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Costi per fatture false: quando sono deducibili?

Una società di riciclaggio ha impugnato avvisi di accertamento per costi derivanti da fatture ritenute false. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che i costi per fatture false (operazioni soggettivamente inesistenti) sono deducibili se la transazione sottostante è reale e inerente all’attività. La Corte ha sottolineato che i fatti emersi in un parallelo processo penale, conclusosi con un’assoluzione, devono essere valutati dal giudice tributario come prova presuntiva, anche se la sentenza penale non ha efficacia di giudicato.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi per Fatture False: Quando l’Impresa Può Deducurli? L’Analisi della Cassazione

La gestione fiscale di un’impresa è complessa e piena di insidie. Una delle problematiche più delicate riguarda la deducibilità dei costi per fatture false, tecnicamente definite per operazioni soggettivamente inesistenti. Con l’ordinanza n. 34912 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale, offrendo importanti chiarimenti sul riparto dell’onere della prova e sul valore degli elementi emersi in un procedimento penale. Analizziamo insieme questa decisione per capire quali sono le implicazioni pratiche per le aziende.

Il Caso: Accertamenti Fiscali e la Difesa dell’Imprenditore

Una società operante nel settore del riciclaggio di materiali ferrosi si è vista notificare due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2009 e 2010. L’Amministrazione Finanziaria contestava, tra le altre cose, la deducibilità di ingenti costi relativi a fatture considerate oggettivamente inesistenti.

La tesi difensiva dell’azienda era chiara: le operazioni di acquisto di rottami erano reali e inerenti all’attività d’impresa. Tuttavia, le fatture erano state emesse da soggetti terzi (clienti occasionali) e non dal reale fornitore, il quale avrebbe imposto pagamenti quasi esclusivamente in nero. Si trattava, quindi, di operazioni “soggettivamente” inesistenti, non oggettivamente.

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano dato solo parzialmente ragione alla società. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale aveva respinto l’appello principale dell’azienda, ritenendo che la contribuente non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare la realtà delle operazioni. La vicenda è così approdata in Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la deducibilità dei costi per fatture false

La Suprema Corte ha ribaltato il verdetto dei giudici d’appello, accogliendo i motivi principali del ricorso della società. La Cassazione ha cassato le sentenze impugnate e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame, basato sui principi di diritto enunciati.

Il cuore della decisione risiede nel riconoscimento che il giudice tributario aveva errato nel non considerare adeguatamente gli elementi probatori offerti dalla contribuente, in particolare quelli provenienti da un processo penale parallelo.

Le Motivazioni: Il Valore delle Prove e del Processo Penale

La Corte ha fondato la sua decisione su alcuni pilastri argomentativi fondamentali, che chiariscono come affrontare i casi di costi per fatture false.

L’Errore nel Dichiarare l’Appello Inammissibile

I giudici di merito avevano ritenuto che la società, in appello, avesse introdotto una “domanda nuova” e inammissibile. La Cassazione ha corretto questa impostazione, chiarendo che l’allegazione di nuove circostanze (come il contenzioso tra il Fisco e il fornitore reale) non modificava la causa petendi, ma costituiva una mera specificazione della linea difensiva già tracciata in primo grado: la deducibilità dei costi per operazioni solo soggettivamente inesistenti.

L’Importanza dei Fatti Emersi nel Giudizio Penale

Un punto cruciale è il peso dato ai fatti accertati in un separato giudizio penale. In quel processo, l’amministratore della società era stato assolto dall’accusa di frode fiscale. Sebbene la sentenza di assoluzione non avesse efficacia di giudicato nel processo tributario, la Corte ha sottolineato che i fatti storici emersi (come l’imposizione di pagamenti in nero da parte del fornitore e la corrispondenza tra i prelievi di contanti e i pagamenti) avrebbero dovuto essere attentamente valutati dal giudice tributario come prova presuntiva.
Ignorare questi elementi, come aveva fatto la corte territoriale, costituisce un vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

L’Onere della Prova e la Prova Presuntiva Contraria

La Cassazione ha ribadito che, a fronte di un accertamento basato sulla presunta falsità delle fatture, il contribuente ha il diritto di fornire la prova contraria. Questa prova non deve essere necessariamente documentale, ma può basarsi su presunzioni. Il giudice di merito aveva errato nell’imporre alla società un onere probatorio eccessivo, pretendendo la dimostrazione dell'”ammontare effettivo” delle operazioni tramite “scritture diverse dalle fatture false”.
Al contrario, il giudice di rinvio dovrà valutare tutti i fatti storici controversi, inclusi quelli emersi in sede penale, per determinare se e in quale misura i costi siano deducibili.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

L’ordinanza in esame offre tre importanti lezioni per le imprese che si trovano ad affrontare contestazioni sui costi per fatture false:
1. Deducibilità dei costi: I costi relativi a operazioni reali e inerenti all’attività sono deducibili, anche se documentati da fatture emesse da un soggetto interposto. L’onere è dimostrare la realtà dell’operazione e il suo costo effettivo.
2. Valore delle prove penali: Gli elementi di fatto che emergono in un processo penale, anche se concluso con un’assoluzione senza formula piena, costituiscono una fonte di prova presuntiva fondamentale nel processo tributario e non possono essere ignorati dal giudice.
3. Onere della prova: L’impresa può difendersi utilizzando prove presuntive. Non è necessario fornire una prova documentale “perfetta” quando questa è impossibile da ottenere a causa della natura fraudolenta del meccanismo imposto da terzi.

Un’impresa può dedurre i costi documentati da fatture emesse da un soggetto diverso dal reale fornitore?
Sì, secondo la Corte di Cassazione è possibile. Se l’operazione commerciale (ad esempio, l’acquisto di beni) è effettivamente avvenuta e il costo è inerente all’attività d’impresa, tale costo è deducibile anche se la fattura proviene da un soggetto fittizio (operazione soggettivamente inesistente). Il contribuente ha l’onere di provare la realtà dell’operazione e del costo sostenuto.

Quale valore hanno le prove e i fatti emersi in un processo penale (concluso con assoluzione) all’interno del processo tributario?
Anche se la sentenza penale di assoluzione non ha efficacia diretta di giudicato nel processo tributario (poiché i presupposti e le finalità dei due giudizi sono diversi), i fatti storici accertati in quella sede non possono essere ignorati. Essi costituiscono importanti elementi di prova presuntiva che il giudice tributario deve considerare criticamente per formare il proprio convincimento.

Se l’Amministrazione Finanziaria contesta la veridicità delle fatture, come può il contribuente difendersi?
Il contribuente può difendersi fornendo la prova contraria, anche attraverso presunzioni. Non è obbligato a produrre documenti diversi dalle fatture false per dimostrare l’ammontare effettivo del costo. Può utilizzare qualsiasi elemento (come testimonianze, documenti bancari, fatti emersi in altri giudizi) per costruire un quadro presuntivo solido che dimostri la realtà e l’inerenza dell’operazione economica contestata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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