Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10302 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10302 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16027/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente in via principalecontro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente in via incidentale-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 2844/2020 depositata il 03/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 29 ottobre 2018, la Direzione Provinciale di Milano notificava alla Società RAGIONE_SOCIALE, operante nel mercato della produzione e commercializzazione di tecnologia per la lavorazione e l’applicazione di rivestimenti in polvere, l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE relativo all’anno d’imposta 2013 con cui recuperava una maggior imposta IVA pari ad euro 190.930,00 oltre interessi e sanzioni. In particolare, l’Ufficio contestava alla società l’indetraibilità dell’IVA, relativa a servizi resi dalle società estere consociate RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, assolta in relazione a costi infragruppo ed esposta nelle fatture emesse dalle società estere. Ritenuti tali costi non documentati e non inerenti, l’Ufficio aveva provveduto a contestarne la deducibilità ai sensi dell’art. 109 TUIR.
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava davanti alla CTP di Milano l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO contestandone la legittimità.
Con sentenza n. 3510/2019 la Commissione Tributaria Provinciale rigettava parzialmente il ricorso proposto e confermava le conclusioni dell’Ufficio.
La contribuente proponeva appello avverso i capi della sentenza a sé sfavorevoli, evidenziando inoltre come la detraibilità dell’IVA mediante l’applicazione del regime del reverse charge non avesse arrecato nel caso di specie alcun danno erariale. L’ufficio presentava appello incidentale avverso la medesima sentenza.
La CTR rigettava l’appello principale della Società e l’appello incidentale dell’Ufficio, confermando interamente la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi. In seguito, ha depositato memoria illustrativa.
L’Agenzia si è costituita con controricorso, avanzando, inoltre, ricorso incidentale incentrato su due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 19 D.P.R. 633/1973 in relazione all’art. 109 D.P.R. 9187/1986, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR ritenuto illegittima la detrazione IVA per carenza del requisito di inerenza e interpretato la normativa richiamata in senso restrittivo senza tenere conto dell’evoluzione giurisprudenziale in materia. In particolare, ritiene il ricorrente che la CTR avrebbe trascurato di considerare la circostanza che ‘tutti i servizi venivano resi da consociate localizzate in paesi ad alta fiscalità, con conseguente assenza di alcun interesse alla delocalizzazione del reddito’.
Con il secondo motivo di ricorso si adombra la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 168 Direttiva 2006/112/CE del Consiglio Europeo, del 28 novembre 2006 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., per aver la CTR erroneamente ritenuto che la contribuente dovesse dimostrare il conseguimento di uno specifico interesse economico. Viceversa, secondo la prospettazione della ricorrente, sarebbe sufficiente, ‘a fronte del principio di neutralità dell’IVA, la prova del mero impiego di beni e servizi per operazioni rilevanti ai fini IVA, che si attua con l’assolvimento della rivalsa sull’IVA a monte nei confronti del cedente’.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 17, comma 2 e 19 del D.P.R. n. 633/1972, 19 del regolamento CE del 15 marzo 2011 n. 282/2011, art. 6
comma 9 bis del d.Lgs n. 471/1997, nonché del generale principio di neutralità dell’IVA con riferimento alla contestata indetraibilità dell’IVA afferente ai servizi infragruppo resi dalle consociate europee in relazione all’art. 360 comma 1, n.3 c.p.c., per non aver la CTR accolto il motivo di gravame con cui la ricorrente lamentava il grave pregiudizio derivante dalla indetraibilità dell’ IVA, in quanto applicata mediante il meccanismo del reverse charge .
Con il quarto motivo di ricorso si contesta la falsa applicazione dell’art. 17, comma 2 D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 168 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio Europeo, del 28 novembre 2006 con specifico riferimento al principio di neutralità che regola il funzionamento dell’IVA, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per aver la CTR interpretato il principio di neutralità dell’IVA in contrasto con l’interpretazione datane a livello comunitario.
Con il primo motivo di ricorso incidentale si lamenta la nullità della sentenza affetta da vizio di motivazione ai sensi degli artt. 36 del d.lgs. 546/1992 e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 co.1 n. 4 c.p.c.
Con il secondo motivo si contesta la violazione dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per non aver la CTR fatto corretta applicazione dei principi espressi dalla ‘giurisprudenza in materia di inerenza dei costi, in base alla quale resta sempre fermo l’onere del contribuente di provare l’inerenza del costo e la coerenza economica dello stesso, mediante adeguata documentazione di supporto, da cui sia possibile ricavare la certezza, l’importo, la ragione, la coerenza economica della spesa e l’effettiva utilità del servizio, risultando legittima l’indeducibilità di un costo, quando sia sufficiente o mancante la documentazione predetta o dal suo esame non sia possibile verificare l’inerenza della spesa all’impresa’.
I primi due motivi del ricorso principale sono suscettibili di trattazione congiunta, appaiono infondati e vanno respinti.
Invero, in tema di reddito di impresa e con riferimento ai costi infragruppo, qualora la società capofila, al fine di coordinare le scelte operative delle imprese formalmente autonome e di ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi o curi direttamente attività di interesse comune alle società affiliate, ripartendo i costi tra queste ultime, l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di avere ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata Cass. n. 31405 del 2018). In definitiva, in tema di reddito di impresa, in materia di costi cd. infragruppo, ove la società capofila fornisca servizi o curi direttamente attività di interesse comune alle società del gruppo ripartendone i costi tra le stesse, al fine di coordinare le scelte operative delle imprese formalmente autonome e ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile, è necessario che la controllata tragga dal servizio remunerato una reale utilità e che questa sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente motivata, sicché la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali sui servizi prestati dalla controllante (cd. “cost sharing agreements”) è subordinata alla effettività e inerenza della spesa rispetto all’attività di impresa della controllata e al vantaggio a questa derivato, provato dalla specifica allegazione degli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita (Cass. n. 32422 del 2018)
Il terzo e il quarto motivo del ricorso principale sono infondati.
Viene in evidenza il principio di diritto alla cui stregua in tema d’IVA, riguardo alle operazioni intracomunitarie ed al meccanismo del “reverse charge”, come chiarito dalla giurisprudenza unionale, il diritto alla detrazione da parte del cessionario, derivante dall’annotazione nel registro degli acquisti, presuppone la sussistenza del requisito dell’inerenza dell’operazione all’attività d’impresa, sicché l’eventuale l’insussistenza di una connessione con l’attività d’impresa del soggetto passivo comporta la ripresa della somma portata in detrazione, ferma l’imposta dovuta (Cass. n. 140 del 2022).
È fondato il secondo motivo del ricorso incidentale, con conseguente assorbimento del primo motivo del ricorso stesso.
La sentenza d’appello ha, invero, confermato la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente in relazione ai costi sostenuto da essa per i servizi prestati da RAGIONE_SOCIALE reputando che fossero adeguatamente documentati in punto di utilità e inerenza.
La CTR si è limitata al seguente passaggio motivazionale: ‘ la decisione di esternalizzare andava a vantaggio anche del gruppo, per l’annualità in questione, non può escludersi il vantaggio diretto anche della RAGIONE_SOCIALE: come risulta dall’allegato 13 al ricorso introduttivo, il costo medio per ordine, incluso il mark up ammonta a circa 17 euro, cifra complessivamente inferiore a quanto sosteneva la società con propri dipendenti prima che fosse esternalizzata la funzione di Customer Service (cfr. allegato 13 contenente nota di risposta della società in data 8.2.2017). L’aumento che, con il tempo avrebbe interessato i costi del servizio esternalizzato, posto a carico della Società ricorrente, non incide sulle valutazioni concernenti l’annualità in esame ‘.
Orbene, secondo un’impostazione ampiamente condivisa da questa Corte, in materia di costi c.d. infragruppo, laddove la società capofila di un gruppo di imprese decida di fornire servizi o curare
direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo, ripartendone i costi tra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione, l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati grava sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, peraltro, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile e detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (Cass. n. 32422 del 2018; Cass. n. 23027 del 2015).
Detta determinatezza e/o determinabilità rimane avulsa dalla ricostruzione operata dal giudice d’appello. Sebbene, infatti, la deducibilità sia subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata e al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, sulla quale grava l’onere di specifica allegazione degli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante (Cass. n. 6820 del 2020; Cass. n. 14016 del 1999; Cass. n. 23164 del 2017), il profilo legato alla natura del vantaggio apportato e della sua dimensione ‘contabile’ resta al lume del riportato passaggio motivazionale -del tutto in ombra.
