Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5815 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5815 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
Oggetto: IVA – spese consulenza – spese rap- presentanza – inerenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17644/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo difensore in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell ‘Emilia -Romagna n.285/11/2018 depositata in data 19/1/2018, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 4 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del l’Emilia -Romagna veniva accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia n.328/2/2015 con cui era stato accolto il ricorso introduttivo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto quattro avvisi di accertamento contenenti riprese per II.DD. e IVA basate su p.v.c..
Nella sentenza impugnata si legge che, con riferimento alle annualità 2009, 2010, 2011 e 2012, l’Amministrazione finanziaria contestava alla contribuente costi di consulenza fatturati dalla società RAGIONE_SOCIALE per prestazioni effettuate dalla dipendente NOME COGNOME in quanto ritenuti costi non inerenti, e costi relativi a spese di rappresentanza collegate ed effettuate sempre dalla COGNOME.
L’Agenzia riteneva indeterminato l’oggetto della consulenza fornita da RIMO alla contribuente e che, in realtà, le due società fossero riconducibili ad un unico soggetto economico, nel quale la RAGIONE_SOCIALE svolgeva una funzione strategica.
Per tali motivi, l’Ufficio accertava un maggior imponibile a fini IRES, IRAP ed IVA, con conseguente ripresa a tassazione ed irrogazione delle relative sanzioni.
Il giudice di prime cure annullava gli avvisi di accertamento, decisione integralmente riformata dal giudice di appello. Disattese le questioni preliminari, in particolare circa il contraddittorio endoprocedimentale, nel merito veniva accertata la non inerenza delle spese di consulenza fatturate da RAGIONE_SOCIALE e delle spese di rappresentanza, strettamente collegate, sostenute dal consulente NOME COGNOME per la creazione e mantenimento di una rete relazionale, base di sviluppo dell’attività di gestione sulla base di contratto stipulato.
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso. L’iniziale difensore della ricorrente Avv. NOME COGNOME ha depositato rinuncia al mandato. La ricorrente deposita memoria illustrativa ex art.380 bis.1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va dato atto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso nella sua interezza, sollevata in controricorso, per non aver censurato statuizioni espresse nella sentenza impugnata circa le questioni in rito e in particolare quanto al capo attinente alla doglianza di inesistenza degli atti per carenza del potere dirigenziale del delegante che, da sole, renderebbero non utile la proposizione del ricorso per Cassazione.
L’eccezione non può trovare accoglimento dal momento che, superate le questioni preliminari, la causa è stata decisa nel merito dalla CTR attraverso un’unica ratio relativa alla mancanza di inerenza delle spese contestate, impugnata dalla ricorrente con i motivi primo, secondo e quarto.
In ordine logico, dev’essere esaminato in via prioritaria il terzo motivo, relativo al contraddittorio con la contribuente anteriormente all’adozione degli atti impositivi , con cui viene dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 12, comma 7, della Legge 212 del 2000 (statuto del contribuente), in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver l’Agenzia notificato avvisi di accertamento riproducenti pedissequamente le considerazioni sviluppate col p.v.c., trascurando del tutto le osservazioni addotte dalla società in fase procedimentale.
Il mezzo di impugnazione è inammissibile, come eccepito in controricorso.
3.1. La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, sul la questione dell’articolo 12, comma 7, L. n. 212/2000 ha statuito che «risulta per tabulas , ed è in realtà incontestato che gli accertamenti per cui è causa sono stati tutti preceduti da una notifica di un regolare p.v.c. nel rispetto delle prerogative fissate dall’articolo 12 comma 7 della L. n. 212/2000, atteso che gli accertamenti impugnati sono stati notificati decorsi 60 giorni dalla notifica del p.v.c. e che nella loro motivazione viene dato conto del contenuto della memoria difensiva e delle ragioni del mancato accoglimento delle difese del contribuenti».
3.2. Il motivo innanzitutto non impugna specificamente la ratio decidendi , che ha accertato il rispetto del termine dilatorio di 60 giorni di cui all’articolo 12 , comma 7, dello Statuto tra la notifica del p.v.c. e la notifica degli avvisi di accertamento impugnati e che «nella loro motivazione viene dato conto del contenuto della memoria difensiva e delle ragioni del mancato accoglimento delle difese del contribuente» (cfr. p.5 sentenza).
3.3. In secondo luogo, si introduce anche una questione nuova, che nulla ha a che vedere con il rispetto del termine dilatorio d ell’articolo 12, comma 7, citato, e riguarda la mancata replica negli avvisi alle osservazioni sollevate in sede di procedimento amministrativo al p.v.c., di cui non vi è menzione nella sentenza impugnata e che la ricorrente non prova essere stata introdotta in primo grado e riproposta in appello.
3.4. In terzo luogo, la doglianza è anche inammissibile per difetto di specificità, poiché il p.v.c., le osservazioni e la motivazione dei quattro avvisi non sono neppure riprodotte in ricorso, al fine di dare evidenza della decisività della prospettazione di parte.
