Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4932 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4932 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 20920/2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE. di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, DI COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 34/2020 della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata l’8 gennaio 2020 ; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria notificò due avvisi di accertamento a RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (d’innanzi «RAGIONE_SOCIALE»), il primo per la ripresa a tassazione di minori perdite ai fini Irap per l’anno 2010 e il secondo per la ripresa a tassazione di maggior imponibile per l’anno di imposta 2011, entrambi oltre a interessi e sanzioni.
Alla rettifica del reddito societario per il 2011 fece seguito la notifica di un ulteriore avviso ai soci NOME COGNOME NOME, NOME e NOME COGNOME in relazione ai redditi personali.
La pretesa erariale si fondava sul rilievo dell’indebita deduzione , da parte della società, di spese affrontate a partire dal 2009, che rappresentavano costi mai effettivamente sostenuti in quanto contabilizzati a fronte di operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero prive dei requisiti di cui agli artt. 109 TUIR, 5 e 11 del d.lgs. n. 446/1997; tali costi -consistiti, in particolare, in contributi pubblicitari per associazioni sportive dilettantistiche e nella sponsorizzazione di manifestazioni artistiche -erano stati imputati pro quota ai periodi d’imposta successivi, presi a riferimento negli avvisi.
Entrambi gli atti impositivi vennero impugnati con ricorso congiunto dalla società e dai soci NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME; NOME COGNOME propose invece autonomo ricorso con riferimento alla propria posizione per l’anno 2011.
La Commissione tributaria provinciale di Campobasso, riunite tutte le impugnazioni, le accolse.
Il successivo appello erariale fu respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali condivisero anzitutto il rilievo della C.T.P. in punto all’illegittimità dell’accertamento svolto in relazione all’anno 2009 per intervenuta decadenza, essendo decorsi i termini di cui agli artt. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e 57 del d.P.R. n. 633/1972; non sussistevano, infatti, denunce penali a carico dei soci che consentissero il raddoppio di tali termini.
Osservarono, inoltre, quanto all’affermato difetto dei requisiti di veridicità e inerenza delle spese di pubblicità, che l’appello dell’Ufficio non conteneva specifiche contestazioni alle puntuali considerazioni svolte dai giudici di primo grado. A tale riguardo, peraltro, specificarono che l’Amministrazione avrebbe potuto svolgere i propri accertamenti instaurando il contraddittorio endoprocedimentale.
Ritennero, infine, che il rilievo di illegittimità dell’accertamento per il periodo di imposta originario rendesse illegittimi i rilievi riferiti all’ammortamento dei costi pluriennali ne i periodi d’imposta successivi.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato a sette motivi; gli intimati non hanno svolto difese in questa sede.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denunzia la nullità della sentenza per difetto di motivazione.
Al riguardo, in disparte i capi della decisione inerenti al raddoppio dei termini per l’esercizio del potere impositivo e alla rettifica delle quote di ammortamento dei costi (oggetto di successive, specifiche
ragioni di censura), osserva che, con riferimento alla deducibilità dei costi, la C.T.R. non ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto infondate le sue doglianze e si è limitata a un apodittico riferimento alla sentenza di primo grado, della quale non ha neppure riportato i punti salienti in parte qua .
A tale specifico proposito, il ricorso riproduce il contenuto della sentenza di primo grado nella quale nulla era affermato in relazione ai requisiti di veridicità e inerenza dei costi, salvo il rilievo, in termini del tutto privi di significato, del fatto che tali ultimi avrebbero potuto essere accertati «in sede di contraddittorio endoprocedimentale».
Con il secondo motivo è denunziata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché degli artt. 18, 21, 24 e 57 del d.lgs. n. 546/1992.
L’Agenzia ricorrente osserva che il tema della decadenza erariale dal potere impositivo dall’annualità 2009 era estraneo alla controversia, tant’è che in relazione a tale ultimo era stato emesso diverso atto impositivo, oggetto di distinta impugnazione.
Il terzo mezzo concerne il medesimo capo della sentenza impugnata ed è articolato in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5), cod. proc. civ.
La ricorrente evidenzia che dal testo dell’atto impositivo risultava con chiarezza il fatto che, in seguito alle attività di verifica, gli operanti della Guardia di Finanza avevano trasmesso una comunicazione di notizia di reato alla Procura della Repubblica di Isernia, donde era scaturita l’apertura di un procedimento penale in tempo utile a consentire il raddoppio dei termini per l’esercizio della potestà impositiva.
Con il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 76 TUIR e 2697 cod. civ., la ricorrente censura la
sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto non autonomamente recuperabile, da parte dell’Amministrazione, la quota di imputazione a periodo di imposta di un costo sostenuto in annualità precedente, con assunto lesivo del principio di autonomia dei periodi di imposta.
Con il quinto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR, 19 e 21 del d.P.R. n. 633/1972, 2697 cod. civ. e 90, comma 8, della l. n. 289/2002.
La censura si appunta sul rilievo, operato dalla C.T.R., secondo cui l’Amministrazione avrebbe potuto accertare la veridicità e l’inerenza dei costi mediante il contraddittorio endoprocedimentale.
