LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Costi non deducibili: la prova spetta al contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13383/2024, ha stabilito che in tema di costi non deducibili, la semplice esibizione di fatture e pagamenti da parte del contribuente non è sufficiente a provarne la legittimità se l’Amministrazione finanziaria fornisce elementi presuntivi sull’inesistenza delle operazioni. La Corte ha inoltre ribadito il principio di trasparenza fiscale per le società di persone, secondo cui il reddito societario è imputato ai soci indipendentemente dalla sua effettiva percezione, accogliendo integralmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi non Deducibili: la Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale del diritto tributario: la gestione dei costi non deducibili e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione sottolinea come la sola documentazione formale, quali fatture e assegni, possa non essere sufficiente a vincere le presunzioni dell’Amministrazione finanziaria circa l’inesistenza delle operazioni commerciali. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Costi Sospetti e la Verifica Fiscale

Una società di costruzioni in nome collettivo e i suoi soci si vedevano notificare diversi avvisi di accertamento per l’anno d’imposta 2008. L’Agenzia delle Entrate contestava la deduzione di costi per quasi 170.000 euro, relativi a “lavori eseguiti da terzi” e “noli passivi”, ritenendoli privi dei requisiti di certezza e inerenza. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso dei contribuenti, riconoscendo la deducibilità di una parte degli oneri. L’Agenzia proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale confermava in parte la decisione di primo grado. Contro questa sentenza, l’Amministrazione finanziaria ha presentato ricorso per cassazione, basato su tre motivi principali.

I Motivi del Ricorso dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia ha contestato la sentenza d’appello su tre fronti:

1. Violazione delle norme sull’onere della prova (art. 109 TUIR e 2697 c.c.): Secondo il Fisco, i giudici di merito avevano errato nel ritenere provata la deducibilità dei costi sulla base di documenti (fatture, assegni, contratti di subappalto) che l’Agenzia considerava insufficienti e in parte formalmente irregolari. Inoltre, i fornitori della società erano stati giudicati fiscalmente inaffidabili.
2. Errata applicazione del principio di trasparenza (art. 5 TUIR): L’Agenzia lamentava che la Corte d’appello avesse erroneamente escluso l’automatica attribuzione del maggior reddito accertato in capo ai soci, confondendo le regole delle società di persone con quelle delle società di capitali.
3. Violazione in materia di sanzioni (D.Lgs. 471/1997): Si contestava la parziale esclusione delle sanzioni per irregolare tenuta delle scritture contabili, conseguenza diretta dell’aver registrato fatture incomplete e relative a costi indeducibili.

La Decisione della Corte di Cassazione e i costi non deducibili

La Suprema Corte ha accolto tutti e tre i motivi del ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa a un nuovo esame.

Onere della Prova sui Costi non Deducibili

Sul punto centrale dei costi non deducibili, la Corte ha bacchettato i giudici di merito per la motivazione “succinta”. Viene chiarito il corretto percorso logico-giuridico da seguire: prima si deve verificare se l’Amministrazione finanziaria ha fornito prove, anche presuntive, sull’inesistenza delle operazioni contestate. Solo se questa prova è stata raggiunta, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettività delle operazioni. La Cassazione, citando un proprio precedente (n. 28628/2021), ha ribadito che l’esibizione della fattura e dei mezzi di pagamento non è una prova sufficiente “in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”.

L’Imputazione del Reddito nelle Società di Persone

La Corte ha ritenuto fondato anche il secondo motivo, evidenziando l’errore commesso dalla Commissione Tributaria Regionale. Per le società di persone, come la S.n.c. del caso di specie, vige il principio di trasparenza fiscale sancito dall’art. 5 del TUIR. Questo significa che i redditi prodotti dalla società sono imputati a ciascun socio in proporzione alla sua quota di partecipazione, “indipendentemente dalla percezione”. Non è quindi necessario provare l’effettiva distribuzione degli utili ai soci.

Sanzioni per Irregolarità Contabili

Infine, anche il terzo motivo è stato accolto. La Corte ha ritenuto la motivazione sulla disapplicazione delle sanzioni inadeguata, poiché non analizzava la conformità delle fatture esibite alle prescrizioni di legge. Se le fatture risultassero incomplete, l’irrogazione della sanzione per scorretta tenuta delle scritture contabili sarebbe una diretta conseguenza.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Corte si fonda su principi consolidati in materia di onere probatorio e di tassazione delle società di persone. La decisione critica un approccio giudiziale superficiale che si ferma alla valutazione della documentazione formale prodotta dal contribuente, senza prima analizzare compiutamente gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione Finanziaria. La Suprema Corte ha riaffermato che il processo tributario richiede una valutazione completa e rigorosa di tutte le prove in campo, sottolineando come la lotta all’evasione passi anche attraverso un’attenta analisi della sostanza economica delle operazioni, al di là della loro apparenza formale.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per i contribuenti e i loro consulenti. Dimostra che, di fronte a contestazioni fiscali ben argomentate dall’Agenzia delle Entrate, non è sufficiente affidarsi alla mera documentazione contabile. È necessario essere in grado di fornire prove concrete e sostanziali dell’effettività e dell’inerenza dei costi sostenuti. Inoltre, ribadisce la netta distinzione tra il regime di tassazione delle società di persone e quello delle società di capitali, un aspetto fondamentale da considerare nella gestione fiscale d’impresa.

Quando la sola presentazione di fatture e pagamenti non è sufficiente a dimostrare la deducibilità di un costo?
Secondo la Corte di Cassazione, la sola documentazione formale (fatture, assegni) non è sufficiente quando l’Amministrazione finanziaria fornisce elementi probatori, anche presuntivi, che facciano dubitare dell’oggettiva esistenza delle operazioni. In tal caso, l’onere della prova si sposta sul contribuente che deve dimostrare l’effettività dell’operazione.

Nelle società di persone (come le S.n.c.), il reddito accertato viene attribuito ai soci anche se non lo hanno effettivamente percepito?
Sì. In base all’art. 5 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), per le società di persone vige il principio di trasparenza fiscale. Ciò significa che i redditi della società sono imputati a ciascun socio proporzionalmente alla sua quota, indipendentemente dall’effettiva percezione degli utili.

L’aver sostenuto costi non deducibili può comportare sanzioni per irregolare tenuta delle scritture contabili?
Sì. Se i costi sono ritenuti non deducibili a causa, ad esempio, dell’incompletezza delle fatture che li documentano, ciò può configurare una violazione delle norme sulla corretta tenuta delle scritture contabili. Di conseguenza, possono essere applicate le relative sanzioni previste dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati