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Costi per operazioni inesistenti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32272/2024, ha chiarito la disciplina dei costi per operazioni inesistenti. Nel caso specifico, una società italiana aveva dedotto costi per acquisti di merce da un fornitore cinese, fatturati tramite due società interposte (una a Hong Kong, l’altra nel Regno Unito) creando un ricarico di prezzo fittizio. La Corte ha stabilito che la mera presentazione di bollette doganali non è sufficiente a provare la realtà sostanziale dell’operazione e la deducibilità dei costi. L’onere di dimostrare l’effettiva esistenza e inerenza dei costi spetta al contribuente, soprattutto quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce prove, anche presuntive, dell’inesistenza oggettiva dell’operazione. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi per Operazioni Inesistenti: la Cassazione fa il punto sull’Onere della Prova

Con la recente ordinanza n. 32272/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: la deducibilità dei costi per operazioni inesistenti. Questa decisione chiarisce i confini dell’onere probatorio a carico del contribuente quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la fittizietà, anche parziale, di transazioni commerciali, specialmente in contesti internazionali complessi.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata italiana. L’Amministrazione Finanziaria contestava la deduzione di costi per oltre 900.000 euro, ritenuti riferiti a operazioni in parte soggettivamente e in parte oggettivamente inesistenti.

In particolare, l’Ufficio aveva ricostruito uno schema secondo cui la società contribuente acquistava merce da un produttore cinese, ma le relative fatture venivano emesse da due società interposte, una con sede a Hong Kong e una nel Regno Unito. Questo meccanismo, secondo l’accusa, era finalizzato a creare un “surplus” di prezzo fittizio, ovvero un costo aggiuntivo non corrispondente a un’effettiva prestazione di servizi, al solo scopo di abbattere la base imponibile in Italia.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso della società. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale, in appello, annullava integralmente l’atto di accertamento, sostenendo che la società avesse dimostrato la realtà delle operazioni commerciali attraverso la documentazione doganale e che l’Agenzia non avesse sollevato contestazioni sulla quantità e modalità di consegna della merce.

Il Ricorso per Cassazione e la questione dei costi per operazioni inesistenti

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente tre vizi:

1. Difetto assoluto di motivazione: La sentenza regionale si sarebbe limitata a un’affermazione apodittica, senza spiegare il percorso logico-giuridico che l’aveva portata a ritenere i costi interamente deducibili, a fronte della dettagliata ricostruzione fornita dall’Ufficio.
2. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (ultrapetizione): La CTR aveva annullato l’intero avviso di accertamento, comprese le riprese per costi non inerenti e non documentati che non erano state oggetto specifico di appello da parte della società.
3. Violazione di legge (art. 109 TUIR): La CTR aveva erroneamente ritenuto sufficiente la prova della movimentazione fisica della merce (tramite bollette doganali) per giustificare la deducibilità di costi che l’Ufficio contestava come oggettivamente inesistenti nella loro componente di ricarico artificiale.

L’Agenzia sosteneva che il vero punto della contestazione non era se la merce fosse arrivata, ma se il costo fatturato dalle società interposte fosse reale e inerente all’attività d’impresa, o se invece nascondesse una componente fittizia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata. Il ragionamento dei giudici si è concentrato sulla natura della prova in materia di costi per operazioni inesistenti.

La Corte ha affermato che l’affermazione della CTR, secondo cui “le operazioni commerciali sono state accertate nella loro esistenza attraverso il riscontro con le bollette doganali”, è illogica e giuridicamente errata. Le bollette doganali, infatti, provano solo l’aspetto formale del flusso di fatturazione e l’ingresso fisico della merce nel territorio, ma non dimostrano la sostanza e la realtà delle “operazioni commerciali” nel loro complesso, specialmente quando si contesta un’interposizione fittizia.

I giudici hanno chiarito un punto fondamentale: a fronte di una contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti (in questo caso, il surplus di prezzo), spetta al contribuente fornire la prova dell’effettiva esistenza e inerenza dei costi. Tale prova non può consistere nella semplice esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili, poiché questi documenti sono spesso utilizzati proprio per mascherare operazioni fittizie.

Il rimprovero mosso dalla CTR all’Agenzia per non aver contestato quantità o modalità di trasporto è stato ritenuto irrilevante. La contestazione principale era sull’oggettiva inesistenza del servizio di intermediazione che giustificava il ricarico di prezzo, e questo assorbe ogni altro profilo. La derivazione di costi da un’attività che è espressione di distrazione verso finalità diverse da quelle proprie dell’impresa fa venir meno il requisito indefettibile dell’inerenza.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce un principio consolidato: nel contenzioso tributario, la forma non prevale sulla sostanza. Le aziende che operano in contesti internazionali devono essere in grado di dimostrare non solo che una transazione è avvenuta, ma anche che i costi sostenuti sono reali, effettivi e strettamente correlati all’attività d’impresa. La creazione di strutture societarie all’estero, se utilizzata per allocare fittiziamente costi e ridurre il carico fiscale in Italia, espone a seri rischi di contestazione. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati dalla Suprema Corte.

La presentazione delle bollette doganali è sufficiente a provare la deducibilità dei costi in caso di operazioni contestate?
No, secondo la Corte di Cassazione il riscontro con le bollette doganali di importazione non offre la prova del sostanziale e reale compimento delle operazioni commerciali, ma solo una documentazione formale del flusso di fatturazione.

Qual è la differenza tra inesistenza soggettiva e oggettiva ai fini della deducibilità dei costi?
L’ordinanza si concentra sull’inesistenza oggettiva, che si verifica quando l’operazione stessa (o una sua parte, come un ricarico di prezzo) non è mai avvenuta. In questo caso, il costo è sempre indeducibile perché manca il requisito dell’inerenza. L’inesistenza soggettiva, invece, riguarda l’identità dei soggetti coinvolti e segue regole probatorie diverse.

Su chi ricade l’onere di provare l’effettiva esistenza e inerenza dei costi contestati come fittizi?
Una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostra, anche con presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente provare l’effettiva esistenza dei costi ai fini della loro deduzione. Questa prova non può essere assolta con la sola esibizione della fattura o la regolarità delle scritture contabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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