Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9132 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9132 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 951/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 3293/2019 depositata il 31/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 14 maggio 2015, la Direzione Provinciale I di Milano avviava una verifica fiscale nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, consociata italiana appartenente al Gruppo multinazionale RAGIONE_SOCIALE esercente nel mercato mondiale la produzione e commercializzazione di tecnologie per la lavorazione e applicazione di rivestimenti in polvere.
La verifica, relativa all’esercizio compreso tra il 1° novembre 2012 e il 31 ottobre 2013 ai fini delle imposte sui redditi e relativa all’anno 2012 ai fini IVA, si concludeva con la redazione e l’emissione in data 28 luglio 2015 di formale PVC.
L’Ufficio proponeva integrale recupero a tassazione dei costi per servizi infragruppo prestati dalle consociate estere in favore di RAGIONE_SOCIALE
In particolare, venivano ripresi a tassazione costi a fini IRES per servizi intercompany pari ad euro 1.118.657,87 e contestato un maggior reddito di produzione netta pari ad euro 1.284.614,14. Nonché applicata, a norma degli artt. 3, 7, 12 e 17 del D.lgs 472/1997, una sanzione amministrativa pecuniaria unica pari ad euro 321.957,00.
In data 24 novembre 2017, L’Ufficio notificava alla società l’avviso di accertamento n. T9B03DI00211/2017 con il quale contestava una maggior imposta IRES pari ad euro 307.631,00; nonché una maggior imposta IRAP pari ad euro 50.100,00. Confermava infine l’applicazione della sanzione amministrativa suindicata.
La società proponeva ricorso presso la CTP di Milano che con sentenza n. 4080/2018, depositata in data 2 ottobre 2018,
rigettava il ricorso e per l’effetto confermava integralmente l’avviso di accertamento impugnato.
La contribuente censurava la sentenza di primo grado dinanzi alla CTR della Lombardia, eccependo il difetto di motivazione in relazione ai capi aventi ad oggetto la ripresa a tassazione della maggior imposta IRES. Contestava inoltre l’avviso di accertamento, ritenendolo viziato in punto di motivazione e infondato nel merito. Ribadiva infine l’infondatezza della ripresa a tassazione ai fini IRAP. Con sentenza n. 3293/2019 la CTR accoglieva l’appello della contribuente, per l’effetto riformava la sentenza di primo grado e annullava l’avviso di accertamento impugnato ritenendo debitamente provate non solo l’effettività dei costi relativi ai servizi infragruppo, ma anche la loro inerenza rispetto all’attività imprenditoriale svolta dalla consociata italiana.
L’Agenzia delle Entrate interpone ora ricorso per cassazione incentrato su tre motivi. Resiste la contribuente con controricorso e con memoria depositata in data 30/01/2025 ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si contesta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., per aver la CTR annullato l’avviso di accertamento nonostante le contestazioni sollevate dall’Ufficio in merito alla inadeguatezza della documentazione prodotta dalla società, astrattamente finalizzata a fornire idonea giustificazione ai costi sostenuti per servizi infragruppo.
Col secondo motivo si adombra la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 d.Lgs 546/1992 e art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per aver la CTR reso una pronuncia avente motivazione generica e apparente, in quanto esclusivamente incentrata sul riconoscimento acritico della validità
ed efficacia probatoria della documentazione prodotta dalla contribuente.
Col terzo motivo si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 co.1 n. 5 c.p.c..
Il primo motivo è fondato e va accolto con assorbimento degli altri due.
Gli esborsi per attività direzionali, amministrative, legali e tecniche addebitati dalla società controllante alle società controllate in virtù di specifici accordi contrattuali, i c.d. ‘ cost sharing agreements ‘, possono essere dedotti dalla controllata soltanto se quest’ultima tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata.
Giova rilevare che le spese sostenute dalla ‘casa madre’ e riaddebitate alla società ‘figlia’, pur se funzionali al coordinamento tra la ‘filiale’ e la ‘sede centrale’, possono qualificarsi inerenti ai ricavi della succursale e, quindi, essere dedotte dal relativo reddito di impresa, purché si siano tradotte in servizi effettivamente e puntualmente resi a quest’ultima, nel senso che è necessario che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia inerente, obiettivamente determinabile, adeguatamente documentata e tangibile.
Nella specie, la CTR menziona sommariamente: ‘ fatture ‘; ‘ report ‘, ‘ ulteriori elementi ‘, invero neppure specificati; ‘ giustificativi di spesa ‘, anch’essi imprecisati; ‘ chiarimenti e corrispondenza capaci di dimostrare la natura e i contenuti dell’attività ‘, ma non a far luce sulla misura e sulla consistenza del beneficio dell’odierna controricorrente; ancora ‘ fatture ‘; ‘ ulteriore documentazione relativa alla modalità di determinazione dei costi e ai contenuti del servizio ‘, anche in questo caso genericamente inespressiva della connotazione e della dimensione del beneficio apportato alla società controllata; ‘ reportistica ‘ e ‘ analisi di costi e ricavi ‘ che appaiono
‘ indirizzati a ingenerare un beneficio diretto ‘, di cui però lasciano in ombra la realtà effettiva e algebricamente determinata; la mera correlazione di ‘ servizi di marketing ‘ e attività svolta dalla consociata, da cui non è evincibile la natura del vantaggio apportato in termini economici; l’assunto di ‘ minori costi conseguenti all’esternalizzazione ‘, privo, tuttavia, di un addentellato concreto sul piano dei numeri; l’assunto della razionalità della centralizzazione dei ‘ servizi informatici ‘, sprovvisto di un riferimento concreto all’importo del beneficio determinato.
Orbene, secondo un’impostazione ampiamente condivisa da questa Corte, in materia di costi c.d. infragruppo, laddove la società capofila di un gruppo di imprese decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo, ripartendone i costi tra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione, l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati grava sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, peraltro, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile e detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (Cass. n. 32422 del 2018; Cass. n. 23027 del 2015).
Detta determinatezza e/o determinabilità rimane avulsa dalla ricostruzione operata dal giudice d’appello. Sebbene, infatti, la deducibilità sia subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata e al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, sulla quale grava l’onere di specifica allegazione degli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante (Cass. n. 6820 del 2020; Cass. n. 14016 del 1999; Cass. n. 23164 del 2017), il profilo
legato alla natura del vantaggio apportato e della sua dimensione ‘contabile’ resta del tutto in ombra.
Alla stregua di tale premessa, questa Corte ha ritenuto che ove, come nel caso di specie, i costi della cui deducibilità si controverte scaturiscano da accordi (‘ cost sharing agreements’ ), non può ritenersi sufficiente in alcun modo sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate, né la fatturazione dei corrispettivi -su cui pure la CTR indugia -richiedendosi, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cass. n. 16480 del 2014; in termini analoghi v. anche Cass. n. 17535 del 2019).
Ai riassunti principi non risulta essersi conformata la Commissione tributaria regionale, la quale ha, per converso, riconosciuto la deducibilità dei costi infragruppo sulla base della sola documentazione di rapporti intercorsi fra le società della compagine, di prestazioni di assistenza e consulenza rese, di incarichi affidati al personale per l’esecuzione di tali servizi, senza, tuttavia, valutare il reale vantaggio tratto dalla controllata. La sola documentazione degli accordi infra-gruppo e del tipo di servizi, senza alcuna valutazione del reale vantaggio conseguito dalla controllata e dell’effettiva utilità tratta dalla medesima non può reputarsi sufficiente a fondare la deducibilità dei costi (cfr. in tema Cass. n. 14016 del 1999), a fronte delle circostanziate argomentazioni dell’Ufficio ed avendo questa Corte recentemente ribadito che In tema di reddito di impresa, ai fini della deducibilità dei costi infragruppo derivanti da accordi “cost sharing agreements”, non può ritenersi sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate -quali le attività direzionali, amministrative, legali e tecniche – e la fatturazione dei corrispettivi,
richiedendosi, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cass. n. 8001 del 2021).
Il trascurato quadro di principi rappresenta, peraltro, una ‘bussola’ d’approccio indefettibile al fenomeno del ‘gruppo’ d’imprese e alle dinamiche che ne contrassegnano economie di scala e ripartizione interna di costi. Il gruppo dà forma, infatti, ad una situazione peculiare: da un lato, il gruppo s’atteggia a realtà giuridica plurale (più società, più patrimoni); dall’altra, esso si muove entro una dinamica economica che è, al fondo, complessivamente unitaria (una sola -benché articolata -attività produttiva-lucrativa, quindi -lato sensu -una sola ‘impresa’).
Nel caso di specie a venire in rilievo, in relazione ai costi contestati dall’Amministrazione finanziarie, erano essenzialmente contratti infragruppo fra società formalmente autonome, ma di fatto unitariamente gestite da una holding , mediante cui taluni servizi di interesse comune venivano, nella prospettazione della contribuente, svolti, volta per volta, dietro corrispettivo, da un membro del gruppo, in favore dei soggetti compagine.
Nel caso che occupa, le società si presentano fortemente interconnesse, sia perché il gruppo pacificamente impernia la propria operatività complessiva sull’istituto della direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.), sia perché le società che compongono il rassemblement -come la stessa RAGIONE_SOCIALE evidenzia nel controricorso -sono avvinte anche da un contratto di cash pooling , ossia da un contratto di finanziamento complesso che, perlomeno, nella sua declinazione più diffusa implica perlomeno l’attribuzione di prerogative di gestione della tesoreria del gruppo in capo alla holding .
Di fronte ad un fenomeno societario in cui la controllante, per vincoli interni al gruppo, è posta in condizione di governare
l’attività delle controllate, indirizzandone o determinandone potenzialmente il coacervo delle condotte economiche, non può rilevare -ai fini della prova dell’inerenza il dato ‘in sé’ della sussistenza di contratti fra i soggetti che appartengono al pool societario, rappresentando detto profilo un dato neutro e di superficie, addirittura ovvio in una logica di gruppo. Piuttosto, è imprescindibile che la cornice dei principi nomofilattici sopra declinata sia tradotta dal giudice di merito in un esame attento e approfondito che indaghi -lo si ribadisce -i seguenti aspetti: la tipologia dei costi sostenuti, la natura e specificità delle prestazioni rese, la dimensione reale e tangibile delle utilità che se ne sono tratte, l’avvenuta, dettagliata documentazione degli esborsi e dei costi correlati. In altri termini, il richiamo alla presenza di ‘involucri’ contrattuali fra società di un gruppo, che abdichi ad un vaglio minuzioso del ‘contenuto interno’ che a quegli involucri ha dato sostanza è un vaglio che risulta monco e incompleto e che, pertanto, va rinnovato.
In conclusione, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria Regionale di II Grado anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbite le altre censure. Cassa la sentenza impugnata. Rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia, in diversa composizione, cui è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 12/02/2025.