Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1142 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3337/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende (EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA n. 5422/2021 depositata il 01/07/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Campania ( hinc: CTR), con la sentenza n. 5422/2022 depositata in data 01/07/2021, ha rigettato l’appello proposto contro la sentenza n. 8127/2019, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, in data 13/06/2019, aveva respinto il ricorso proposto da COGNOMERAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento a fini Irpef, Iva e Irap per l ‘ anno d ‘ imposta 2015, con cui si contestava una maggiore imposta Iva per € 63.951,00 ed IRAP per €14.969,00.
La CTR, in merito alla contestazione relativa alla mancata attivazione del contradditorio, ha rilevato come, secondo la giurisprudenza di legittimità, tale violazione possa determinare l ‘ invalidità dell ‘ atto impositivo, solo se il contribuente fornisca la c.d. «prova di resistenza» (Cass., Sez. U, 09/12/2015, n. 24823). Nel caso in esame, tuttavia, non è stato assolto « l ‘ onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato », avendo provveduto ad esibire unicamente fatture che, per costante orientamento giurisprudenziale, non possono assumere valore
probatorio con riguardo a vicende concernenti operazioni oggettivamente inesistenti.
2.1. Ha poi ritenuto infondata la contestazione inerente alla violazione dell ‘ art. 8, commi 1 e 2, d.l. 02/03/2012, n.16 convertito con modificazioni dalla legge 26/04/2012, n. 44 , in quanto l’Ufficio non avrebbe scomputato dal reddito d’impresa l’importo di Euro 290.685,54, afferenti a costi ritenuti oggettivamente inesistenti. Ad avviso della CTR, per quanto la norma appena richiamata sia, infatti, applicabile al caso in esame (relativo a operazioni oggettivamente inesistenti), la giurisprudenza di legittimità, anche in tempi recenti (Cass. 25/11/2020, n. 26790), ha delineato il riparto dell’onere probatorio, stabilendo che grava sul contribuente l ‘ onere di provare che i componenti positivi « che si duole abbiano nell’accertamento concorso alla formazione del reddito, siano anch’essi fittizi, perché ricavi correlati, ossia direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati. »
Nel caso in esame, tuttavia, secondo la CTR non è stato provato che la fittizietà dei componenti positivi direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi riguardi beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati .
Contro la sentenza della CTR COGNOMERAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso in cassazione con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato che:
Con il primo motivo è stata contestata la nullità della sentenza, motivazione omessa, violazione dell’art. 36 d. lgs 546/92, dell’art.
132 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.
1.1. La ricorrente rileva che la motivazione della sentenza impugnata è carente sulla questione controversa più rilevante nel merito della causa: i giudici regionali non spiegano le ragioni per le quali abbiano ritenuto le fatture in contestazione «oggettivamente inesistenti». Rileva di aver eccepito, sin dalla sua prima difesa, l’effettività delle prestazioni oggetto delle fatture contestate. Afferma, quindi, che nel proprio atto d’appello (da pag. 18) aveva evidenziato che: « gli assegni sono stati emessi a favore della RAGIONE_SOCIALE e non del suo legale rappresentante, si rappresenta che non può essere condivisa l’affermazione del primo giudice in ordine alla mancata dimostrazione dell’effettivo incasso degli assegni, ma ad ogni buon conto si allegano, oltre agli assegni già agli atti, copia degli estratti conto bancari (cfr. all. 5) della odierna appellante con evidenziazione degli effettivi pagamenti di tutte le fatture ricevute e contestate dall’ufficio. Offrendo pertanto la prova espressamente richiesta dal giudice > e rilevando (pag. 19 dell’appello, primo capoverso) che < Ad ogni buon conto si allegano i documenti di trasporto, quando non fatture accompagnatorie, dove sono chiare le sottoscrizioni del cedente e del cessionario dei beni, nonché le evidenza bancarie, sempre indicate negli allegati estratti conto dell'effettivo incasso delle somme derivanti dalla cessione dei beni acquistati dalla RAGIONE_SOCIALE» (pag. 11 del ricorso in cassazione).
