Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16385 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16385 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10834/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LOMBARDIA n. 3224/2023 depositata il 30/10/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale II di Milano, al termine di verifica fiscale generale per il 2015, redigeva PVC con il quale formulava nei confronti di RAGIONE_SOCIALE un rilievo riguardante ‘indebita deduzione di costi, in violazione dell’art. 109, c. 5, del TUIR di cui al D.P.R. 917/86”, proponendo il recupero a tassazione, ai fini delle imposte dirette ed indirette, dei costi contabilizzati nel conto di mastro n. 6002 -0006, rubricato “Compensi Mediaz. e Provv. Occas.”, addebitati alla contribuente da amministratori di condominio e società di amministrazione di condominio, in relazione a stabili condominiali da essi gestiti.
1.1. Ritenendo che la contribuente avesse contabilizzato costi analoghi anche nel 2016, i verificatori estendevano l’attività istruttoria a detta annualità.
1.2. L’Ufficio notificava questionario con richiesta di produzione della documentazione relativa agli anzidetti costi contabilizzati nel periodo 2016; la contribuente riscontrava la richiesta.
1.3. L’Ufficio notificava alla contribuente l’avviso n. T9DOE1B04623/2019 per IRES 2016 e l’avviso n. T9D031B0463 7/2019 per IRAP ed IVA 2016, con i quali, disconoscendo, rispettivamente ai fini dell’IRES ex art. 109, commi 1 e 5, tuir ed ai fini dell’IRAP e dell’IVA ex artt. 5 e 11 del D.Lgs. n. 446 del 1997 e 19 DPR n. 633 del 1972, i costi annotati per euro 458.629,01 nel conto di mastro n. 6002 -0006, sostenuti nel periodo 2016 nei confronti di amministratori di condominio, liquidava maggiori imposte e relativi interessi, irrogando sanzioni.
La CTP di Milano, adita impugnatoriamente dalla contribuente giusta distinti ricorsi, riunitili, li rigettava con sentenza n. 3670/2022 pronunciata il 29 novembre e depositata il 23 dicembre 2022, osservando che
sono condivisibili le argomentazioni svolte dall’Ufficio in merito all”impossibilità di risalire alla natura e tipologia dei servizi resi dai soggetti emittenti le fatture in contestazione.
Più che di prestazioni, non meglio specificate, che sarebbero state rese dagli amministratori dei condomini destinatari delle forniture di gasolio da parte della RAGIONE_SOCIALE, gli importi fatturati sembrano mascherare un bonus illegittimamente riconosciuto all’amministratore per essersi rivolto alla ricorrente per la fornitura del gasolio.
La provvigione è quel compenso, espresso in percentuale, che spetta all’agente per aver concluso l’affare grazie al proprio intervento: orbene gli amministratori non sono certo agenti del fornitore ed anzi sono i rappresentanti dei condomini.
Ne consegue quindi che le somme elargite -se ppur debitamente fatturate -paiono dubbie ed illegittime elargizioni di “riconoscenza” e non possono quindi esser riconosciute come costi inerenti.
Sono pienamente condivisibili le argomentazioni svolte dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni (da pagina 19 a pag. 23) sulla figura dell’amministratore condominiale, sui suoi doveri e obblighi, anche di natura deontologica che gli impediscono di avere interessi in imprese produttrici o commerciali che svolgano attività al servizio del soggetto amministrato, né di percepire, oltre a quelli stabiliti dall’assemblea condominiale, ulteriori compensi da terzi o trarre altrimenti vantaggio in relazione agli atti compiuti in esecuzione del mandato che gli è stato conferito.
È quindi fondata la violazione dell’art.109 del TUIR contestata dall’Ufficio in quanto non si comprende e giustifica quale vantaggio o utilità abbia potuto trarre la ricorrente nel corrispondere somme a dei soggetti se non remunerarli per il solo fatto di essere gli amministratori dei condomini paganti.
È evidente l’esistenza di un danno per l’Erario, in ragione dell’IVA indebitamente detratta e dei costi dedotti dalla ricorrente, né vi è stata doppia imposizione atteso che l’Ufficio si è limitato a disconoscere i costi senza applicare altre imposte.
La contribuente proponeva appello, rigettato dalla CGT II della Lombardia con la sentenza in epigrafe sulla base della seguente motivazione:
La mera riproposizione di censure identiche a quelle già decise nel giudizio di prime cure, senza una aggressione specifica e mirata agli argomenti della sentenza del primo giudice, abilita il giudice del gravame a reagire a tali reiterate doglianze, facendo proprie tout court le
motivazioni del giudice di prime cure, atteso che mancano argomenti avversi privi di risposta e non registrandosi argomenti inediti a cui reagire.
Infatti, è pacifico per mancata contestazione, che trattasi di somme versate -su fattura -dal soggetto cedente/prestatore/fornitore (RAGIONE_SOCIALE) a soggetti mandatari fiduciari (amministratori di condominio e società di amministrazione di condominio) di controparte cessionaria/committente/cliente (condòmini: ”uti singuli” e condomìni ”uti universi”), questa verosimilmente all’oscuro del connesso rapporto obbligazionario e del conseguente conflitto d’interessi, per il cui regime fiscale è qui causa, intercorrente direttamente tra il loro fornitore (RAGIONE_SOCIALE ed il loro mandatario fiduciario (amministratore condominiale).
La RAGIONE_SOCIALE svolge attività di fornitura del combustibile per il riscaldamento abitativo, di progettazione, installazione, trasformazione e manutenzione dei relativi impianti tecnologici, con realizzazione delle correlate opere edili; stipula, altresì, contratti di “gestione calore” degli impianti di riscaldamento, con manutenzione e gestione degli impianti interessati. Dalla documentazione prodotta con il succitato questionario istruttorio , l’Agenzia ha constatato che nella quasi totalità dei casi le fatture de quibus fanno riferimento a compensi provvigionali, riconosciuti agli amministratori e alle società di amministrazione di condominio, relativamente alla gestione dei condomìni da loro stessi amministrati, determinati a volte in misura percentuale ai consumi di combustibile del condominio o dell’importo di specifici lavori di manutenzione degli impianti condominiali, altre volte quantificati a forfait.
In pochi altri casi tali prestazioni riguardano l’ordinaria attività che l’amministratore/società di amministrazione svolge direttamente nell’adempimento del proprio mandato nell’interesse del condominio , quali: la gestione delle relazioni con i propri fornitori, l’acquisizione e la valutazione dei preventivi di spesa, la disponibilità alla presenza in loco per gli interventi di manutenzione degli impianti condominiali ed alla fornitura di tutto quanto necessario alla relativa gestione, l’elaborazione di tabelle millesimali dei consumi, la segnalazione di eccessi di temperatura, etc.; prestazioni, queste, per le quali gli amministratori percepiscono già un compenso deliberato dall’assemblea del condominio, che appartengono ex se all’attività propria di amministrazione condominiale, fino a prova contraria completamente estranee alla formazione del reddito d’impresa
del fornitore di combustibile per il riscaldamento condominiale ed attività connesse.
Dal controllo della documentazione come sopra prodotta, l’Agenzia non è stata messa in grado di avere contezza (sotto il duplice profilo di esistenza e, quindi, di inerenza) delle prestazioni rese e fatturate dagli amministratori condominiali alla RAGIONE_SOCIALE, per la quale questa ha loro pagato una provvigione.
Soccorre a tal punto quanto affermato dal primo giudice: ‘Più che di prestazioni ‘.
Analogamente si sono già pronunciati altri giudici per gli stessi fatti relativi ad altre annualità, con sentenze n. 3320/05/202I, n. 3321/05/202I, e n. 3322/05/202I, CTP di Milano.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con otto motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. La contribuente deposita memoria telematica in data 14 marzo 2025, anche in chiave di replica alle difese agenziali.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo: ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sull’eccezione riguardante l’invalidità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.’.
1.1. ‘La Società nei ricorsi di primo grado (qui doc. 2) ha eccepito, in via preliminare (al motivo 1), la nullità degli avvisi di accertamento per motivazione apparente e contraddittoria, deducendo in particolare che l’Ufficio (i) da un lato ‘non spiega … per quale ragione ritenuto che il giudizio di inerenza di un costo debba risolversi in quello della sua ˂ utilità ˃ , anziché, come corretto e pacifico, in quello del suo collegamento all’attività d’impresa esercitata’ (ii) e dall’altro lato ‘contraddice il suo stesso assunto, laddove rileva che ˂ nella quasi totalità dei casi le fatture ricevute fanno riferimento a compensi provvigionali ˃ ”. ‘I Giudici di prime cure hanno disatteso l’eccezione e confermato gli avvisi di accertamento’. ‘Nell’appello la Società ha censurato la decisione di primo grado lamentando, in via preliminare (al motivo
1), l”illegittimità della sentenza appellata nella parte in cui i Giudici di primo grado hanno respinto l’eccezione di invalidità degli avvisi in controversia per motivazione apparente e contraddittoria’ (p. 2 appello). Evidenziando che ‘le affermazioni dei Giudici’ di prime cure ‘non superano le obiezioni sopra riportate a riguardo dell’apparenza e contraddittorietà della motivazione degli avvisi in controversia’, la Società ha riproposto l’eccezione di difetto di motivazione degli avvisi ‘. La CTG II nulla ha statuito.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Oltreché non riprodurre la motivazione degli avvisi, disattende il costante principio secondo cui, ‘nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del ‘fatto processuale’, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (cfr., da ult., Sez. 2, n. 28072 del 14/10/2021, Rv. 662554 -01).
È, altresì e comunque, infondato.
La CGT II non ha affatto pretermesso la doglianza della contribuente in ordine al preteso difetto di motivazione degli avvisi, dando anzi esplicitamente atto della sua proposizione (‘Insiste, pertanto, a chiedere, ogni contraria eccezione e deduzione respinta: -in via preliminare, dichiarare nulli gli avvisi di accertamento in controversia per motivazione apparente e contraddittoria’).
Siffatta doglianza, dunque, è stata dalla CGT II rigettata nella parte propriamente motiva della sentenza impugnata, a misura dell’avere confermato la sentenza impugnata, previa constatazione della mera riproposizione da parte della contribuente in appello dei motivi d’impugnazione di cui all’originario ricorso.
Né, comunque, la CGT II si ferma a tanto, dando atto della posizione dell’Ufficio negli avvisi, attraverso la loro sostanziale citazione pur non virgolettata (cfr. il passo in cui si legge: ‘ l’Agenzia ha constatato che nella quasi totalità dei casi ‘, che corrisponde alla motivazione degli avvisi, come riportata a p. 9 ric.): ragion per cui ha semplicemente rigettato la doglianza devolutale, valorizzando ‘in positivo’ il contenuto motivazionale degli avvisi per ritenere fondare le riprese.
D’altronde, come visto, è lo stesso motivo a render conto di un’effettiva motivazione, sia grafica che contenutistica, degli avvisi, prospettata semplicemente come non condivisibile ed asseritamente contraddittoria: talché quel che il motivo rimprovera alla CGT II, in realtà, non è il non aver pronunciato sulla doglianza del difetto di motivazione, ma il non aver condiviso il giudizio della contribuente di inadeguatezza di una motivazione purtuttavia esistente.
Secondo motivo: ‘In via gradata. Violazione e falsa applicazione degli artt. 132, c. 2, n. 4, c.p.c., 36, c. 2, n. 4, del d.lgs. n. 546/1992 e 111, c. 6, Cost., laddove si valutasse che i Giudici si sono pronunciati, respingendola, sull’eccezione di
invalidità per difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, per avere i Giudici omesso di motivare o motivato solo apparentemente la decisione, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.’.
2.1. ‘Laddove questa Ecc.ma Suprema Corte dovesse ritenere che i Giudici della CGT II, richiamando il principio dell’assorbimento per le questioni non trattate, abbiano inteso implicitamente rigettare l’eccezione di difetto di motivazione dei due avvisi sollevata da RAGIONE_SOCIALE in via preliminare nei ricorsi di primo grado e poi nell’appello (come riportato al precedente motivo, cui si rinvia ai fini dell’autosufficienza), si censura detta pronuncia per radicale mancanza di motivazione o comunque per motivazione apparente’.
2.2. Il motivo è infondato.
S’è visto innanzi, con riferimento al primo motivo, come la CGT II effettui una sostanziale citazione della motivazione degli avvisi.
Un tanto induce ad escludere il lamentato difetto motivazionale, avendo la CGT II ritenuto esistenza e logicità della motivazione degli avvisi -in punto di riconduzione dei pagamenti alla corresponsione (come già affermato dal primo giudice) di ‘elargizioni ‘di riconoscenza” – quale necessario antecedente logico delle ragioni di condivisione della posizione dell’Ufficio.
Terzo motivo: ‘Sempre in via gradata. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, c. 1, della l. n. 212/2000 e 3 della l. n. 241/1990, nonché degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/1973, 56 del d.P.R. n. 633/1972 e 25 del d.lgs. n. 446/1997, laddove si valutasse che i Giudici si sono pronunciati, respingendola, sull’eccezione di invalidità per difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, per avere i Giudici ritenuto rispettate dall’Ufficio le norme che gli imponevano di illustrare i motivi di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato l’adozione degli anzidetti avvisi, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.’.
3.1. ‘Come eccepito nei gradi di merito e riportato al paragrafo 1, negli avvisi di accertamento da cui origina la presente controversia, l’Ufficio, da un lato, ha fondato la valutazione di non inerenza dei costi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE a favore di amministratori di condominio sulla asserita mancanza di utilità che la Società ne avrebbe tratto nell’ambito della sua attività, dall’altro lato, ha attestato esso stesso l’esistenza di detta utilità, riferendo che i costi sono (per la quasi totalità) provvigioni e sono determinati in rapporto o comunque in relazione alle forniture di beni e servizi agli stabili condominiali’.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Come già accennato a proposito del primo motivo, non riproduce testualmente (fatta eccezione per brevi e selezionati stralci) la motivazione degli avvisi. Talché trova applicazione il principio per cui ‘in tema di contenzioso tributario, è inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., avverso la sentenza che abbia ritenuto correttamente motivato l’atto impositivo, qualora non sia trascritta la motivazione di quest’ultimo, precludendo, pertanto, al giudice di legittimità ogni valutazione’ (Sez. 5, n. 2928 del 13/02/2015, Rv. 634343 -01; cfr. anche Sez. 5, n. 16147 del 28/06/2017, Rv. 644703 -01: ‘In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso’).
È, altresì e comunque, infondato.
Nessuna contraddizione esiste tra le due affermazioni, che il motivo riferisce essere contenute negli avvisi, secondo cui,
-da una parte, ‘non è risultato possibile ricollegare, mediante un rapporto di necessaria causalità, i costi in commento sostenuti ad un beneficio specifico’;
-dall’altra, ‘nella quasi totalità dei casi le fatture ricevute fanno riferimento a compensi provvigionali, riconosciuti agli amministratori e alle società di amministrazione di condominio, relativamente alla gestione dei condomini di loro spettanza …’.
Ed invero – così il motivo omettendo alcun effettivo confronto con la chiara ‘ratio decidendi’ espressa dalla sentenza impugnata, in esito a motivata conferma di quella di primo grado – la tesi della parte pubblica, condivisa da entrambi i giudici di merito, si esprime nel senso che le somme corrisposte dalla contribuente agli amministratori di condominio sono prive di titolo, pur facendo ‘riferimento a compensi provvigionali’. Esse, cioè, non costituiscono remunerazione degli amministratori di condominio per un’effettiva (oltreché lecita) attività di intermediazione da loro compiuta in favore della contribuente, attività di cui questa, per vero, non fornisce finanche idonea dimostrazione, ma ‘in limine’ rappresentano – alla stregua di un di per sé non censurato accertamento in fatto già espresso dalla CTP e ribadito dalla CGT II -mere ‘elargizioni ‘di riconoscenza’: ossia ‘elargizioni’ che, giust’appunto in quanto ‘di riconoscenza’, per ciò solo sono sganciate da alcuna deduzione ‘previa’ di prestazioni giuridicamente rilevanti, assumendo semmai le sembianze – tenuto conto che gli ‘ amministratori non sono certo agenti del fornitore ed anzi sono i rappresentanti dei condomini’, ragion per cui non condividono e non possono condividere con la contribuente (fornitrice) alcun rapporto giuridico meritevole di tutela (art. 1321 cod. civ.) -di un ‘bonus illegittimamente riconosciuto’, ‘ex post’,
‘all’amministratore per essersi rivolto alla ricorrente per la fornitura del gasolio’.
