Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31877 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31877 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26810/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. L’AQUILA n. 326/2017 depositata il 20/04/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe della Commissione Tributaria Regionale (CTR) dell’Abruzzo che aveva accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate
contro
la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Teramo e, in riforma di questa decisione, aveva rigettato i ricorsi riuniti proposti dal contribuente contro gli avvisi di accertamento per gli anni dal 2009 al 2010 recanti recupero di IRES, IVA e IREP a seguito della contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti: si trattava di acquisti dal RAGIONE_SOCIALE, con cui la ricorrente aveva avuto rapporti già negli anni precedenti, fatturati da soggetti terzi interposti.
La CTR, respinte le questioni di ordine formale sollevate dalla contribuente, ha ritenuto provate tanto le operazioni soggettivamente inesistenti, quelle fatturate dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, quanto la consapevolezza da parte della RAGIONE_SOCIALE del loro carattere fraudolento.
La CTR ha anche escluso la deducibilità dei costi derivanti dalle contestate operazioni, ritenendo l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 14 comma 4 bis della l. n. 537/1993, come modificato dall’art. 8, comma 1 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (conv. in L. n. 44 del 2012), proprio per la « consapevolezza della frode fiscale che sta a monte dell’operazione cedente -cessionario ».
Il ricorso si fonda su quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’articolo 12 dello Statuto del contribuente e dell’art. 6 comma 2 CEDU per mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 14 comma
4 e 4 bis della l. n.537/1993 laddove la CTR ha ritenuto non
deducibili i costi sostenuti in relazioni alle operazioni soggettivamente inesistenti contestate.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 2697 c.c. e 19 D.P.R. n. 633/1972 sotto due diversi profili: a) omessa prova da parte dell’Agenzia dell’interposizione delle due società; b) violazione della regola di giudizio in ordine la consapevolezza della frode fiscale in capo alla RAGIONE_SOCIALE.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., falsa applicazione dell’art. 68 d.P.R. n. 287/1992, dell’art. 2 quater l. n. 665/1994 e del DM 11/02/197 n. 37 per illegittimo esercizio del potere di autotutela.
Il primo e il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
5.1. Secondo la ricorrente vi era stata una lesione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale, che richiede l’instaurazione di un « dialogo incrociato » tra fisco e contribuente, e tale vizio non poteva ritenersi sanato con l’esercizio del potere di annullamento in autotutela e l’emissione di nuovo atto che, quindi, era illegittimo.
5.2. Su tali questioni la CTR ha osservato il legittimo e tempestivo esercizio del potere di autotutela con annullamento del primo atto emesso, privo di riferimenti alle controdeduzioni formulate dal contribuente avverso il propedeutico PVC, con successiva emissione, entro il termine decadenziale dell’azione accertativa, di un nuovo atto che aveva tenuto conto delle osservazioni e delle richieste della contribuente, il cui diritto al contraddittorio non era stato leso non essendo imposto « all’ufficio di aprire un tavolo di dibattito con il contribuente ma solamente di dare contezza nell’atto impositivo delle ragioni che lo hanno indotto all’emissione di detto atto ».
5.3. La CTR ha fatto buon governo dei principi in materia poiché il diritto al contraddittorio si sostanzia, secondo l’art. 12 comma 7 dello Statuto del contribuente (l. n. 212/2000), nel riconoscimento a favore del contribuente di un termine minimo di sessanta giorni, a seguito della comunicazione degli esiti dell’accertamento mediante consegna del PVC, che l’Amministrazione deve rispettare prima di provvedere all’emanazione dell’atto impositivo, salva la ricorrenza di ragioni d’urgenza ( Cass. sez. un. n. 24823 del 2015; per la giurisprudenza successiva, tra le tante, Cass. n. 22819 del 2022; Cass. n. 12412 del 2022; Cass. n. 12713 del 2022).
5.4 La norma tutela il diritto al contribuente al contraddittorio concedendo un termine entro il quale poter proporre osservazioni e difese, ‘avendo in mano’ il PVC con tutte le contestazioni mossegli. L’Amministrazione è tenuta a valutare tali osservazioni, ma non ad esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo: secondo la giurisprudenza di questa Corte, è valido l’avviso di accertamento che non menziona le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso altresì che la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali è espressamente prevista dalla legge oppure da cui deriva una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto (Cass. n. 12343 del 2024; Cass. n. 8378 del 2017).
