Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6235 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6235 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6982/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dal l’ avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3091/2021, depositata il 18 agosto 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-In data 21 settembre 2018, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Lecco, ha emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento, con contestuale irrogazione delle sanzioni, n. CODICE_FISCALE/2018, riguardante le maggiori imposte IRES per euro 97.961,00 ed IRAP per euro 18.913, relative alla ripresa a tassazione dei costi per servizi di logistica forniti dalla propria casa madre svedese RAGIONE_SOCIALE per euro 484.943,00, ritenuti, ad avviso dell’Amministrazione, costi indeducibili per difetto di inerenza ex art. 109 T.U.I.R. Correlativamente, l’Ufficio ha irrogato le sanzioni amministrative per infedele dichiarazione ai fini IRES per euro 88.164,90 e ai fini IRAP per euro 17.021,70, avanzando una pretesa complessiva di euro 242.536,71. L’accertamento trae origine da una verifica fiscale svoltasi presso la sede della RAGIONE_SOCIALE in esito alla quale la Guardia di Finanza di Lecco, in data 26 marzo 2018, ha redatto un processo verbale di constatazione.
Avverso l’ avviso di accertamento, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Lecco.
L’Agenzia delle entrate si è costituita in giudizio.
La Commissione tributaria provinciale di Lecco, con sentenza n. 139/2019, depositata il 12 agosto 2019, ha rigettato il ricorso.
-Avverso tale sentenza, proponeva appello l’odiern a ricorrente.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle entrate.
Con sentenza n. 3091/2021, depositata il 18 agosto 2021, la Commissione tributaria regionale per la Lombardia ha rigettato l’appello.
–RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L ‘Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce un error in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art . 36, c. 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.; error in procedendo per violazione e falsa applicazione del l’ art. 115 cod. proc. civ . e dell’art. 1, c. 2, d.lgs. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ. La sentenza della Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello e confermato la legittimità dell’avviso di accertamento relativo all’inerenza del costo ripreso a tassazione, rendendo – secondo la prospettazione della ricorrente una motivazione del tutto apparente, perplessa ed incomprensibile, poiché basata su una serie di affermazioni tra loro inconciliabili. In particolare, nel ritenere non inerenti i costi sostenuti per le spese logistiche, da un lato, ha accertato il fatto che «i beni prodotti nello stabilimento di Valmadrera», in Italia «non corrispondono all’insieme dei beni del gruppo che la società italiana commercia nella sua veste di sales company»; dall’altro lato, ha ritenuto che «il ritrasferimento dei beni alla società italiana ad un costo maggiore rispetto all’originario prezzo di vendita alla casa madre è certamente indice del fatto che i costi di logistica, gli unici che risulta la casa madre abbia sostenuto, siano assorbiti, sul piano economico, dal prezzo di vendita» che, «in quanto tale, già rappresenta un costo integralmente dedotto dalla società italiana, i cui costi di logistica qui in discussione andrebbero ad aggiungersi». Ma se è vero che, come statuito dalla Commissione tributaria regionale, la società italiana non commercializza soltanto beni dalla stessa prodotti (e successivamente rivenduti alla casa madre), ma anche beni prodotti da altre società del gruppo, non si comprende come possa poi affermarsi che i costi di logistica sostenuti dalla casa madre siano
inglobati nel prezzo di vendita da questa applicato alla controllata italiana a un prezzo più alto rispetto a quello che la stessa casa madre aveva pagato alla controllata italiana al momento dell’acquisto dello stesso bene da essa prodotto.
1.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, l’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598) per cui il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
Dalla lettura della pronuncia si evince che non sussiste alcun vizio che leda il ‘minimo costituzionale’ avendo la Commissione tributaria chiarito che il magazzino era di proprietà della casa madre nel cui interesse veniva gestito, così come di sua proprietà era la merce ivi contenuta. Tali elementi sono stati ritenuti sufficienti per escludere che i costi di logistica relativi al magazzino potessero essere considerati inerenti all’attività di impresa della ricorrente.
Il riferimento alla maggiorazione di prezzo riscontrabile tra la prima cessione all’interno del gruppo e la rivendita non presenta alcuna intrinseca incongruenza e costituisce un passaggio ulteriore
rispetto alla considerazione precedente riguardante la gestione del magazzino, ritenuta assorbente.
2. -Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, T.U.I.R., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la società ricorrente avesse duplicato i costi in questione, essendo gli stessi già inglobati nel prezzo al quale la casa madre vende alla propria controllata italiana i beni dalla stessa commercializzati (solo in parte corrispondenti, come visto nel precedente motivo, con i beni dalla stessa controllata italiana prodotti e in precedenza venduti alla casa madre), con la conseguenza che la stessa casa madre non avrebbe potuto far pagare i costi medesimi separatamente. In questo senso, la Commissione tributaria regionale avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e il pronunciato , avendo invece l’Agenzia delle entrate sostenuto la non inerenza dei costi, nel presupposto che gli stessi afferissero alla casa madre e non già che detti costi fossero duplicati, essendo la duplicazione di un costo cosa ben diversa dall’inerenza. Il fatto che un costo (di gestione della logistica) sia stato sostenuto dal fornitore non impedisce che detto stesso costo sia poi riversato sul cliente con un margine di ricarico e sia perciò da questi deducibile. La Commissione tributaria regionale avrebbe quindi adottato un parametro di giudizio errato. La pronuncia, peraltro, avrebbe violato anche l’art. 109 T.U.I.R. in tema di deduzione dei costi, poiché i costi sostenuti dalla casa madre/fornitrice possono da questa certamente essere fatti gravare sulla controllata/cliente con un margine di ricarico, senza perciò configurarsi alcuna duplicazione tale da configurarsi un difetto di deducibilità da parte della predetta cliente.
In via subordinata, ove dovesse ritenersi che la Commissione tributaria regionale abbia respinto l’appello per difetto di inerenza dei costi, la sentenza sarebbe comunque errata essendo i costi di
logistica in questione inerenti, ritenendosi pacifica l’effettiva erogazione, da parte della casa madre, dei relativi servizi di logistica e la riferibilità di tali servizi ai beni commercializzati dalla RAGIONE_SOCIALE. A nulla rileverebbero, in ordine al giudizio di inerenza, le circostanze fattuali che sono state valorizzate dalla Commissione tributaria regionale, che avrebbe pertanto violato l’art. 109, comma 5, T.U.I.R.
2.1. -Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Non sussiste alcuna violazione tra il chiesto e il pronunciato, avendo la pronuncia ritenuto che la contribuente non potesse dedurre i costi inerenti all’attività della casa madre proprietaria del magazzino e della merce ivi contenuta.
Inammissibili risultano le deduzioni riguardanti la valutazione degli elementi considerati dalla pronuncia per escludere l’ inerenza dei costi, mirando in realtà la parte a conseguire una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie non consentita in questa sede.
Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass., Sez. III, 23 agosto 2024, n. 23055; Cass., Sez. VI-1, 13 gennaio 2020, n. 331).
Sussiste, inoltre, un difetto di specificità in merito al contenuto degli accordi intercorsi tra le parti.
-Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. e dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. 21. Secondo quanto dedotto, la Commissione tributaria regionale ha fondato il proprio convincimento sulla base di un mero elemento indiziario, che non assurge a presunzione qualificata, in quanto privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, nonché per erronea inversione dell’onere probatorio, che avrebbe dovu to gravare sull’ufficio, avuto riguardo al tenore sostanziale del rilievo oggetto di causa.
3.1. -Il motivo è infondato.
In tema di imposte sui redditi delle società, la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta secondo valutazione qualitativa e non quantitativa, la cui prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Cass., Sez. V, 18 agosto 2022, n. 24880).
Nel caso di specie, la pronuncia ha ritenuto che difettasse la prova dell’inerenza di un componente negativo di reddito, gravando il relativo onere probatorio sul contribuente. Non c ‘ è stata, dunque, alcuna inversione dell’ onere prova.
4. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione