Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31496 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31496 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5/2016 R.G. proposto da :
COGNOME NOME E NOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE DIREZIONE RAGIONE_SOCIALE PERUGIA RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-intimata-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PERUGIA n. 277/2015 depositata il 18/05/2015. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Con plurimi avvisi di accertamento, notificati il 29/12/2011, l’Agenzia delle Entrate contestava alla società RAGIONE_SOCIALE ed ai suoi soci illimitatamente responsabili la fatturazione di operazioni inesistenti, da cui sarebbe derivato un maggior reddito imponibile con conseguenti imposte evase per circa 29.000 Euro oltre a relative sanzioni.
La società ed i suoi soci proponevano ricorso avverso detti avvisi di accertamento, lamentando che gli stessi avevano confidato nella veridicità delle operazioni e nella regolarità del soggetto prestatore, tanto è vero che il procedimento penale nei loro confronti si era chiuso con un provvedimento di archiviazione emesso dal GIP di Perugia.
La Commissione Tributaria Provinciale di Perugia accoglieva il ricorso, annullando gli avvisi di accertamento.
Successivamente invece, adita dall’ufficio, la CTR dell’Umbria, con la sentenza n. 277/2015, accoglieva l’appello proposto dall’amministrazione finanziaria, confermando gli atti impugnati.
Avverso detta sentenza hanno proposto impugnazione COGNOME ed i soci con ricorso ritualmente notificato.
L’Agenzia delle Entrate non ha depositato controricorso, ma una mera memoria a valere per l’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
E’ stata quindi fissata udienza camerale per il 16/10/2024.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dai contribuenti si fonda su due motivi:
Violazione dell’art. 14, comma 4 bis, della L. n. 537 del 1993 in relazione all’art. 360 co. 1 nn. 3 c.p.c.
Secondo i ricorrenti, la sentenza d’appello avrebbe, in modo del tutto sintetico e con motivazione sostanzialmente illogica, omesso di considerare il disposto dell’art. 14, comma 4 bis della L. 537 del 1993, invece valorizzato dalla decisione di primo grado e, inoltre, avrebbe dato rilievo ad alcune dichiarazioni rese da un certo COGNOME nell’ambito del procedimento penale, omettendo poi di considerare la concreta fattispecie in esame e trattando li caso, in modo indistinto, ora come una fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti, ora come un caso di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti, pur essendo diversi gli oneri probatori in capo all’Agenzia come pure la distinta qualificazione dei fatti contestati.
II) Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. I giudici di secondo grado avrebbero dato rilievo alla dichiarazione del COGNOME assunta nel corso del procedimento penale, omettendo poi di considerare che quello stesso procedimento si era concluso accertando la completa estraneità ai fatti dei ricorrenti, per i quali il GIP aveva disposto l’archiviazione, non essendo perciò stata esercitata l’azione penale nei loro confronti.
La sentenza impugnata avrebbe omesso ogni considerazione per detta conclusione favorevole ai ricorrenti ed avrebbe altresì errato dando rilievo indiziario ad un elemento isolato e contraddetto dall’insieme degli elementi probatori cui avrebbe dovuto, complessivamente, dare rilievo.
I motivi di ricorso appaiono strettamente connessi, al di là della diversa intitolazione formale, e possono pertanto essere affrontati unitariamente.
Gli stessi sono, altresì, fondati.
Nella stringata motivazione della sentenza oggetto di impugnazione, si attribuisce infatti rilievo al fatto che nel corso di indagini penali era emerso che la ditta RAGIONE_SOCIALE era cessata sin dal 1998 e che lo stesso COGNOME, nel corso di un interrogatorio, aveva dichiarato di aver emesso delle fatture di comodo per prestazioni da lui mai eseguite.
Di poi la motivazione afferma ‘ammesso pure che i contribuenti non fossero a conoscenza dell’inesistenza soggettiva della ditta fornitrice, sicuramente sapevano dell’inesistenza oggettiva delle prestazioni’.
La sentenza impugnata non ha preso minimamente in considerazione quanto affermato dalla decisione di primo grado, che, sulla base degli elementi forniti dai ricorrenti emersi nel procedimento penale, aveva trattato il caso come una fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti di cui i contribuenti non avevano avuto consapevolezza, risultando perciò applicabile -a dire della CTP -l’art. 14 comma 4 bis della l. 537/1993 che non consente la deduzione di costi relativamente a beni e prestazioni utilizzati direttamente per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale sia stata esercitata l’azione penale. In particolare, nel provvedimento di archiviazione, riportato con ampio stralcio nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, si legge che ‘il coindagato COGNOME per favorire COGNOME NOME e COGNOME NOME, reali interlocutori degli indagati, ha fatturato, pur essendo estraneo al rapporto sottostante, le prestazioni richieste dagli indagati ma eseguite dalla COGNOME che dallo stesso COGNOME…in difetto di elementi certi in ordine a detta condizione soggettiva ed in presenza di operazioni comunque
eseguite e retribuite l’accusa nei confronti degli indagati non è sostenibile in giudizio …’. Si deve inoltre considerare che la motivazione degli avvisi di accertamento -pure contestata sin dal ricorso introduttivo avanti la CTP di Perugia -riporta alcune dichiarazioni del COGNOME in cui si afferma che alcune fatture dal medesimo emesse erano da ritenersi di ‘comodo’ ed altre invece erano semplicemente ‘gonfiate’ nell’importo, senza alcun riferimento al fatto che l’una o l’altro tipo di situazione concernesse le fatture emesse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per l’anno di imposta oggetto di accertamento (il 2005).
Nessuna di tali circostanze, valorizzate dal giudice di primo grado, è stata affrontata dalla decisione della CTR oggetto di impugnazione, che nei suoi laconici passaggi motivazionali, non raggiunge il minimo costituzionale richiesto.
E’ noto che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Nel caso di specie, la C.t.r. omette di prendere una posizione espressa circa la riconduzione della fattispecie ad un utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente oppure soggettivamente inesistenti.
L’art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012), che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, rende infatti deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti salvo che siano relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo per il quale sia stata esercitata l’azione penale, circostanza qui pacificamente non avvenuta.
Del resto, in tema di iva, si è anche affermato che in caso di operazioni soggettivamente inesistenti ‘l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente’ (Cass. n. 24471/2022) e solo una volta raggiunta tale dimostrazione, la prova contraria incombente sul contribuente si sposta sulla diligenza massima impiegata nell’aver omesso di accertare la propria partecipazione ad un’operazione di evasione fiscale.
Va inoltre ricordato che per Cass., Sez. 5, ord. n. 8480 del 15/03/2022, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993 – nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012 l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti.
Pertanto, la sentenza impugnata non avrebbe potuto omettere una qualificazione dei fatti ed affrontare, di conseguenza, la possibile operatività del cit. art. 14, comma 4 bis.
In definitiva, pertanto, il ricorso va integralmente accolto.
La pronuncia impugnata va quindi cassata con rinvio alla CTR dell’Umbria (nel frattempo divenuta Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) affinché, in diversa composizione, proceda ad una nuova valutazione del caso attenendosi ai principi enunciati.
Il giudice del rinvio provvederà altresì alla regolamentazione delle spese, anche per il presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie entrambi i motivi di ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione, per un nuovo esame ed al fine di provvedere alla regolamentazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta