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Costi operazioni inesistenti: deducibili con prove

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31877/2024, ha stabilito un importante principio sui costi per operazioni soggettivamente inesistenti. Una società produttrice si era vista negare la deducibilità di costi per acquisti fatturati da società interposte, ma riconducibili a un suo fornitore storico. La Corte ha accolto parzialmente il ricorso, affermando che, anche in caso di consapevolezza della frode, i costi sono deducibili se non utilizzati per commettere il reato e se rispettano i principi di effettività, inerenza e competenza, annullando la sentenza precedente e rinviando il caso per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi operazioni inesistenti: quando sono deducibili secondo la Cassazione

La deducibilità dei costi per operazioni inesistenti è uno dei temi più dibattuti nel diritto tributario. Con la recente ordinanza n. 31877 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza, stabilendo che tali costi possono essere dedotti anche se l’acquirente è consapevole del carattere fraudolento dell’operazione, a patto che vengano rispettati specifici requisiti di effettività e inerenza. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società produttrice si è vista recapitare diversi avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria recuperava IRES, IVA e IRAP per gli anni dal 2009 al 2010. La contestazione riguardava una serie di acquisti ritenuti soggettivamente inesistenti. In pratica, la società aveva acquistato beni dal suo fornitore storico, ma le fatture erano state emesse da società terze interposte.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, ritenendo provata non solo l’inesistenza soggettiva delle operazioni, ma anche la piena consapevolezza della società acquirente riguardo al meccanismo fraudolento. Di conseguenza, la CTR aveva escluso la deducibilità dei costi relativi a tali acquisti. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la questione sui Costi operazioni inesistenti

Il ricorso della società si basava su quattro argomenti principali:

1. Violazione del contraddittorio: La società lamentava la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale prima dell’emissione dell’atto di accertamento.
2. Errata applicazione della norma sulla deducibilità: Il punto cruciale. La società sosteneva di avere il diritto di dedurre i costi, basandosi sull’art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537/1993, che consente la deducibilità dei costi da operazioni soggettivamente inesistenti se non sono in contrasto con i principi generali.
3. Mancanza di prova: Secondo la ricorrente, l’Amministrazione Finanziaria non aveva provato adeguatamente né l’interposizione fittizia né la sua consapevolezza della frode.
4. Uso illegittimo dell’autotutela: Si contestava il potere dell’Amministrazione di annullare un primo atto e di emetterne un secondo per sanare vizi procedurali.

La Decisione della Corte sul Contraddittorio e l’Autotutela

La Cassazione ha respinto i motivi relativi alla violazione del contraddittorio e all’uso dell’autotutela. La Corte ha chiarito che il diritto al contraddittorio è garantito dal termine di 60 giorni che l’Amministrazione deve rispettare dopo la consegna del verbale di constatazione (PVC) prima di emettere l’avviso di accertamento. Non è richiesto un vero e proprio ‘dialogo’ o ‘tavolo di dibattito’.

Inoltre, se l’Amministrazione si accorge di un vizio procedurale, può legittimamente annullare in autotutela il primo atto e, nel rispetto dei termini di decadenza, emetterne uno nuovo che tenga conto delle osservazioni del contribuente, sanando così il vizio iniziale.

L’Accoglimento del Motivo sui Costi da Operazioni Inesistenti

Il cuore della decisione risiede nell’accoglimento del secondo motivo, quello relativo alla deducibilità dei costi per operazioni inesistenti. La Corte ha ribadito un principio ormai consolidato, derivante dalle modifiche normative introdotte nel 2012.

La nuova normativa (ius superveniens favorevole al contribuente e quindi retroattivo) stabilisce che, nelle operazioni soggettivamente inesistenti, i beni vengono effettivamente acquistati e solitamente commercializzati. Pertanto, il solo coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente nella frode non è più sufficiente per negare la deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su una distinzione chiave: la consapevolezza della frode non esclude a priori la deducibilità del costo. Per negarla, è necessario che i costi siano stati utilizzati ‘direttamente per commettere il reato’ (ad esempio, il compenso pagato all’emittente della falsa fattura), il che non è il caso dei costi per l’acquisto di beni che vengono poi rivenduti.

La Cassazione ha quindi affermato che la deducibilità deve essere verificata in concreto, controllando la sussistenza dei requisiti generali previsti dalla normativa fiscale: effettività, inerenza, competenza, certezza e determinabilità. Poiché nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria non aveva contestato la mancanza di tali requisiti, limitandosi a negare la deducibilità sulla base della sola consapevolezza della frode, la decisione della CTR è stata ritenuta errata. La Corte ha cassato la sentenza e ha rinviato il caso al giudice di merito per una nuova valutazione basata su questo principio.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento fondamentale per le imprese: la partecipazione consapevole a una frode carosello non comporta l’automatica indeducibilità dei costi per l’acquisto di beni reali. Il contribuente ha il diritto di dedurre tali costi se può dimostrare che sono effettivi, inerenti all’attività d’impresa e rispondono ai criteri generali di deducibilità. La sentenza sposta l’onere della prova: l’Amministrazione non può più limitarsi a provare la consapevolezza della frode, ma deve contestare specificamente la mancanza dei requisiti di deducibilità del costo.

Quando sono deducibili i costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti?
I costi sono deducibili anche se l’acquirente è consapevole del carattere fraudolento dell’operazione, a condizione che tali costi non siano stati utilizzati direttamente per commettere il reato (come il compenso per la falsa fatturazione) e che rispettino i requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinabilità.

La violazione del diritto al contraddittorio può essere sanata dall’Amministrazione Finanziaria?
Sì. Se l’Amministrazione emette un atto senza rispettare il diritto al contraddittorio, può annullarlo in autotutela e, entro i termini di decadenza, emetterne uno nuovo che tenga conto delle osservazioni del contribuente, sanando così il vizio procedurale originario.

Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria per negare la detrazione IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione deve provare, anche tramite indizi, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando la normale diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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