Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31494 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31494 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1289/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. PESCARA n. 543/2016 depositata il 30/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ricorre avverso la sentenza della C.T.R. dell’Abruzzo, che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate proposto contro la sentenza della C.T.P. di Chieti di accoglimento del ricorso della società per l’annullamento dell’avviso di accertamento con il quale erano assoggettati a tassazione costi indeducibili per complessivi euro 489.018,00 e recuperata a tassazione una maggior imposta IRES per l’anno di imposta 2007, pari ad euro 161.376,00, oltre sanzioni amministrative per dichiarazione infedele.
La sentenza della C.T.R. dà preliminarmente conto che la RAGIONE_SOCIALE è società consolidante i bilanci delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Nel descrivere la vicenda chiarisce che la pretesa tributaria ha tratto origine dal P.V.C. redatto dalla G.d.F. -a seguito della verifica effettuata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE– secondo il quale le società riconducibili al nucleo familiare Palena avevano omesso di ripartire i costi amministrativi ed operativi. La soc. RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento deducendo che la RAGIONE_SOCIALE prestava attività unicamente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e non alle altre società del gruppo, costituito anche da RAGIONE_SOCIALE e dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE, sicché non potevano configurarsi contabilizzazioni di costi indebiti, posto che l’unico committente della RAGIONE_SOCIALE era la soc. la RAGIONE_SOCIALE, mentre il Consorzio Palena era costituito da un consorzio di imprese per il trasporto merci, fungendo da centro per l’acquisto del carburante e per lo smaltimento delle commesse. La sentenza di primo grado aveva
accolto il ricorso della soc. contribuente osservando fra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE erano intercorsi un contratto avente ad oggetto prestazioni di gestione amministrativa e di coordinamento commerciale fornite dalla prima alla seconda, nel quale era previsto che il corrispettivo fosse determinato in forza del volume di affari ed un contratto di servizio avente ad oggetto prestazioni di deposito merci, con corrispettivo mensile pari ad euro 25.000,00. Il primo giudice aveva, fra l’altro, ritenuto ininfluente la mancata registrazione del contratto relativo alla gestione amministrativa, posto che la determinabilità del corrispettivo era garantita dal riferimento al volume di affari. Avverso la sentenza di prime cure aveva proposto appello l’Agenzia delle Entrate osservando l’illegittimità dell’imputazione generalizzata alla RAGIONE_SOCIALE di tutti i costi per i servizi erogati dalla RAGIONE_SOCIALE avuto riguardo al fatto che quest’ultima svolgeva attività amministrativa per tutte le società del gruppo, ivi compresa la soc. RAGIONE_SOCIALE ed il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, privi di struttura organizzativa. La circostanza era contestata dalla parte appellata Holding RAGIONE_SOCIALE, secondo la quale la RAGIONE_SOCIALE non prestava alcuna attività in favore né della RAGIONE_SOCIALE, né del RAGIONE_SOCIALE, ma solo ed esclusivamente in favore della RAGIONE_SOCIALE. La RAGIONE_SOCIALE, d’altro canto, operava esclusivamente per la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE., mentre il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, fungeva da centro di acquisto di beni su esclusiva committenza della RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, entrambi, sia il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, che la RAGIONE_SOCIALE erano privi di struttura operativa e di personale. La sentenza della C.T.R., riformando la sentenza di primo grado, afferma l’inverosimiglianza dell’esclusività dei rapporti fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e
C.. La decisione sostiene che, se deve considerarsi legittima la scelta imprenditoriale di affidare ad una sola società del gruppo l’erogazione dei servizi amministrativi necessari alle altre, non può, invece, ritenersi tale quella di riversare tutti i relativi costi su una di esse, in quanto questo si traduce in una ingiustificata alterazione del loro risultato reddituale, idonea a modificare arbitrariamente il principio dei costi-ricavi, in materia fiscale. In altri termini, secondo la C.T.R., non può configurarsi un ricavo gestionale che non sconti il relativo costo deducibile, ciò essendo incompatibile con la stessa nozione di impresa come esercizio organizzato di risorse finalizzato all’ottenimento del profitto. Inoltre, la valutazione complessiva del fatturato del gruppo RAGIONE_SOCIALE, dimostra che la RAGIONE_SOCIALE concorre per il 67,18%, talché la concentrazione dell’intero costo del servizio della RAGIONE_SOCIALE su di essa comporta un abbattimento ingiustificato dei ricavi, tanto è vero che il consolidato fiscale rivela che la RAGIONE_SOCIALE registra una perdita. La C.T.R. osserva, infine, che l’assenza di strutture operative e di personale amministrativo della RAGIONE_SOCIALE Palena e del RAGIONE_SOCIALE non dimostra affatto che le due società non fossero destinatarie di servizi operativi e che non ne avessero bisogno perché operavano solo in favore della RAGIONE_SOCIALE, ma, al contrario, si limita ad appalesare la volontà di concentrare nella RAGIONE_SOCIALE la gestione amministrativa e la fornitura dei servizi amministrativo-contabili alle altre società del gruppo. Infine, con riguardo all’onere della prova la C.T.R. rileva che la Holding RAGIONE_SOCIALE non ha fornito alcuna dimostrazione circa l’esclusività dei servizi operativi della RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE né fornito prova che i costi delle società escluse dall’erogazione di servizi da parte di
RAGIONE_SOCIALE fossero stati oggetto di separata contabilizzazione.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La soc. RAGIONE_SOCIALE formula due motivi.