Secondo l’Agenzia, tale affermazione, al di là del suo contenuto meramente ipotetico, si porrebbe in contrasto con il principio regolatore dell’onere probatorio in subiecta materia , spettando interamente al contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti per la deducibilità di un costo; nel caso di specie, infatti, le fatture allegate da RAGIONE_SOCIALE non riportavano la specifica indicazione delle prestazioni effettuate e non erano supportate da alcuna documentazione idonea a comprovare l’effettività dell’ope razione.
Il sesto mezzo, nuovamente riferendosi al capo della sentenza di cui al motivo che precede, denunzia la violazione dell’art. 12 della l. n. 212/2000.
L’Amministrazione osserva infatti che, laddove avesse voluto far riferimento a un obbligo erariale all’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, la sentenza impugnata sarebbe errata, vertendosi in fattispecie di accertamento ‘a tavolino’ e relativo a tributi non armonizzati, in relazione al quale tale obbligo non sussiste.
Inerente al medesimo capo della decisione è, infine, anche il settimo motivo, con il quale la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2909 cod. civ., evidenziando che un’affermazione puramente
ipotetica quale quella oggetto di censura non sarebbe idonea a formare il giudicato sul punto.
È opportuno procedere allo scrutinio dei motivi seguendo l’ordine logico delle considerazioni svolte dai giudici d’appello nella sentenza impugnata, come più sopra riassunte.
Vanno dunque esaminati per primi il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, inerenti all’affermata illegittimità dell’accertamento relativo all’anno 2009; fra questi, in particolare, il quarto motivo va esaminato con precedenza.
8.1. Lo stesso è fondato e meritevole di accoglimento.
In proposito, è sufficiente richiamare il principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 8500/2021 resa a Sezioni Unite, secondo cui «in caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale , non per l’ errato computo del singolo rateo dedotto, ma a causa del fatto generatore e del presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, ex art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, e non già del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio».
8.2. Da tale principio si è discostata la sentenza impugnata, che ha preso a riferimento il termine per la rettifica riferito all’anno 2009, ovvero al periodo d’imposta nel quale il costo era stato iscritto per la prima volta.
La sentenza d’appello è dunque errata in parte qua.
In tale statuizione resta assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso.
Si può poi procedere allo scrutinio del quinto, sesto e settimo motivo di ricorso, attinenti al cd. principio del contraddittorio endoprocedimentale, che la sentenza d’appello adombra essere stato violato dall’Ufficio nel caso di specie.
9.1. Il sesto motivo, che assume priorità logica, è fondato e va accolto, restando in tale statuizione assorbito l’esame dei restanti.
È noto, infatti, che le garanzie endoprocedimentali del contribuente -nelle ipotesi in cui, come nella specie, l’accertamento sia effettuato ‘a tavolino’ determinano un obbligo generale di contraddittorio a carico dell’Amministrazione, a pena di invalidità dell’atto, esclusivamente per i tributi armonizzati .
Un analogo vincolo generalizzato non era infatti rinvenibile nella legislazione nazionale , all’epoca dei fatti di causa, per i tributi non armonizzati; sul punto, com’è noto, il legislatore è intervenuto con l’art. 1, comma 1, lett. e ), del d.lgs. n. 219 del 2023, inserendo nella legge n. 212 del 2000 l’art. 6 -bis , in tema di contraddittorio preventivo, del quale ha tuttavia espressamente previsto l’applicabilità solo a far data dal 30 aprile 2024.
Pertanto, il generico riferimento operato dai giudici d’appello al contraddittorio endoprocedimentale non assume alcun rilievo ai fini della validità del presente accertamento.
Resta l’esame del primo motivo, che attiene al tema della deducibilità dei costi; la ricorrente, in particolare, sostiene che sul punto la sentenza sia nulla per carenza di motivazione.
10.1. Anche detta censura è fondata.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in
violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’ art. 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
In tal senso, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l ‘ iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
Ben può accadere, poi, che la sentenza impugnata sia motivata per relationem , non di rado con richiamo alla decisione di un precedente grado del giudizio; in tal caso, la sanzione di nullità permane ove non sia possibile appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa
specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (cfr. Cass. n. 22022/2017).
10.2. Nel caso di specie, decidendo sulla questione della deducibilità dei costi, i giudici d’appello hanno operato un mero richiamo al contenuto della sentenza di primo grado, affermando che in tal sede i giudici avevano «motivato ampiamente sulla inerenza dei costi e delle spese», in termini rimasti insuperati dall’appello dell’Uffici o, privo di «motivi» o «doglianze» al riguardo.
Ed invero, a prescindere dal fatto che un simile richiamo non contiene alcuna indicazione autosufficiente, né realizza una forma virtuosa di rinvio per relationem , idoneo a far ritenere assolto l’obbligo di motivazione nei termini più sopra indicati, va poi osservato che la sentenza di primo grado -alla quale il Collegio può accedere stante la deduzione di un error in procedendo -non conteneva alcuna motivazione relativa alla veridicità e inerenza dei costi, limitandosi ad osservare, sul punto, che l’Amministrazione avrebbe potuto compiere il relativo accertamento «in sede di contraddittorio endoprocedimentale».
10.3. Sul punto, pertanto , la sentenza d’appello non è supportata da argomenti che consentano di comprendere quale sia stato il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla conferma della decisione di primo grado; e siffatta impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi conduce a ravvisare il denunziato difetto di motivazione.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata anche sotto tale profilo, con rinvio al giudice a quo affinché, decidendo in diversa composizione, si conformi ai principii indicati, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo, quarto e sesto motivo, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2025.