Alla stregua di tale premessa, questa Corte ha ritenuto che ove, come nel caso di specie, i costi della cui deducibilità si controverte scaturiscano da accordi (‘ cost sharing agreements’ ), non può ritenersi sufficiente in alcun modo sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate, né la fatturazione dei corrispettivi -su cui pure la CTR indugia -richiedendosi, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il
servizio (Cass. n. 16480 del 2014; in termini analoghi v. anche Cass. n. 17535 del 2019).
A tali principi sopra riassunti non risulta essersi conformata la Commissione tributaria regionale, la quale ha, invece, riconosciuto la deducibilità dei costi infragruppo sulla base della sola documentazione di rapporti intercorsi fra le società della compagine, senza valutare il reale vantaggio tratto dall’odierna ricorrente in via principale, ma limitandosi a rilevare che un vantaggio diretto ‘ non può escludersi ‘.
In realtà, la sola documentazione degli accordi infra-gruppo e del tipo di servizi, come pure del ‘ costo medio per ordine ‘ al quale la CTR ancora la motivazione, non dà conto dell’avvenuta valutazione del reale vantaggio conseguito dalla società e dell’effettiva utilità tratta dalla medesima sicché non può reputarsi bastevole a fondare la deducibilità dei costi (cfr. in tema Cass. n. 14016 del 1999), a fronte delle circostanziate argomentazioni dell’Ufficio. Questa Corte recentemente ha ribadito che in tema di reddito di impresa, ai fini della deducibilità dei costi infragruppo derivanti da accordi “cost sharing agreements”, non può ritenersi sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate -quali le attività direzionali, amministrative, legali e tecniche – e la fatturazione dei corrispettivi, richiedendosi, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cass. n. 8001 del 2021).
Il trascurato quadro di principi ora riassunto rappresenta una ‘bussola’ d’approccio ineludibile al fenomeno del ‘gruppo’ d’imprese. Quest’ultimo dà forma, infatti, ad una situazione peculiare: da un lato, il gruppo s’atteggia a realtà giuridica plurale (più società, più patrimoni); dall’altra, esso si muove entro una dinamica economica che è, al fondo, complessivamente unitaria
(una sola -benché articolata -attività produttiva-lucrativa, quindi -lato sensu -una sola ‘impresa’).
Nel caso di specie a venire in rilievo, in relazione ai costi contestati dall’Amministrazione finanziaria, era essenzialmente un contratto infragruppo fra società formalmente autonome, ma di fatto unitariamente gestite da una holding , mediante cui taluni servizi di interesse comune venivano, nella prospettazione della contribuente, svolti dietro corrispettivo, da un membro del gruppo, in favore dei soggetti compagine.
Nel caso di specie, le società della compagine si presentano fortemente interconnesse perché il gruppo pacificamente imperniava la propria operatività complessiva sull’istituto della direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.).
Di fronte ad un fenomeno societario in cui la controllante, per vincoli interni al gruppo, è posta in condizione di governare l’attività delle controllate, indirizzandone o determinandone potenzialmente il coacervo delle condotte economiche, non può rilevare -ai fini della prova dell’inerenza il dato ‘in sé’ della sussistenza di contratti, né un rapido e non meglio argomentato riferimento al ‘costo medio per ordine’. Piuttosto, è imprescindibile che la cornice dei principi nomofilattici sopra declinata sia tradotta dal giudice di merito in un esame attento e approfondito che indaghi -lo si ribadisce -i seguenti aspetti: la tipologia dei costi sostenuti, la natura e specificità delle prestazioni rese, la dimensione reale e tangibile delle utilità che se ne sono tratte, l’avvenuta, dettagliata documentazione degli esborsi e dei costi correlati. In altri termini, il richiamo alla presenza di ‘involucri’ contrattuali fra società di un gruppo, che abdichi ad un vaglio minuzioso del ‘contenuto interno’ che a quegli involucri ha dato sostanza è un vaglio che risulta monco, dal momento che si accompagna alla sostanziale indeterminatezza dell’utilità che si assume esser stata tratta dalla contribuente.
In conclusione, il ricorso principale della contribuente va rigettato, mentre il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate va accolto in relazione al secondo motivo, respinto il primo. La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria Regionale di II Grado anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale. Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata. Rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia, in diversa composizione, cui è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/02/2025.