Con il primo motivo di impugnazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 109 T.U.I.R., degli artt. 5 e 11 d.lgs. n. 446/97 e dell’art. 19, d.P.R. 633/72 con riferimento al capo della sentenza attinente alla inerenza delle spese di consulenza fatturate da RIMO e di quelle di rappresentanza sostenute dalla consulente COGNOME, in particolare quanto alla riconduzione della contribuente REV e della RIMO ad un unico centro di interessi economico e dell’identificazione della COGNOME non come semplice dipendente di RIMO e consulente della REV , ma come persona con uno specifico ruolo strategico all’interno della contribuente.
Il motivo è inammissibile.
5.1. Va premesso che in tema di imposte sui redditi delle società (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24880 del 18/08/2022), la deducibilità di costi ed oneri, come pure la detraibilità della relativa IVA (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14858 del 07/06/2018; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018), richiedono l’inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Sono così esclusi quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo valutazione qualitativa e non quantitativa. La relativa prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé.
Ciò detto, la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332). La presente censura è manifestamente diretta a sovvertire in sede di legittimità l’accertamento fattuale compiuto dal giudice del merito sulla base del quadro istruttorio raccolto.
5.2. È poi inammissibile in quanto nuova oltre che assolutamente generica la deduzione, contenuta nel corpo della censura a pag.25, ove si afferma che: «poiché alcuni dei predetti costi furono considerati già indeducibili dalla società ricorrente nella dichiarazione IRAP (con riferimento all’anno d’imposta 2012), ne discende l’illegittimità e l’infondatezza della pretesa dell’Ufficio, perché, diversamente argomentando, detti costi risulterebbero tassati due volte e vi sarebbe, pertanto, una violazione di doppia imposizione.». Non vi è evidenza della questione nella sentenza impugnata né in ricorso della sua rituale introduzione in primo grado e riproposizione in appello.
6. Il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione, costituiti dal rapporto di consulenza con la RAGIONE_SOCIALE, attestata , tra l’altro, da: uno specifico contratto stipulato nel novembre 2008 denominato ‘ i ncarico di collaborazione’ idoneo a dimostrare l’assoluta indipendenza fra i due soggetti economici; una relazione redatta da RIMO da cui risulterebbe evidente che l’attività svolta da RAGIONE_SOCIALE e per essa dalla COGNOME si sostanzi erebbe in una collaborazione commerciale ; costi pacificamente sostenuti per le consulenze prestate dalla RIMO e regolarmente fatturate e pagate; dichiarazioni ufficiali rilasciate dai clienti Alenia RAGIONE_SOCIALE S.p.a. e RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE; contratto stipulato nel 2004 tra la RIMO
e la società RAGIONE_SOCIALE trend del volume di affari; non rilevanza dell’utilizzo di carte di credito intestate alla ricorrente da parte della RAGIONE_SOCIALE e non rilevanza della origine monegasca della RIMO ai fini della deducibilità fiscale ecc..
7. Il motivo è infondato.
7.1. Va innanzitutto rammentato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza delle riprese: la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente da solo), sebbene preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017). Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Infine, quanto alla valutazione della prova contraria, il Collegio osserva come, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti.
Orbene, l a Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, con riferimento all’inerenza delle spese sostenute dalla contribuente a pag.7 della sentenza impugnata ha statuito, tra l’altro, che « l’unico tema sul quale occorre prendere posizione è l’inerenza o meno delle spese di consulenza fatturate da RAGIONE_SOCIALE, e delle spese di rappresentanza, strettamente collegate, sostenute dal consulente NOME COGNOME per la ‘creazione e mantenimento di una ret e relazionale che, a
livello dirigenziale e tecnico-organizzativo, costituirà la base di sviluppo dell’attività digestione caratteristica del contratto in essere tra noi e l’RAGIONE_SOCIALE (contratto 13/11/2008).
Tanto premesso, ad avviso del Collegio risultano pacifici ed inconfutabili elementi in ordine alla non inerenza delle spese, atteso che, come dedotto dall’Ufficio, REV e RIMO costituiscono un unico soggetto economico, e la signora COGNOME lungi dall’esser e consulente esterna di RE V, ne è piuttosto una figura centrale, in quanto da anni attiva nel settore».
Pertanto, nella fattispecie il fatto storico è indubbiamente stato ponderato dal giudice. A ciò si aggiunge che diversi degli elementi riportati nel motivo di ricorso come fatti non valutati in realtà non lo sono e piuttosto assurgono a interpretazioni giuridiche (es. la lettura della relazione RAGIONE_SOCIALE da cui risulterebbe evidente che l’attività svolta da RAGIONE_SOCIALE e per essa dalla COGNOME si sostanzierebbe in una collaborazione commerciale, la rilevanza dell’utilizzo di carte di credito intestate alla contribuente, la rilevanza della natura monegasca della società RAGIONE_SOCIALE ai fini del diniego della detrazione ecc …) .
È infine inammissibile in quanto reca una questione nuova il quarto motivo di impugnazione con cui si prospetta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto inerenti alle fatture soggettivamente inesistenti, art. 1 d.l gs. 74/2000, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata non fa menzione di alcuna ripresa per operazioni soggettivamente inesistenti, né di questioni sollevate a riguardo in primo e in secondo grado, e il ricorso è a sua volta carente di specificità con riferimento a tale tema, che va considerato un novum inammissibile in sede di cassazione.
Il ricorso dev’essere perciò rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 10.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
La Corte dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4.12.2024