente sulla rideterminaz ione del reddito d’impresa, ai fini della verifica della legittimità (non più del metodo utilizzato per l’accertamento ma) della pretesa tributaria risultante dall’atto impositivo.
Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. , l’ «omessa pronuncia su una domanda ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla ricorrente relative alla violazione dell’art. 32 , comma 1 punto 2 DPR n. 600 del 1973 come modificato dall’art. 7 -quater del D.L. 193/2016 convertito con la Legge 225/2016, in relazione alla ricostruzione operata con l’utilizzo delle indagini finanziarie ».
3.1. Sostengono che la CTR non aveva tenuto conto delle soglie di rilevanza dei prelevamenti per i titolari dei redditi di impresa poste dal citato art. 7-quater.
3.2. Il motivo incorre in una duplice ragione di inammissibilità.
3.3. Innanzitutto, va rilevato che con il motivo in esame i ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia della CTR su un motivo di appello deducendo erroneamente la violazione delle disposizioni in materia di obbligo di motivazione delle sentenze (artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost.) anziché la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
3.4. Al riguardo va ricordato il principio secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove
il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» (Cass. n. 27551/2024).
3.5. Per tale ragione, è evidente il difetto di specificità del motivo che non può neppure essere riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 (richiamata anche in Cass., Sez. U, n. 1785 del 2018, par. 4.1.3.), considerato che, pur essendo stata dedotta la violazione di una norma processuale ( error in procedendo , ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), il motivo non reca univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass., Sez. U, n. 17931/2013; Cass. n. 10862/2018).
3.6. Il secondo profilo di inammissibilità attiene più specificamente al contenuto della censura dedotta che è priva di qualsiasi specificazione in ordine all’effettiva sussistenza di riprese a tassazione di movimenti bancari sotto la soglia prevista dal citato art. 7quater , nella specie assolutamente necessaria tenuto conto del fatto che la controricorrente ha espressamente negato che i movimenti bancari accertati violino la predetta disposizione.
Con il quarto motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. nonché dell’art. 39 comma 2 del dpr 600/1973, dell’art. 109 del tuir e dell’art. 2697 c.c.» , per non
avere la CTR c onsiderato l’incidenza percentuale dei costi nella ricostruzione induttiva.
4.1. Il motivo è fondato.
4.2. E’ consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti».
4.3. La Corte costituzionale, pur dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale essendo possibile un’interpretazione adeguatrice della norma, ha osservato che, in caso di accertamento induttivo in senso stretto (o puro), l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio -cui ha fatto riferimento la stessa Corte nella sentenza n. 225 del 2005 -secondo il quale deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria, precisando che è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi. L’accertamento analitico -contabile (che aveva originato l’incidente di legittimità costituzionale) si caratterizza -invece – per la rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili (il bilancio, in particolare) e dall’esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come le risultanze delle movimentazioni bancarie. Presupposto
dell’utilizzo del metodo analitico o misto è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali: in sostanza, la determinazione del reddito è compiuta nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza. Proprio la presenza di una contabilità generalmente attendibile, e una ripresa a tassazione che si realizza mediante rettifiche di singole «poste» della stessa, implica che ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola ritraibile dall’art. 109 t.u.i.r., in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l’onere della prova è a carico del contribuente. Da tale sistema, secondo il giudice delle leggi, deriverebbero esiti irragionevoli perché finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico-induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. Pertanto, la disposizione censurata intanto si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale in quanto si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi «occulti», scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analiticoinduttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratt i dall’ammontare dei prelievi non giustificati» (Corte cost. n. 225 del 2005).
4.4. Pertanto, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice fornita dal giudice delle leggi, si rivela dunque errata la decisione impugnata nella parte in cui afferma che non è possibile riconoscere, in mancanza di idonea documentazione comprovante la certezza , l’effettività e l’inerenza dei costi, la sussistenza, in misura percentuale, di costi presunti a fronte di maggiori ricavi.
4.5. Il motivo va dunque accolto.
4.6. In sede di rinvio la Corte di giustizia tributaria dovrà quindi rideterminare il reddito imponibile del contribuente riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati, avvalendosi anche – se del caso dell’ausilio di consulenza tecnica d’ufficio (in tal senso Cass. n. 5586/2023, con riguardo ad analoga fattispecie).
In sintesi, va accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri, e la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025.