Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20753 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20753 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4223/2017 R.G. proposto da :
CURATELA SOCIETA’ AZIENDA RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI RAVENNA
-intimato- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’EMILIA -ROMAGNA n. 1903/2016 depositata il 08/07/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1903/16 depositata in data 08/07/2016, ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita nel 2016 ( hinc: RAGIONE_SOCIALE, contro la sentenza n. 151/2015, che aveva, a sua volta, respinto il ricorso della società contribuente contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2006, con il quale era stato accertato un maggior reddito d’impresa, a fini I RES, pari a Euro 6.138.160, con il disconoscimento di costi per Euro 4.806.945,56, riconoscendo maggiori componenti positivi per Euro 80.282,65. Veniva, poi, accertato il valore della produzione in Euro 4.863.527 ai fini IRAP e una maggior imposta di Euro 1.111.121 ai fini IVA, con il disconoscimento di detrazioni indebite per Euro 1.094.964,00 in relazione a fatture per operazioni inesistenti e con addebito di IVA su operazioni imponibili non fatturate. Venivano, poi, applicate le sanzioni di legge nell’importo maggiorato pari al 50%.
La CTR -con particolare riferimento alle questioni oggetto di censura nel presente giudizio di cassazione incentrate sui rapporti e la natura delle operazioni intrattenute con i sig.ri COGNOMEha evidenziato in merito al fornitore COGNOME NOME che:
-l’impresa, sorta nel maggio 2006 era cessata un anno dopo, senza presentare alcuna dichiarazione ai fini IVA, né fare alcun versamento al fisco, al quale è rimasta sconosciuta. Tale fornitore non aveva esibito alcuna documentazione contabile, asserendo, poi, che quest’ultima si trovasse, probabilmente, in un’autovettura (di cui non ricordava la targa) che era stata rubata, senza presentare alcuna denuncia;
-l’impresa non possedeva attrezzature o macchinari ed esercitava l’attività usando le attrezzature di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, poi diventata RAGIONE_SOCIALE di Cerignola, in base a un contratto di locazione (di vasi vinari e automezzi) e a un contratto di fornitura di servizi;
-non aveva i dipendenti necessari per le peculiarità dell’attività svolta;
–NOME NOME era un nullatenente, sprovvisto di garanzie per le aperture di credito presso istituti bancari e, all’epoca dei fatti, era l’ultimo di una catena di prestanomi;
-la società contribuente era stata la maggiore cliente di COGNOME NOMECOGNOME da cui aveva fatto acquisti per oltre un milione di euro, cui aveva corrisposto, contrariamente a ogni logica commerciale, asseriti acconti per oltre Euro 890.000 nell’anno d’impos ta 2006.
Risulta, quindi, il difetto di un minimo di diligenza professionale in capo alla società contribuente, nel relazionarsi con tale tipologia di fornitore, senza chiedere né ricevere in minimo di garanzie, a fronte della corresponsione di acconti così ingenti. A ciò si aggiungono gli
ulteriori elementi probatori che derivano dall’indagine penale e contenuti nella sentenza del GUP di Bari del 06/06/2013, dove sono riportate le trascrizioni di alcune intercettazioni esperite durante il procedimento penale e relative alla frode fiscale, alle quali si aggiungono le dichiarazioni rilasciate da uno dei partecipi a quest’ultima. Ne scaturiva un quadro probatorio connotato da una condotta dolosa del contribuente di compartecipazione alla frode fiscale perpetrata.
Contro la sentenza della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con un motivo suddiviso in due censure di violazione di legge.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 bis, legge 24/12/1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con d.l. 02/03/2012, n. 16, art. 8, comma 1, convertito dalla le gge 26/04/2012, n. 44) e dell’art. 53 Cost.
1.1. La ricorrente rileva la sentenza impugnata incorre nella violazione dell’art. 14, comma 4 bis, legge 24/12/1993, n. 537, per aver ritenuto che i rapporti intrattenuti con il fornitore COGNOME fossero riconducibili a operazioni oggettivamente inesistenti, sebbene in sede di appello fosse stato rilevato come tali rapporti fossero stati qualificati in termini di operazioni soggettivamente inesistenti e tale circostanza non fosse stata censurata. In particolare, se è vero che nell’avviso di accertamento impugnato era stato contestato alla società contribuente di aver contabilizzato costi relativi a operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti,
è altrettanto vero che, in relazione alle operazioni con i fornitori COGNOME, i rilievi erano stati motivati come operazioni soggettivamente inesistenti, come risulta a pag. 3 dell’avviso di accertamento (richiamata a pag. 25 del ricorso in cassazione). A pag.
10 dell’avviso di accertamento era stato puntualizzato, con riferimento alla posizione del sig. COGNOME che si trattasse di inesistenza dal punto di vista soggettivo ( i.e. soggetti diversi da quelli documentalmente apparenti).
Già nel ricorso davanti al giudice di prime cure era stato evidenziato come l’amministrazione finanziaria, in relazione alle operazioni con il sig. COGNOME avesse contestato solamente la circostanza della realizzazione con soggetti diversi, al punto da non disconoscerne i ricavi, senza consentire, al contempo, la deduzione dei relativi costi.