Quarto motivo: ‘Violazione e falsa applicazione del principio dell’inerenza, ricavabile dalla nozione di reddito d’impresa o dall’art. 109, c. 5, del d.P.R. n. 917/1986, e dell’art. 19, c. 1, del d.P.R. n. 633/1972, per avere i Giudici negato l’inerenza di costi in ragione della loro asserita illegittimità, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.’.
4.1. ‘Nel corso dei giudizi instaurati per opporsi alla pretesa impositiva, la Società ne ha dedotto l’illegittimità e infondatezza, in via principale al motivo 2 dei ricorsi di primo grado , producendo la documentazione (fatture e incarichi stipulati con gli amministratori, docc. 6 primo grado, e prospetto fatturato Carbotermo ai condomini, docc. 7 primo grado) attestante che i suddetti costi soddisfacevano i requisiti di deducibilità previsti dall’art. 109, cc. 1 e 5, del d.P.R. n. 917/1986, ed in particolare che erano inerenti perché non solo riferibili all’attività imprenditoriale della Società ma addirittura direttamente correlati ai ricavi da essa conseguiti’. ‘Nel secondo motivo dell’appello , la Società ha ribadito l’idoneità della documentazione prodotta ad attestare il collegamento dei costi sostenuti con l’attività aziendale’. ‘La Società ha poi evidenziato che il profilo dell’asserita illegittimità dei costi, invocato per negarne l’inerenza, è invece irrilevante alla luce delle regole di determinazione del reddito d’impresa e della detraibilità dell’iva’. ‘Nella successiva memoria , COGNOME, dopo aver prodotto in giudizio l’intera documentazione già consegnata all’Ufficio (fatture degli amministratori di condominio e relativi incarichi, doc. 2 secondo grado), ha ribadito l’inerenza dei costi in ragione della diretta correlazione con i ricavi e la conseguente irrilevanza della loro invocata illiceità’. Sono incorsi in errore ‘i Giudici della CGT Il’ laddove, ‘pur avendo riconosciuto che i costi sostenuti dalla Società per l’attività di segnalazione e
promozione degli amministratori di condominio sono direttamente correlati ai ricavi da essa conseguiti per la fornitura di beni e servizi energetici agli stabili condominiali da questi gestiti’, ‘hanno escluso l’inerenza degli anzidetti costi in ragione, come innanzi riportato, del medesimo profilo di asserita illegittimità fatto valere dai primi Giudici’.
4.2. Il motivo è, oltreché inammissibile, comunque manifestamente infondato.
È inammissibile in quanto fa insistito riferimento alla ‘documentazione prodotta’, senza tuttavia minimamente descriverla e men che meno trascriverla, così materialmente impedendo di apprezzarne il contenuto e, con esso, la relativa rilevanza e soprattutto decisività.
Lo è altresì in quanto, ben lungi dal rappresentare, anche solo graficamente, alcuna violazione di legge, in specie di ognuna delle disposizioni rubricate, mira invece a sollecitare a questa S.C. un giudizio strettamente meritale, previa una più favorevole riedizione degli apprezzamenti di fatto già compiutamente espressi da entrambi i primi giudici: per l’effetto violando natura e limiti del processo di cassazione come momento di controllo della sola legalità, o legittimità, degli atti impugnati.
È poi manifestamente infondato in quanto non corrisponde al vero che la CGT II avrebbe ‘riconosciuto che i costi sostenuti dalla Società per l’attività di segnalazione e promozione degli amministratori di condominio sono direttamente correlati ai ricavi’.
Anzitutto, nella tesi della contribuente, sono dati per presupposti, senza tuttavia alcun richiamo documentale, men che meno mediante idonee localizzazione e riproduzione in ossequio ai principi di precisione ed autosufficienza, sia ‘l’attività di segnalazione e promozione degli amministratori di condominio’ sia i ‘ricavi’ sia, ‘a fortiori’, la ‘diretta correlazione’ tra l’attività ed i ricavi. Trattasi di mancanza tanto più rimarchevole in quanto la
CGT II espressamente osserva, al contrario, che ‘dal controllo della documentazione come sopra prodotta, l’Agenzia non è stata messa in grado di avere contezza (sotto il duplice profilo di esistenza e, quindi, di inerenza) delle prestazioni rese e fatturate dagli amministratori condominiali alla RAGIONE_SOCIALE, per la quale questa ha loro pagato una provvigione’: la CGT II evidenzia, cioè, una basilare mancanza documentale.
