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Costi non inerenti: quando l’Agenzia li contesta?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5321/2025, ha rigettato il ricorso di una società contro un avviso di accertamento che contestava la deducibilità di costi non inerenti e l’esistenza di operazioni fittizie. La Corte ha ribadito che spetta al contribuente l’onere di provare non solo l’esistenza e la tracciabilità del costo, ma anche la sua effettiva inerenza all’attività d’impresa. La sola presentazione della fattura e la prova del pagamento non sono sufficienti a superare gli indizi di fittizietà sollevati dall’Amministrazione finanziaria, come l’assenza di una reale struttura operativa del fornitore.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi non inerenti: la Cassazione conferma la linea dura sulla deducibilità

La corretta gestione fiscale è un pilastro per ogni impresa. Una delle aree più delicate riguarda la deducibilità delle spese. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato principi fondamentali in materia di costi non inerenti e operazioni fittizie, chiarendo ancora una volta dove ricade l’onere della prova. La decisione sottolinea come non basti avere una fattura e una traccia del pagamento per garantire la deducibilità di un costo; è necessario dimostrarne la sostanza e la reale connessione con l’attività aziendale.

I Fatti del Caso

Una società in liquidazione si è vista recapitare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione Finanziaria contestava diverse irregolarità relative all’anno d’imposta 2011, tra cui:

1. Indebita deduzione di costi: Spese per quasi 100.000 euro, documentate da fatture emesse da un’impresa individuale per presunte attività di consulenza commerciale e ricerca di mercato.
2. Errata compilazione degli studi di settore: La società aveva utilizzato un modello non pertinente alla propria attività di commercio all’ingrosso.
3. Omesso versamento IVA: Recupero di IVA su operazioni indicate come non imponibili ma per le quali non era stata effettuata la comunicazione obbligatoria delle dichiarazioni d’intento.

Il punto cruciale della controversia riguardava i costi per le consulenze. L’Agenzia riteneva che le operazioni fossero oggettivamente e soggettivamente inesistenti e che i relativi costi non inerenti all’attività d’impresa, in quanto il fornitore non possedeva una reale struttura aziendale (mancanza di utenze professionali, sede, etc.) a fronte di un notevole volume d’affari.
La società ha impugnato l’atto, ma ha perso sia in primo grado presso la Commissione Tributaria Provinciale, sia in appello presso la Commissione Tributaria Regionale. È quindi ricorsa in Cassazione.

L’Analisi della Corte e la questione dei Costi non inerenti

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito. L’ordinanza si sofferma su alcuni principi cardine del diritto tributario.

L’Onere della Prova è del Contribuente

Il cuore della decisione ruota attorno all’onere della prova. La Corte ha ribadito un concetto consolidato: quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la deducibilità di un costo, fornendo elementi indiziari sulla sua fittizietà o non inerenza, spetta al contribuente dimostrare il contrario.

Non è sufficiente esibire la fattura e la documentazione del pagamento (es. bonifico bancario). Il contribuente deve provare:
L’effettiva esistenza della prestazione o della cessione.
La natura del costo sostenuto.
La sua concreta destinazione alla produzione e la sua correlazione con l’attività imprenditoriale.

Nel caso specifico, di fronte agli indizi sulla natura fittizia del fornitore, la società non è riuscita a fornire prove concrete che dimostrassero l’effettiva utilità e realtà delle consulenze ricevute.

Il Principio della “Doppia Conforme”

Molti dei motivi di ricorso della società sono stati dichiarati inammissibili in applicazione del principio della “doppia conforme”. Poiché le sentenze di primo e secondo grado erano giunte alla medesima conclusione basandosi sulla stessa valutazione dei fatti, la possibilità per la Cassazione di riesaminare il merito della vicenda era preclusa.

Irrilevanza dell’Archiviazione Penale

La società aveva tentato di far valere l’archiviazione di un procedimento penale a carico dell’amministratore per reati fiscali. La Corte ha specificato che un decreto di archiviazione non ha efficacia di giudicato nel processo tributario e non impedisce al giudice fiscale di valutare autonomamente i fatti ai fini dell’imposizione.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha motivato il rigetto evidenziando che le sentenze di merito avevano correttamente applicato i principi legali. I giudici regionali avevano ritenuto che il carattere fittizio dell’attività del fornitore emergesse chiaramente dalla documentazione prodotta. L’assenza di una struttura organizzativa (locali, mezzi, personale) era un forte indizio che le operazioni fatturate non fossero mai state realmente eseguite.

Inoltre, è stato escluso il requisito dell’inerenza. La Corte ha affermato che, anche qualora le prestazioni fossero state eseguite, la società non aveva dimostrato come tali consulenze fossero finalizzate a incrementare i ricavi dell’azienda. L’antieconomicità di una spesa, ovvero la sua sproporzione rispetto all’utilità attesa, pur non essendo di per sé sufficiente a negare la deducibilità, può fungere da elemento sintomatico del difetto di inerenza. In questo scenario, il contribuente deve fornire giustificazioni concrete, cosa che in questo caso non è avvenuta.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza è un monito importante per tutte le aziende. Per garantire la deducibilità dei costi, specialmente quelli per servizi immateriali come le consulenze, è fondamentale adottare un approccio rigoroso:

1. Verificare i Fornitori: Prima di instaurare rapporti commerciali, è prudente effettuare controlli sulla reale struttura operativa dei fornitori.
2. Documentazione Dettagliata: Non limitarsi a conservare le fatture. È essenziale mantenere documentazione che attesti la natura e l’utilità della prestazione ricevuta (contratti, report, scambi di email, verbali di riunione).
3. Provare l’Inerenza: Essere sempre in grado di spiegare e documentare come un determinato costo contribuisca all’attività d’impresa e alla generazione di reddito.

La sentenza conferma che il Fisco può e deve guardare alla sostanza economica delle operazioni, al di là della loro forma cartolare. Per le imprese, questo significa che la trasparenza e una documentazione probante non sono solo buone pratiche, ma una necessità per evitare contenziosi fiscali onerosi e dall’esito incerto.

Chi deve provare che un costo è deducibile dal reddito d’impresa?
Secondo la sentenza, l’onere della prova grava sul contribuente. Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi che mettono in dubbio l’esistenza o l’inerenza di un costo, spetta all’impresa dimostrare con prove concrete che la spesa è stata effettivamente sostenuta, è reale e collegata all’attività aziendale.

È sufficiente presentare la fattura e la prova del pagamento per dedurre un costo?
No. La sentenza chiarisce che la sola esibizione della fattura e della documentazione contabile del pagamento non basta, specialmente quando ci sono indizi di un’operazione fittizia. Questi documenti sono spesso utilizzati proprio per far apparire reale un’operazione che non lo è.

L’archiviazione di un procedimento penale per reati fiscali impedisce al giudice tributario di considerare le stesse operazioni come fittizie?
No. La Corte ha stabilito che un provvedimento di archiviazione in sede penale non ha efficacia di cosa giudicata nel processo tributario. Pertanto, il giudice fiscale può valutare autonomamente gli stessi fatti e giungere a conclusioni diverse ai fini della determinazione delle imposte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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