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Costi oggettivamente inesistenti: onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso di una società edile in materia di costi oggettivamente inesistenti. È stato confermato che spetta al contribuente l’onere di provare la correlazione tra costi indeducibili e ricavi, e che il ricorso deve essere specifico e non generico per evitare l’inammissibilità.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Oggettivamente Inesistenti: La Cassazione Sull’Onere della Prova

La gestione fiscale di un’impresa richiede massima attenzione, specialmente quando si tratta della deducibilità dei costi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia di costi oggettivamente inesistenti, chiarendo l’onere probatorio a carico del contribuente e i requisiti di specificità del ricorso. Questa decisione offre spunti cruciali per imprese e professionisti del settore, delineando i confini tra contestazioni legittime e ricorsi destinati all’inammissibilità.

I Fatti del Caso: La Contestazione dei Costi

Una società edile e i suoi rappresentanti legali si sono visti notificare un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria per l’anno d’imposta 2015. L’accertamento contestava una maggiore imposta ai fini Iva e Irap, basandosi sulla presunta indeducibilità di costi per circa 290.000 Euro, ritenuti afferenti a operazioni oggettivamente inesistenti.

Il percorso giudiziario è iniziato con il rigetto del ricorso da parte della Commissione Tributaria Provinciale. Successivamente, anche la Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, respingendo l’appello della società. Secondo i giudici di merito, il contribuente non aveva superato la cosiddetta “prova di resistenza” riguardo alla mancata attivazione del contraddittorio, né aveva fornito prove sufficienti a contrastare la presunzione di inesistenza delle operazioni contestate. Contro questa sentenza, la società ha proposto ricorso in Cassazione, articolandolo su due motivi principali.

La Decisione della Corte e i costi oggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha esaminato i due motivi di ricorso presentati dal contribuente, rigettando integralmente l’impugnazione. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi: la congruità della motivazione della sentenza di secondo grado e il difetto di specificità del secondo motivo di ricorso.

Primo Motivo: La Carenza di Motivazione

Il contribuente lamentava la nullità della sentenza d’appello per motivazione carente, sostenendo che i giudici regionali non avessero spiegato le ragioni per cui le fatture fossero state considerate relative a operazioni inesistenti. La Cassazione ha ritenuto questo motivo infondato. Ha stabilito che la motivazione, sebbene sintetica, era presente e adeguata. La Corte regionale, infatti, aveva correttamente applicato un consolidato principio giurisprudenziale (richiamando la Cass. n. 26790/2020) secondo cui, in casi di costi oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare che anche i componenti positivi (i ricavi) correlati a tali costi siano fittizi. Non avendo il contribuente fornito tale prova, la motivazione dei giudici di merito è stata giudicata congrua e sufficiente.

Secondo Motivo: Il Difetto di Specificità

Il secondo motivo contestava la violazione della norma che consente di non far concorrere alla formazione del reddito i ricavi direttamente afferenti ai costi indeducibili. Il contribuente affermava di aver dimostrato tale correlazione producendo fatture e una tabella riepilogativa. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato questo motivo inammissibile per difetto di specificità. Il ricorso si limitava a un generico rinvio a documenti allegati, senza indicare puntualmente quali fossero le operazioni attive (le vendite) direttamente collegate alle operazioni passive contestate (gli acquisti). Questo approccio avrebbe richiesto alla Corte un’indagine di merito sui documenti, un compito che esula dalle sue funzioni di giudice di legittimità.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si radicano in principi cardine del processo tributario. In primo luogo, viene riaffermato il riparto dell’onere della prova. Di fronte a una contestazione di costi per operazioni inesistenti, non basta per il contribuente dimostrare di aver sostenuto il costo, ma deve anche provare, qualora intenda neutralizzare i ricavi, che anche questi ultimi siano fittizi.

In secondo luogo, la decisione sottolinea l’importanza del principio di specificità dei motivi di ricorso in Cassazione (art. 366 c.p.c.). Il ricorso non può essere un mero rinvio a documenti o una generica lamentela. Esso deve autosufficiente, cioè contenere tutti gli elementi necessari a comprendere la censura, senza che il giudice debba ricercarli altrove. Nel caso di specie, il contribuente avrebbe dovuto illustrare nel dettaglio, all’interno del ricorso stesso, la correlazione tra ogni costo contestato e il relativo ricavo, indicando le fatture e le operazioni specifiche. L’aver omesso questa puntuale indicazione ha reso il motivo di ricorso inammissibile, impedendo alla Corte di valutarne il merito.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Per le imprese, emerge la necessità di una documentazione contabile e probatoria estremamente rigorosa, non solo per giustificare i costi, ma anche per poter dimostrare, in sede di contenzioso, le correlazioni tra costi e ricavi. Per i professionisti legali, la sentenza è un monito sulla necessità di redigere ricorsi per Cassazione con la massima specificità e autosufficienza, evitando rinvii generici che ne determinerebbero l’inevitabile inammissibilità. La decisione consolida un orientamento che mira a responsabilizzare il contribuente e a preservare il ruolo della Cassazione come giudice della sola legittimità delle decisioni.

In caso di contestazione di costi oggettivamente inesistenti, su chi grava l’onere di provare la fittizietà dei ricavi correlati?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare che i componenti positivi (ricavi) siano anch’essi fittizi, in quanto direttamente afferenti a costi per operazioni inesistenti, grava sul contribuente.

Cosa si intende per “prova di resistenza” in caso di mancata attivazione del contraddittorio preventivo?
La “prova di resistenza” è l’onere, a carico del contribuente, di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio con l’Amministrazione Finanziaria fosse stato tempestivamente attivato, dimostrando che la sua partecipazione avrebbe potuto portare a un risultato diverso.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile per “difetto di specificità”?
Un ricorso è inammissibile per difetto di specificità quando non indica in modo puntuale e dettagliato i motivi della contestazione, le norme violate e i fatti specifici a sostegno delle proprie tesi. Un mero rinvio generico a documenti depositati in altre fasi del giudizio non è sufficiente, poiché il ricorso deve essere autosufficiente e consentire alla Corte di comprendere la censura senza dover esaminare altri atti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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