Inoltre, a differenza di quanto detta tesi pretende, la CGT II ha accertato, come già detto, un rapporto privo di meritevolezza di tutela da parte dell’ordinamento giuridico tra la contribuente e gli amministratori di condominio, spiegando che ‘trattasi di somme versate’ dalla contribuente, non già a propri ‘mandatari’, ma ‘a soggetti mandatari fiduciari (amministratori di condominio e società di amministrazione di condominio) d controparte cessionaria/committente/cliente (condòmini: ”uti singuli’ e condomìni ”uti universi’)’: controparte ‘verosimilmente all’oscuro del connesso rapporto obbligazionario e del conseguente conflitto d’interessi’. Pertanto, nel condivisibile pensiero della CGT II, in aggiunta al non essere la documentazione di per sé dimostrativa della ‘esistenza’ e dunque altresì ‘inerenza’ di vere e proprie ‘prestazioni’ (tali perché giuridicamente apprezzabili) ‘rese e fatturate dagli amministratori condominiali’, comunque, pur a voler accedere, secondo le indicazioni documentali, alla qualificazione delle somme versate della contribuente quali provvigioni, le stesse sarebbero prive di causa: o perché avrebbero causa finanche, ‘in limine’, illecita e dunque non rilevante, trattandosi di remunerazione di soggetti – gli amministratori di condominio – che per favorire gli interessi della contribuente avrebbero dovuto violare il rapporto fiduciario con condòmini e condomìni in un’assorbente valutazione di conflitto di interessi, o perché duplicherebbero il contenuto prestazionale cui gli amministratori di
condominio sono già tenuti nei confronti degli amministrati per loro specifico dovere professionale.
Il difetto di causa delle remunerazioni, pertanto, in ogni caso, pone i relativi costi in un alveo di non intrinseca riconoscibilità come tali ed ‘a fortiori’ al di fuori del paradigma dell’inerenza all’attività d’impresa (per quanto in astratto, secondo una logica esclusivamente commerciale, a questa funzionali) .
Sinteticamente,
sono da considerare prive del requisito dell’inerenza, ed ‘a priori’ di quello della stessa esistenza quali costi (in un’accezione ‘funditus’ giuridica disgiunta da quella economica) propriamente detti, le corresponsioni di denaro effettuate da una società di fornitura di combustibile per il riscaldamento abitativo agli amministratori di condominio alla stregua, secondo quanto enunciato in fattura, di provvigioni, in quanto, costituendo esse mere elargizioni di riconoscenza, non remunerano prestazioni degli amministratori di condominio aventi titolo in un’obbligazione a sua volta consacrata in un rapporto meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico e perciò non trovano fondamento in una causa giuridicamente apprezzabile .
Quinto motivo: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 132, c. 2, n. 4, c.p.c., 36, c. 2, n. 4, del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 111, c. 6, Cost., laddove si valutasse che i Giudici hanno negato l’inerenza dei costi anche per il mancato adempimento dell’onere probatorio da parte dell’odierna ricorrente, per avere i Giudici deciso sulla base di una motivazione recante un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in relazione all’art. 360, c.1, n. 4, c.p.c.’.
5.1. ‘Si eccepisce la nullità della sentenza perché corredata da una motivazione recante un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’. ‘Le affermazioni della CGT II sono tra loro inconciliabili, per cui ammesso (ma non concesso) che la prima sia vera, le altre sono necessariamente false, e viceversa. Ed infatti, o si sostiene che non è possibile accertare la natura dei servizi ai quali fanno riferimento le fatture d’acquisto, negandone l’inerenza, oppure si riconosce che ciò è possibile, seppure affermando che si tratta di costi ritenuti non legittimi’. ‘In altri termini: o non si comprende la natura del costo e non si è in grado quindi di valutarne l’inerenza all’attività aziendale, o la si comprende e la si giudica illegittima e si fa derivare da detta illegittimità il giudizio di non inerenza dei costi’.
5.2. Il motivo è inammissibile.
Introduce una critica motivazionale alla sentenza impugnata, senza evocare il corretto paradigma censorio, rappresentato dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che subirebbe tuttavia la preclusione derivante dalla cd. doppia conforme di merito ex art. 348 -ter cod. proc. civ.
È, altresì e comunque, manifestamente infondato.
Già s’è detto a proposito del motivo precedente che entrambi i giudici di merito hanno rilevato che la documentazione prodotta dalla contribuente – documentazione, ripetesi, né richiamata né trascritta o quantomeno descritta nel motivo e più in generale nel ricorso, in violazione pertanto del principio di autosufficienza (come del resto non riprodotta è la motivazione degli avvisi, pur richiamata in breve stralcio nel motivo) – è di per sé inidonea a dimostrare alcuna prestazione propriamente detta degli amministratori di condominio in favore della contribuente , tale da giustificare alcuna corresponsione di somme. Corresponsione che non può aver titolo nel dedotto riconoscimento di provvigioni : sia perché, con riferimento a quelle prestazioni (meno numerose) cui
essi sono già tenuti per il servizio che rendono agli amministrati, e non alla contribuente, ciò realizzerebbe una duplicazione della causa remunerativa, presupponente l’onere della contribuente, invece inadempiuto, di fornire la prova delle prestazioni stesse e per vero del suo distinto e concorrente interesse in aggiunta a quello, di per sé oneroso, degli amministrati; sia perché, con riferimento a quelle prestazioni (maggioritarie) richiamanti esplicitamente una giustificazione in termini di ‘compensi provvigionali’, la giustificazione non regge, non potendosi configurare compensi a favore di ‘soggetti mandatari fiduciari (amministratori di condominio e società di amministrazione di condominio)’, non già della contribuente, bensì ‘d controparte cessionaria/committente/cliente (condòmini: ”uti singuli’ e condomìni ”uti universi’)’: soggetti, dunque, che in tanto avrebbero potuto prestare attività a favore della contribuente in quanto avrebbero dovuto tradire, ponendosi in una situazione di conflitto di interessi, il rapporto fiduciario con gli amministrati; ragion per cui, in definitiva, la remunerazione di tali soggetti altro non sarebbe che il compenso loro riconosciuto per un’attività immeritevole ed anzi non consentita.