5.5. Invece, come correttamente osservato dalla CTR, non è imposto all’Amministrazione di aprire un dialogo con il contribuente in ordine alle osservazioni avanzate da quest’ultimo. Un diritto al contraddittorio in termini così estesi non si ritrova neppure nell’ordinamento sovranazionale, ove si richiede all’Amministrazione che adotti provvedimenti destinati ad incidere sulle posizioni soggettive dei destinatari di mettere costoro in condizione di esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (Corte giust., 18 dicembre 2008, in C -349/07, Sopropé , punto 37; ex multis, Corte
giust., 22 ottobre 2013, in C276/12, Sabou , punto 38; Corte giust., 17 dicembre 2015, in C -419/14, WebMindlicenses , punto 84). Qualora l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, la violazione -in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze -comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e sempre che, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Corte giust., sentenze 10 ottobre 2009, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE , in C -141/08, punto 94; Corte giust., 10 settembre 2013, M.G. e N.R., in C -383/13, punto 38; Corte giust., 26 settembre 2013, RAGIONE_SOCIALE , in C -418/11, punto 84; Corte giust., 3 luglio 2014, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , in C -129/13 e C -130/13, punti 79 e 82).
5.5.1. Il parametro di riferimento è costituito dal principio di effettività -per il quale le modalità procedurali interne « non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione » -, principio che, tuttavia, come ribadito dalla Corte di Giustizia, « non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso » (Corte giust., 4 giugno 2020 , SC RAGIONE_SOCIALE , in C -430/19, punti 35 e 37).
Il secondo motivo, invece, è fondato.
6.1. In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta con l’art.
8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla l. n. 44 del 2012, norma integrante ius superveniens astrattamente più favorevole al contribuente e, quindi, avente efficacia retroattiva (Cass. n. 9077 del 2021), l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, non utilizzati direttamente per commettere il reato, anche per l’ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del T.U. delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. n. 917 del 1986, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. n. 11020 del 2022; Cass. n. 8480 del 2022; Cass. n. 24426 del 2013).
6.2. Sul tema questa Corte ha avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 16 del 2012, che la nuova normativa comporta che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati, di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento), non vengono utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; resta ferma, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 2012, seguita da Cass. n. 3258 del 2013).
6.3. In questo caso non risulta che la ricorrenza dei requisiti di deducibilità sia stata contestata dall’Agenzia, che anzi osserva in controricorso che nel corso del giudizio si era « sempre e solo
discusso circa la sussistenza o meno di una consapevolezza della società ricorrente alla frode fiscale» (pag. 4).
7. Il terzo motivo è inammissibile.
7.1. Dietro il paradigma della violazione di legge si tenta di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito, accertamento che incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. sez. un. n. 34476 del 2019). Va rammentato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015). Infatti, « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017).
7.2. Laddove si contesti al soggetto passivo IVA il compimento di operazioni soggettivamente inesistenti e si neghi il diritto alla
detrazione dell’IVA assolta in rivalsa, come ben chiarito da questa Corte (Cass., n. 9851 del 2018), l’Amministrazione finanziaria deve provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era in grado, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, di appurare che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (v. anche Cass. n. 2471 del 2022; Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 27555 del 2018; Cass. n. 27566 del 2018; Cass. n. 5873 del 2019; Cass. n. 15369 del 2020).
7.3. In questo caso la CTR ha evidenziato « tre circostanze di grave rilevanza sintomatica, in base alla quale poter ritenere che l’appellata conoscesse o almeno fosse in condizione di poter conoscere l’illecito fiscale che si consumava a monte della sua operazioni d’acquisto »: 1) mentre nel periodo 2000 -2006 la società aveva intrattenuto rapporti commerciali direttamente con i fratelli COGNOME o con società facenti capo a questi ultimi, nel periodo 2006 -2010, le operazioni contestate sono fatturate da soggetti non riconducibili a costoro, che appaiono solo come procacciatori d’affari; 2) da società estere riconducibili ai fratelli COGNOME erano pervenuti su conti cifrati di cui erano beneficiari i soci della società ricorrente consistenti somme di denaro (« movimenti finanziari di parziale retrocessioni di fatture ricevute »), « comprovanti l’utilità conseguita dalla contribuente nell’accettare una tale forma di
fatturazione »; 3) infine, la società, nonostante il credito certo nei confronti di una delle due società apparenti cedenti, non aveva avviato alcuna iniziativa di recupero.
7.3.1. Si tratta di un apprezzamento in fatto che rientra nei poteri esclusivi del giudici di merito ed è incensurabile dal Giudice di legittimità, a cui la ricorrente non chiede un controllo di legalità ma di procedere ad una revisione di tale accertamento offrendo elementi in fatto di segno contrario (i versamenti effettuati da società del Gruppo Padovani avevano titolo diverso e si riferivano a ‘premi fedeltà’, era inverosimile la partecipazione alla frode considerata la modesta entità degli importi – euro 209.576,00 rispetto ai rischi di natura economica e penale). E’ evidente come l a critica si risolva in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio , ponendosi su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1785 del 2018).
Conclusivamente, accolto il secondo motivo e rigettati gli altri, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice del merito.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12/09/2024.