1.2. Tale circostanza veniva, poi, ripresa anche nell’atto d’appello a pag. 9 (v. pag. 28 del ricorso in cassazione).
1.3. La sentenza impugnata, tuttavia, ha violato l’art. 14, comma 4-bis, cit., laddove ha affermato che: « risulta evidente quanto meno il difetto in capo all’Azienda RAGIONE_SOCIALE, di un minimo di diligenza professionale, nel relazionarsi a tali soggetti, senza chiedere né ricevere garanzie di alcun tipo a fronte di così ingenti acconti. All’insieme di tali elementi probatori, che appaiono già sufficiente da soli ad affermare la sussistenza in capo al contribuente della condotta contestata e la sussistenza dei presupposti impositivi per operare il recupero fiscale effettuato dall’Agenzia delle Entrate con l’Avviso di Accertamento impugnato, si ag giungono gli ulteriori elementi probatori che derivano dall’indagine penale commessa …» (v. pag. 30 ricorso in cassazione).
1.4. La ricorrente ha, poi, evidenziato (pag. 30 del ricorso in cassazione) che nel ricorso introduttivo (pag. 31) aveva denunciato come i costi oggetto di contestazione avessero generato ricavi che
concorrevano a formare la base imponibile. Tale motivo di doglianza veniva, poi, ripreso anche nell’atto di appello dove veniva contestato che, a fronte della mancata contestazione del carattere fittizio delle operazioni de quibus , il corollario era che se la merce fosse stata effettivamente venduta era altrettanto evidente che doveva essere stata acquistata in precedenza.
A differenza dei ricavi -definiti nell’art. 56 t.u.i.r. i costi non sono definiti nel T.U. delle imposte sui redditi. È pertanto necessario rinviare alla nozione comune, acquisita in sede contabile che identifica i costi come un fattore negativo della produzione. In tale accezione rientrano nella previsione del T.U. cit. , che, nel dettare le norme generali sui componenti del reddito d’impresa, sanc isce il principio che le spese e gli altri componenti negativi del reddito, così come gli oneri afferenti ai ricavi sono ammessi in deduzione.
La CTR, avendo accertato che ai costi inesistenti per l’acquisto di prodotti vinosi corrispondessero ricavi effettivi conseguenti alla cessione di prodotti, a suo dire mai acquistati, ha leso il principio di capacità contributiva della società contribuente.
Passando all’esame del motivo di ricorso, occorre dare atto che è infondata la censura, secondo cui la CTR avrebbe qualificato le operazioni intrattenute con il sig. COGNOME come oggettivamente inesistenti: la motivazione della CTR, nel rilevare che l ‘uso di un minimo di diligenza professionale, nel relazionarsi a tali soggetti, senza chiedere né ricevere garanzie di alcun tipo a fronte di così ingenti acconti versati e a fronte della circostanza che il fornitore risultava un nullatenente, oltre a un prestanome, giunge al corollario di una consapevole partecipazione della società contribuente al meccanismo frodatorio. In altre parole, secondo la CTR l’elemento soggettivo -che deve essere necessariamente provato in caso di operazioni soggettivamente inesistenti -nel caso di specie è
integrato non già dalla conoscenza o conoscibilità della riconducibilità delle operazioni a un meccanismo fraudolento, ma dall’ effettiva partecipazione a quest’ultimo da parte della società contribuente. L’incedere argomentativo della sentenza impugnata, sotto tale profilo, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, secondo cui, in tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., 09/08/2022, n. 24471; Cass., 20/04/2018, n. 9851).
2.1. Ciò premesso e dato atto che le operazioni in esame sono state considerate come soggettivamente inesistenti occorre richiamare il contenuto dell’art. 14, comma 4 -bis, legge n. 537 del 1993, il quale prevede che: « Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il
compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi. »
Sull’interpretazione della norma appena evocata questa Corte ha precisato che, in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012), che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale ius superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem , sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una frode carosello), per il solo fatto che sono stati sostenuti, anche se l’acquirente è consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass., 15/10/2024, n. 26786, v. anche Cass., 06/07/2018, n. 17788).
Il carattere soggettivamente inesistente delle operazioni non esclude, quindi, la deducibilità dei costi, purché non siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza (o determinabilità) o tali costi riguardino beni o servizi direttamente usati per un delitto non colposo. Questa Corte ha, infatti, precisato che, in tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012 (conv. in l. n. 44 del 2012), poiché nel caso di operazioni soggettivamente
inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, bensì per essere commercializzati, non è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni anche ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (Cass., 30/10/2018, n. 27566).
2.2. Proprio in relazione al profilo appena evocato emerge l’inammissibilità del motivo di ricorso per difetto di specificità, fermo restando che tale motivo è, comunque, infondato. La CTR ha ritenuto le fatture emesse dal COGNOME come soggettivamente inesistenti, come da contestazione dell’Ufficio, ma non ha riconosciuto i relativi costi perché mancava la prova dei requisiti di cui all’art. 109 tuir, non avendo la contribuente allegato gli elementi per valutare l’inerenza, certezza, ecc.
2.3. È altresì infondata la censura sull’asserita violazione dell’art. 53 Cost.: il riconoscimento forfettario dei costi vale solo per l’accertamento induttivo puro e, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale (C. cost. n. 10 del 2023), in alcuni casi di accertamento analitico induttivo conseguente all’espletamento delle indagini bancarie ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973. Nel caso di specie l’amministrazione finanziaria non ha, tuttavia, proceduto alla ricostruzione dei ricavi con metodo induttivo. Difatti, come si legge a pag. 1 della sentenza impugnata l’avviso di accertamento nei confronti dell’odierna parte ricorrente scaturisce da verifiche fiscali eseguite nei confronti di varie società fornitrici della società contribuente, che erano risultate coinvolte in meccanismi di frode e di altre violazioni di normative fiscali.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a pagare, in favore della parte controricorrente, le spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 18.000, oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/04/2025.