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Costi operazioni soggettivamente inesistenti: deducibili?

Un’azienda vinicola si è vista negare la deduzione di costi per acquisti da un fornitore fittizio. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20753/2025, ha respinto il ricorso dell’azienda, stabilendo che in caso di costi da operazioni soggettivamente inesistenti, non è sufficiente che la merce sia reale. Il contribuente deve anche dimostrare la certezza e l’inerenza dei costi. La grave negligenza nei controlli sul fornitore è stata considerata prova della partecipazione alla frode, rendendo i costi indeducibili.

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Pubblicato il 24 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi da Operazioni Soggettivamente Inesistenti: la Cassazione Chiarisce i Limiti alla Deducibilità

L’acquisto di beni da un fornitore che si rivela essere un mero prestanome pone complesse questioni fiscali. La deducibilità dei costi da operazioni soggettivamente inesistenti è uno dei temi più dibattuti. Con la recente ordinanza n. 20753/2025, la Corte di Cassazione è tornata sul punto, delineando con precisione gli oneri probatori a carico del contribuente e il valore della diligenza professionale per non essere considerati complici di una frode.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore vinicolo impugnava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi per oltre 4,8 milioni di euro e la detrazione di IVA per oltre 1 milione di euro. Le contestazioni derivavano da rapporti commerciali con un fornitore risultato essere un prestanome, privo di struttura aziendale, di dipendenti e di garanzie patrimoniali.

Questo fornitore, sorto nel maggio 2006 e cessato un anno dopo senza mai presentare dichiarazioni fiscali, era di fatto un soggetto fittizio. Nonostante ciò, l’azienda vinicola gli aveva corrisposto acconti per quasi 900.000 euro, senza richiedere alcuna garanzia. La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la legittimità dell’accertamento, ritenendo che la società contribuente avesse agito con una grave mancanza di diligenza, tale da configurare una consapevole partecipazione alla frode fiscale.

La Questione sulla Deducibilità dei Costi da Operazioni Soggettivamente Inesistenti

Il cuore del ricorso in Cassazione si basava sulla presunta violazione dell’art. 14, comma 4-bis, della legge 537/1993. Secondo la difesa dell’azienda, poiché le operazioni erano solo soggettivamente inesistenti (la merce era stata effettivamente acquistata, sebbene da un venditore diverso da quello indicato in fattura) e i costi erano stati realmente sostenuti, questi avrebbero dovuto essere ammessi in deduzione. Si sosteneva che i costi, avendo generato ricavi tassati, dovessero essere riconosciuti per non ledere il principio di capacità contributiva.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato. Gli Ermellini hanno chiarito che, sebbene la normativa consenta in linea di principio la deduzione dei costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti, ciò è subordinato a una condizione precisa: il contribuente deve fornire la prova rigorosa che tali costi soddisfano i requisiti generali di deducibilità previsti dall’art. 109 del TUIR, ovvero la loro effettività, certezza e, soprattutto, la loro inerenza all’attività d’impresa.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che l’azienda si era limitata ad affermare di aver sostenuto i costi, senza però fornire alcun elemento concreto per valutarne l’inerenza. La Cassazione ha inoltre confermato l’impianto logico della sentenza di merito: la totale assenza di diligenza professionale da parte dell’acquirente nel verificare l’affidabilità di un partner commerciale così palesemente anomalo (un nullatenente a cui venivano versati ingenti acconti) non rappresenta una semplice negligenza, ma un elemento indiziario grave, preciso e concordante che dimostra la consapevolezza e la partecipazione alla frode fiscale. Di fronte a un quadro probatorio che indica un coinvolgimento doloso nella frode, l’onere di dimostrare la realtà e l’inerenza dei costi diventa ancora più stringente, e in questo caso non è stato assolto.

Le conclusioni

La decisione della Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale in materia fiscale: la diligenza professionale non è un optional. Un imprenditore non può ignorare evidenti segnali di anomalia di un fornitore senza subirne le conseguenze fiscali. Per ottenere la deducibilità dei costi da operazioni soggettivamente inesistenti, non basta affermare che i beni sono stati acquistati e i costi sostenuti. È necessario fornire una prova completa e rigorosa della loro certezza e della loro stretta correlazione con l’attività d’impresa. In assenza di tale prova, e in presenza di indizi che suggeriscono un coinvolgimento consapevole nella frode, il Fisco ha il diritto di considerare tali costi interamente indeducibili.

I costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti sono sempre indeducibili?
No. In linea di principio, sono deducibili se il contribuente riesce a provare che sono stati effettivamente sostenuti e che rispettano i requisiti generali di effettività, inerenza, competenza e certezza, come previsto dalla normativa fiscale.

Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria per negare la deduzione di questi costi?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche attraverso indizi, non solo che il fornitore era un soggetto fittizio (prestanome), ma anche che l’acquirente era consapevole della frode o avrebbe dovuto esserlo usando la normale diligenza professionale.

Cosa significa agire con la ‘massima diligenza’ nei rapporti con i fornitori?
Significa adottare le cautele di un operatore commerciale accorto. Versare ingenti acconti a un fornitore sconosciuto, privo di una struttura aziendale e di garanzie, senza effettuare alcuna verifica, è stato considerato dalla Corte una grave mancanza di diligenza che implica la consapevole partecipazione a una frode fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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