Rileva che era stata prodotta una tabella in cui era fornita, per ogni prodotto ceduto, « la relativa fattura di acquisto del bene dalla RAGIONE_SOCIALE, il prezzo al quale la stessa è stata acquistata cioè il costo dei beni ceduti, e la quantità di beni ceduti riferibili a detta fattura. È stata successivamente indicato il corrispondente numero di fattura emessa, il cliente al quale i medesimi beni sono stati ceduti ed il
relativo ricavo. » (pag. 11-12 ricorso in cassazione). Ha infine richiamato -riportandosi a quanto evidenziato già nell'atto d'appello – una perizia di parte, evidenziando che (pag. 13): « il professionista incaricato ha analizzato circa 400 aziende in tutta Italia che rappresentano la totalità di quelle che hanno media di fatturato/ricavi compresa tra i 200/500 mila euro ed aventi identico codice ATECO. (…) Nessuna delle aziende esistenti i n tutta Italia ha gli indici ed i valori della appellante così come risultati dopo il disconoscimento dei soli costi come operato dall'ufficio . »
1.2. Il motivo è infondato, perché la motivazione è presente e congrua, ma solamente non condivisa dalla parte ricorrente. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge, infatti, come il giudice di seconde cure, a fronte della contestazione della violazione e falsa applicazione dell'art. 8, commi 1 e 2, d.l. n. 16 del 2012 (ad opera della parte appellante, odierna parte ricorrente), abbia evocato e dato continuità al precedente di questa Corte (Cass., n. 26790 del 2020), rilevando, quindi, una continuità sostanziale e normativa tale da rendere applicabile la regola di giudizio prescritta nel precedente di legittimità espressamente richiamato.
Con il secondo motivo è stata contestata la violazione o falsa applicazione dell'art. 8, comma 2, d.l. 16 del 2012, convertito nella legge n. 44 del 2012, e dell'art. 53 Cost, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.
2.1. La ricorrente, richiamato il contenuto dell'art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, ha evidenziato la correlazione tra i materiali acquistati con le fatture contestate dall'Ufficio e le successive rivendite ai propri clienti dei materiali stessi.
2.2. Ha poi rilevato come la norma appena citata, da un lato, sia finalizzata a contrastare ( con un'apposita previsione sanzionatoria ) l'emissione di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti, ma
dall'altro lato consenta di salvaguardare il principio costituzionale della capacità contributiva. Nel caso in esame la CTR, pur ritenendo che i costi fossero relativi a fatture oggettivamente inesistenti, non ha ammesso che si escludessero dal reddito i ricavi che la contribuente aveva documentalmente provato essere correlati a tali costi. Ha quindi affermato (pag. 18) che: « In particolare la prova incombente sulla contribuente a norma di legge è quella riguardante la dimostrazione che i componenti positivi siano direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi ai beni o ai servizi ritenuti non effettivamente scambiati o prestati, mentre la CTR ha ritenuto erroneamente che sulla contribuente incombesse anche l'ulteriore onere di provare l a fittizietà dei componenti positivi di reddito correlati alle spese ed ai componenti negativi ritenuti inesistenti. »
2.3. Passando all'esame del motivo di ricorso, l'art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012 prevede che: « Ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o pr estati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. »
2.4. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ex art. 366, primo comma, n. 3 e 6, c.p.c. La parte ricorrente si limita, infatti, ad affermare di aver dimostrato « la correlazione tra i materiali acquistati con le fatture contestate dall'Ufficio e le successive rivendite ai propri clienti dei materiali stessi. » e di aver allegato « le fatture di acquisto contestate e tutte le correlate fatture di vendita, sin dal primo grado del giudizio; inoltre, in fase di appello si produsse, al fine di rendere più precisa possibile la identificazione
del ricavo da elidere dal conto economico, una tabella (cfr. all.2 all'atto di appello) in cui vennero individuate le merci cedute a terzi che furono acquistate con le fatture in contestazione, in tal modo individuando il ricavo afferente il costo ritenuto oggettivamente inesistente. » Tuttavia, la parte ricorrente, nell'illustrazione del motivo di ricorso, non ha espressamente indicato le specifiche operazioni attive direttamente afferenti alle operazioni passive inesistenti. Nel caso in esame viene, infatti, contestata la violazione di una norma che esclude che possano concorrere a formare il reddito i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati. È pertanto necessaria -ai fini del rispetto di quanto previsto nell'art. 366, primo comma, n. 3 e 6, c.p.c. -la puntuale indicazione delle spese o dei componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati e il rapporto di correlazione con i componenti positivi che -in ragione di tale collegamento -si contesta che possano concorrere a formare il reddito. Sotto questo profilo non può essere sufficiente il mero rinvio a una tabella di concordanza predisposta dal contribuente. L 'illustrazione del contenuto dei documenti cui fa riferimento la norma processuale appena richiamata non può essere, infatti, limitata a una generica evocazione dei contenuti stessi, dal momento che ciò, nel caso di specie, imporrebbe al giudice di legittimità sia l'individuazione delle operazioni passive concretamente rilevanti, sia delle operazioni positive che, in quanto correlate a queste ultime, non concorrono a formare il reddito in un determinato periodo d'imposta.
3. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.900 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/11/2024.