Talché, la CGT II, quando conclusivamente scrive che, ‘dal controllo della documentazione come sopra prodotta, l’Agenzia non è stata messa in grado di avere contezza (sotto il duplice profilo di esistenza e, quindi, di inerenza) delle prestazioni rese e fatturate dagli amministratori condominiali alla RAGIONE_SOCIALE, per la quale questa ha loro pagato una provvigione’, non cade affatto in contraddizione con quanto sostenuto nelle righe precedenti, laddove ha messo in luce l’assenza di una causa, ‘a fortiori’ lecita, dei versamenti agli amministratori di condominio: la rilevata impossibilità, per l’Agenzia, ‘di avere contezza (sotto il duplice profilo di esistenza e, quindi, di inerenza) delle prestazioni rese e fatturate’ è volta semplicemente ad evidenziare – in una finale
formula di sintesi – che la contribuente non ha offerto la prova, pacificamente incombentele, di rendere giustificazione, all’evidenza in quadro di conformità all’ordinamento, dell’incarico dalla stessa affidato agli amministratori di condominio e quindi giust’appunto delle ‘prestazioni’, sorrette da una causa giuridicamente apprezzabile, da costoro resa in suo favore.
Sesto motivo: ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., laddove si valutasse che i Giudici hanno negato l’inerenza dei costi per mancata prova della loro esistenza, per essersi i Giudici pronunciati oltre i limiti della contestazione formulata con gli avvisi in controversia, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.’.
6.1. ‘Nella denegata e non creduta ipotesi in cui questa Ecc.ma Suprema Corte valuti che i Giudici si siano riferiti alla esistenza dei costi non per mero ‘lapsus’ – come attesterebbero anche le altre contestuali affermazioni per le quali ‘è pacifico’ che si tratta di somme pagate dalla Società agli amministratori di condominio e gli importi fatturati sono stati a questi riconosciuti per la fornitura del gasolio (pp. 12 e 14 sentenza CGT II) -ma abbiano intenzionalmente usato detta espressione, si eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.’. ‘ Giudici della CGT II erroneamente ritenuto che, con gli avvisi in controversia, sia stato contestato alla Società il profilo dell’inesistenza dei costi e non già, come avvenuto, solo quello della loro non inerenza’.
6.2. Il motivo è inammissibile.
Soffre della (già ripetutamente rilevata) mancata integrale riproduzione della motivazione degli avvisi di accertamento, in difetto di precisione ed autosufficienza.
Trattasi di mancanza tanto più degna di nota sol che si consideri che la CGT II, nella sentenza impugnata, afferma che ‘oggetto del processo sono i 2 avvisi di accertamento indicati in frontespizio
: · n. T9DOEJB04623/2019 per la contabilizzazione nel conto di mastro n. 6002 -0006, rubricato ‘Compensi Mediaz. e Provv. Occas’ di costi relativi a fatture per prestazioni ricevute da amministratori di condominio e società di amministrazione di condominio, senza idonea documentazione a supporto della relativa deducibilità fiscale ai fini Ires, ai sensi dell’art. 109, comma 1 e 5, dP.R. 917/1986 ; · n. T9D031B04637/2019 per la medesima irregolare contabilizzazione dei medesimi costi come deducibili ai fini Irap, ai sensi degli artt. 5 e 11, dlgs. 446/1997 , e come acquisti detraibili ai fini Iva, ai sensi dell’art. 19 del dP.R. 633/1972 ‘. Sicché, secondo quanto riferito dalla CGT II, il disconoscimento dei costi negli avvisi riposa sul difetto di ‘idonea documentazione a supporto’.
Oltretutto non fornisce evidenza -mediante congrue riproduzioni degli atti processuali nei gradi di merito – della pretesa esclusione del ‘thema’ dell’esistenza dei costi dal perimetro della ‘res controversa’. Ciò che nuovamente appare tanto più degno di nota considerato che è lo stesso ricorso per cassazione, nella parte introduttiva dedicata allo svolgimento del processo, a contraddittoriamente (rispetto a quanto sostenuto nel motivo) scrivere che ‘l’Ufficio notificava alla Società i due avvisi di accertamento da cui trae origine la presente controversia, l’avviso n. T9DOE1B04623/2019 per ires 2016 e l’avviso n. T9D031 B0463 7/2019 per irap ed i va 2016, con i quali, ritenendo non documentati e non inerenti, rispettivamente ai fini ires ex art. 109, cc. 1 e 5, d.P.R. n. 917/1986 e ai fini irap ed iva ex artt. 5 e 11 del d.lgs. n. 446/1997 e 19 del d.P.R. n. 633/1972, i costi annotati . La Società, con tempestivi e separati ricorsi : ii) in via principale nel merito: al secondo motivo, l’illegittimità e infondatezza dell’avviso ires e dell’avviso irap e iva in ragione della documentata sussistenza, rispettivamente, dei requisiti richiesti per la deduzione dei costi e dei requisiti richiesti per la deduzione dei
costi e la detrazione dell’iva’. Donde, secondo la stessa versione della contribuente, il ‘thema’ (della documentazione) dell’esistenza dei costi è stato (finanche) dalla medesima introdotto in primo grado a contestazione delle contrarie affermazioni contenute negli avvisi.
In aggiunta, il motivo è comunque infondato.
Invero, la sentenza impugnata, letta nel complesso del suo sviluppo motivazionale, e non alla stregua dell’arbitraria parcellizzazione che il motivo propone, rende conto di un originario difetto di prova delle prestazioni che gli amministratori di condominio avrebbero – lecitamente – reso alla contribuente.
La CGT II è ben consapevole dell’esistenza di giustificazioni ‘formali’ contenute nella documentazione rassegnata (”Agenzia ha constatato che nella quasi totalità dei casi le fatture de quibus fanno riferimento a compensi provvigionali ‘; ‘In pochi altri casi tali prestazioni riguardano l’ordinaria attività che l’amministratore/società di amministrazione svolge direttamente nell’adempimento del proprio mandato nell’interesse del condominio ‘); ma, adempiendo al dovere di verificare nella sostanza la corrispondenza della forma alla realtà, giunge alla conclusione che, ‘dal controllo della documentazione come sopra prodotta, l’Agenzia non è stata messa in grado di avere contezza (sotto il duplice profilo di esistenza e, quindi, di inerenza) delle prestazioni rese e fatturate’.
Ed è dunque all’esternazione di tale consapevolezza che deve ricondursi l’affermazione secondo cui ‘è pacifico per mancata contestazione, che trattasi di somme versate -su fattura -dal soggetto cedente/prestatore/fornitore (RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) a soggetti mandatari fiduciari (amministratori di condomìnio e società di amministrazione di condominio) di controparte cessionaria/committente/cliente (condòmini: ‘uti singuli’ e condomìni ‘uti universi’)’.
L’affermazione di cui si tratta, se rettamente intesa, si riferisce al non avere la contribuente contestato (donde la pacificità) che il ‘soggetto cedente/prestatore/fornitore (RAGIONE_SOCIALE‘ avrebbe versato somme – non già a propri mandatari (ed è questo il profilo fattuale saliente), ma – ‘a soggetti mandatari fiduciari (amministratori di condominio e società di amministrazione di condominio) di controparte cessionaria/committente/cliente’: ragion per cui i versamenti, pur ove effettuati, sarebbero in ogni caso (per le ragioni già innanzi evidenziate) privi di causa, non potendo siffatti amministratori avere ‘a monte’ effettuato alcuna effettiva, nel senso di autentica, prestazione (remunerabile in funzione di costi riconoscibili) in favore della contribuente.
Pertanto, il riferimento della CGT II al difetto di prova dell’esistenza dei costi è da valutare, in un più ampio discorso argomentativo, nella prospettiva della negazione dell’inerenza dei costi, tenuto conto dell’impossibilità stessa della loro esistenza quale pre -requisito dell’inerenza : inerenza, cioè, sicuramente non esistente, secondo la CGT II, poiché ‘a priori’ le somme versate dalla contribuente agli amministratori di condominio non si lasciano neppure sussumere nella categoria della remunerazione di prestazioni di cui la contribuente avrebbe potuto (lecitamente) giovarsi, trattandosi di prestazioni che – quand’anche rese dagli amministratori di condominio – si palesano in realtà prive di causa , di guisa che la loro remunerazione si pone sul piano del tutto irrilevante di mere ‘elargizioni ‘di riconoscenza”, non sorrette da valida giustificazione. In buona sostanza, nel ragionamento della CGT II, il difetto di inerenza s’impregna del difetto di causa , di per sé escludente l’ esistenza giuridica di costi , quantunque, in ipotesi, economicamente sostenuti.
Settimo motivo: ‘In via gradata. Violazione e falsa applicazione degli artt. 39, c. 1, lett. d, del d.P.R. n. 600/1973 e 54, c. 2, del d.P.R. n. 633/1972, del principio dell’inerenza,
ricavabile dalla nozione di reddito d’impresa o dall’art. 109, c. 5, del d.P.R. n. 917/1986, dell’art. 19, c. 1, del d.P .R. n. 633/1972, nonché dell’art. 2697 cod. civ., laddove si valutasse che i Giudici hanno negato l’inerenza dei costi per mancata prova della loro esistenza da parte dell’odierna ricorrente, per avere i Giudici erroneamente applicato le regole del riparto della prova, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.’.
7.1. ‘In tema di distribuzione dell’onere probatorio in caso di operazioni inesistenti, la giurisprudenza di legittimità è consolidata in senso diverso da quello espresso dai Giudici’. Questi ‘non hanno infatti ritenuto sussistere in capo all’amministrazione finanziaria alcun onere di specificare gli elementi indicativi della asserita inesistenza delle operazioni (che avrebbero dovuto essere valutati dai Giudici stessi), esigendo invece che fosse la Società a fornire la dimostrazione della loro esistenza’.
7.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Non coglie l’effettiva ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata.
Invero, come osservato a proposito, specialmente, del quarto e del quinto motivo che precedono, la CGT II non ha affatto incentrato la decisione sull’affermazione dell’inesistenza oggettiva delle prestazioni degli amministratori di condominio, ma piuttosto ha ritenuto che la contribuente non avesse offerto la prova dell’effettuazione, da parte di costoro, di prestazioni giuridicamente apprezzabili e (solo) come tali suscettibili di essere remunerate, generando quindi costi propriamente detti, alla stregua, segnatamente, come detto nelle fatture, di compensi provvigionali.
8. Ottavo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 19, c. 1, del d.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 163, del d.P.R. n. 917/1986 e 67 del d.P.R. n. 600/1973, per avere i Giudici respinto l’eccezione di illegittimità della contestazione per violazione del principio di neutralità dell’iva e del divieto di doppia imposizione e
per avere giudicato sussistente un danno per l’Erario, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.’.
8.1. ‘RAGIONE_SOCIALE ha eccepito in giudizio che i costi dei quali l’Ufficio non ha ammesso la detrazione dell’iva e la deducibilità ai fini ires e irap, ‘corrispondono a ricavi assoggettati a tassazione dai fornitori di RAGIONE_SOCIALE‘, con la conseguenza che il loro recupero a tassazione in capo a questa va a duplicare le imposte già assolte dai fornitori (amministratori di condominio) sui corrispondenti ricavi, in violazione del principio di neutralità dell’iva e del divieto di doppia imposizione ai fini delle imposte dirette, tanto più che ‘l’Erario non ha sofferto alcun danno e, specularmente, COGNOME non ha conseguito alcun vantaggio’ (motivi 3 e 4 ricorsi primo grado, qui doc. 2, e motivi 3 e 4 appello, qui doc. 6)’. La decisione della CGT II sul punto ‘è illegittima per violazione dei fondamentali principi che sanciscono la neutralità dell’iva e vietano la doppia imposizione nell’ambito dell’ires e dell’irap’.
8.2. Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, manifestamente infondato.
È inammissibile laddove assume, da un lato, che gli amministratori di condominio abbiano assoggettato ad imposta le somme loro versate e, dall’altro, che non si sia prodotto alcun danno per l’Erario: trattasi infatti di allegazioni meramente locutorie, non supportate dal benché minimo richiamo documentale, men che meno previa trascrizione dei corrispondenti contenuti.
È, comunque, manifestamente infondato, in quanto, in linea di principio, non ogni sostenimento di costi documentato da fattura determina, per ciò solo, il diritto alla detrazione dell’IVA in nome del principio di neutralità dell’imposta, giacché, diversamente, la fattura fornirebbe la copertura per l’espressione di ogni
genere di costo, pur affatto avulso dall’attività d’impresa; né la circostanza che in riferimento al medesimo rapporto altri abbia (in ipotesi) applicato le imposte genera una doppia imposizione .
S’è visto, ormai più volte, nella disamina del presente ricorso che la CGT II ha disconosciuto l’esistenza di poste passive qualificabili come costi, viepiù inerenti, ragion per cui dette poste passive, per quanto formalmente documentate in fattura, non possono assurgere a fondamento sostanziale dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, così come, del resto, alla deduzione delle passività dal reddito, giacché, secondo la giurisprudenza di questa S.C., ‘in tema di IVA, ai fini della detrazione dei costi, non è sufficiente l’avvenuta contabilizzazione degli stessi, dovendo il contribuente dimostrarne, nell’ipotesi di contestazione dell’Amministrazione finanziaria, anche l’esistenza, l’inerenza e la coerenza economica’ (Sez. 5, n. 22940 del 26/09/2018, Rv. 650686 -03).
Le fatture, infatti, non assumono valenza di per se stesse, ma in tanto in quanto corrispondono alla sostanza delle operazioni documentate.
Coerentemente agli insegnamenti in materia della Corte di Giustizia (cfr. fra le altre Corte di Giustizia 8 maggio 2008, in cause riunite C -95/07 e C -96/07), il diritto di detrazione è connesso alla effettività dell’operazione (requisito sostanziale) e non può essere subordinato al rispetto di adempimenti od obblighi meramente formali. Nella determinazione dell’IVA, la detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 non si relaziona alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’imposta sia effettivamente dovuta, ossia che corrisponda ad operazioni effettivamente poste in essere e ad essa soggette, in conformità con quanto prescritto dagli artt.
17 e 20 della sesta Direttiva del Consiglio CEE n. 77/388 e del principi interpretativi affermata dalla Corte di Giustizia (cfr. ad esempio Corte di Giustizia 13 dicembre 1989, in causa C -342/87)
Esclusa, dunque, la suddetta corrispondenza, legittimo è il recupero (anche) dell’IVA (oltreché delle componenti negative di reddito), senza evidentemente che si realizzi alcun ‘vulnus’ al principio di neutralità, il quale anzi, come testé ricordato, esige ‘a monte’ una perfetta corrispondenza tra forma e sostanza.
Né, ulteriormente, la circostanza che gli amministratori di condominio abbiano (in ipotesi, stante, come detto, il difetto di alcuna prova al riguardo) corrisposto le imposte può ridondare in favore della contribuente alla luce del divieto di doppia imposizione, stante l’autonomia dei singoli rapporti d’imposta in relazione ai singoli soggetti coinvolti.
Infine, ‘ad abundantiam’, deve osservarsi che totalmente privo di pregio è l’assunto per cui non si sarebbe verificato alcun danno per l’Erario, attesa l’illegittima detrazione e la sottrazione di materia imponibile conseguente alla condotta della contribuente.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna RAGIONE_SOCIALE a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 8.200, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE , di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 27 marzo 2025.