Con il primo motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. 600/1973 e 109 TUIR e degli artt. 2697 e 2727 cod. proc. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5) cod. proc. civ., l’omessa motivazione in ordine alla deduzioni formulate dal contribuente. Ricorda che l’Ufficio ha recuperato a tassazione parte dei costi dedotti dalla RAGIONE_SOCIALE, come addebitati dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base dell’assunto che essi dovessero, invece, essere ripartiti tra: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in proporzione del fatturato di ciascuna delle tre società, posto che né la RAGIONE_SOCIALE né il RAGIONE_SOCIALE possiedono strutture operative, né impiegano dipendenti amministrativi, sicché dovrebbe ritenersi che entrambe si siano avvalse dei servizi fornite da RAGIONE_SOCIALE Osserva che, invece, l’esclusività del rapporto di fornitura fra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE emerge dal riepilogo dei rapporti in essere fra le società del gruppo, come effettuato dalla sentenza di primo grado. Invero, la RAGIONE_SOCIALE è la società che svolge effettiva attività di autotrasporto per conto terzi ed è la sola che acquisisce i lavori sul mercato. Essa si avvale di subvettori (c.d. padroncini), cui affida parte dei trasporti commissionatile. Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, che è stato costituito con alcuni dei subvettori, ha come scopo quella di fungere da centro di acquisto di beni in favore
dei consorziati (in particolare carburante) e di ripartire fra di loro le commesse. Committente del consorzio è unicamente la RAGIONE_SOCIALE, mentre le fatture passive sono emesse unicamente dai subvettori. La fatturazione del Consorzio era gestita da struttura terza ed esterna (in particolare lo Studio COGNOME ed associati) ciò essendo stato dimostrato nel corso del giudizio di primo grado e ritenuto dalla sentenza della C.T.P. (richiama allegato 1 delle memorie illustrative di primo grado). In particolare, ciascun subvettore emetteva, alla fine di ogni mese, una fattura relativa agli ordinativi di trasporto al Consorzio, il quale emetteva la fattura nei confronti della RAGIONE_SOCIALE. Quest’ultima, invece, sulla base degli accordi raggiunti, fatturava i trasporti ai clienti finali, ricevendo dal Consorzio la fattura per i trasporti effettuati dai consorziati e dalla RAGIONE_SOCIALE la fattura per i servizi di natura amministrativa. Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, peraltro, non necessitava di personale amministrativo per la gestione operativa delle pompe di gasolio, avuto riguardo al fatto che i consorziati effettuavano il rifornimento di carburante in piena autonomia. Sostiene che la sentenza della C.T.R. erra sia in relazione alla ripartizione dell’onere probatorio, che in relazione all’applicazione della disciplina sulle presunzioni semplici. Rileva che con l’avviso di accertamento l’Ufficio ha dedotto che la RAGIONE_SOCIALE erogasse i proprii servizi a tutte le società del gruppo, senza, tuttavia, mai offrirne la prova, mentre la società contribuente ha sempre negato la circostanza; gravava, dunque, sull’Ufficio la prova del fatto costitutivo della pretesa. Osserva che la sentenza della C.T.R. ha ritenuto di colmare detta carenza probatoria originaria facendo ricorso a presunzioni semplici, ma lo ha fatto in modo logicamente incoerente, deducendo dal fatto noto della mancanza di personale amministrativo della RAGIONE_SOCIALE e del
Consorzio, il fatto ignoto dell’erogazione dei servizi alle medesime società, nonostante fosse stato provato in giudizio che sia il Consorzio che la RAGIONE_SOCIALE si avvalevano di strutture esterne per la gestione amministrativa (studio COGNOME). La decisione, inoltre, ha fondato la presunzione su un unico equivoco elemento, costituito dall’assenza di personale amministrativo, dando luogo ad un’inferenza debole – che non ha tenuto conto delle prove offerte dalla contribuente relative alla gestione amministrativa da parte di strutture esterne- in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha recentemente ribadito la necessità che le presunzioni semplici siano sempre caratterizzate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.
3. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento, nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5) cod. proc. civ., l’omessa motivazione in ordine alle deduzioni introdotte dalla società contribuente. Assume che la C.T.R. ha mancato di considerare quanto sottolineato con il ricorso introduttivo, ovverosia l’errore contenuto nell’avviso di accertamento, laddove per l’anno di imposta 2007 è riportata a carico della Holding RAGIONE_SOCIALE una perdita di euro 4.434,00, in luogo della perdita di euro 11.354,00, derivante dalla sommatoria dei risultati fiscali delle società consolidate, di cui euro 109.920,00 riferibili proprio alla RAGIONE_SOCIALE con la conseguenza che tutti i successivi calcoli nella determinazione della maggior imposta contestata risultano viziati. Rileva che la ricorrente aveva espressamente richiesto dichiararsi l’illegittimità dell’avviso di accertamento per siffatta ragione, posto che l’Ufficio aveva accertato le suddette perdite, pur errando nel non averle compensate nel relativo calcolo delle imposte. Cionondimeno, la sentenza di seconda cura nulla
statuisce al riguardo, benché il grado di appello si configuri come un ‘nuovo giudizio’ ai sensi degli artt. 36 e 53 d. lgs. 546/1992. Si duole, infine, della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi su tutte le emergenze processuali, avuto riguardo alla produzione, da parte della società contribuente, del quadro CN (doc. 10 Fascicolo di cassazione) ove alla riga CN2 si riscontra la perdita di euro 114.354,00, su cui la sentenza impugnata nulla osserva.
Il primo motivo è infondato e deve essere rigettato.
4.1 Il primo profilo di censura da considerare è quello relativo alla distribuzione dell’onere probatorio ex art. 2697 cod. civ.. La ricorrente sostiene, infatti, che la C.T.R. non avrebbe correttamente applicato la regola secondo la quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Invero, nella prospettazione del contribuente, la sentenza avrebbe ritenuto che, a fronte della deduzione da parte dell’Ufficio di un fatto, ovverosia che la Palena RAGIONE_SOCIALE erogasse servizi a tutte le società del gruppo, toccasse alla ricorrente assolvere l’onere di provare l’esclusività dell’attività della RAGIONE_SOCIALE solo in favore della RAGIONE_SOCIALE, benché la società ricorrente avesse sempre negato la circostanza.
4.2 Ora, va osservato che, diversamente da quanto sostenuto con la doglianza, la C.T.R. non ha affatto affermato che l’onere probatorio circa la sussistenza dei presupposti per la ripresa fiscale non gravasse sulla dell’Agenzia delle Entrate. Al contrario, si è limitata a ritenere provate le circostanze poste a fondamento della pretesa, traendo dall’assenza di personale amministrativo del Consorzio RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE (fatto pacifico, in quanto incontestato) la prova dell’erogazione dei servizi offerti dalla RAGIONE_SOCIALE (fatto ignoto) a quelle società del gruppo, attraverso una presunzione
semplice. E lo ha fatto, fondando il ragionamento logico sulla considerazione, in base ad una massima di esperienza, che nessuna impresa può produrre ricavi -e quindi profitto- senza affrontare dei costi.
Non può, dunque, dirsi che la decisione sia affetta dal vizio contestato di violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., questo configurandosi solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate dalla disposizione richiamata , e non anche quando -a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie ritenuta incongrua dal ricorrente- il giudice abbia asseritamente errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere. In un simile caso, infatti, ci si può unicamente dolere dell’erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nei limiti da esso consentiti. Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti, ‘La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.). (Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020; nello stesso senso in precedenza: Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013; Cass., sez. 3, 5/9/2006, n. 19054).
4.3 Il secondo profilo che occorre affrontare è quello che inerisce all’onere della prova circa la sussistenza della pretesa
tributaria ed al suo assolvimento tramite il ricorso a presunzioni semplici fondate su un solo elemento. Richiamando un risalente orientamento, secondo il quale il ricorso alla prova presuntiva esige, indefettibilmente, che a fondamento di essa il giudice ponga una pluralità di elementi, caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza (Sez. 2, Sentenza n. 26331 del 31/10/2008), la società ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe potuto fondare il proprio convincimento su una presunzione unicamente tratta dalla circostanza pacifica (fatto noto) che il RAGIONE_SOCIALE fossero prive di struttura amministrativa, per desumerne che la RAGIONE_SOCIALE fornisse loro il servizio di gestione amministrativa (fatto ignoto), costituendo questa una presunzione priva dei requisiti di cui dall’art. 2729 cod. civ., difettando da un lato, la gravità e dall’altro la concordanza.
4.4 Ora, deve ricordarsi, innanzitutto, che la più recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito come ‘In tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, primo comma, cod. civ., l’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e l’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria’ (Sez. 5, Sentenza n. 656 del 15/01/2014; Sez. 1, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 11162 del 28/04/2021).
4.5 Ciò premesso, nondimeno, va esaminata l’ulteriore questione posta dal contribuente, relativa alla mancata
considerazione della prova contraria offerta dalla società ricorrente in ordine all’affidamento della gestione amministrativa del RAGIONE_SOCIALE e della soc. RAGIONE_SOCIALE ad uno studio esterno, a dimostrazione del quale è richiamato l’allegato alle memorie di primo grado (doc. 6 del fascicoletto di Cassazione), costituito dal Registro IVA acquisti del 2007, ove sarebbero annotate le fatture emesse dallo studio COGNOME ed associati.
4.6 Sul punto, va rilevato che la sentenza introduce espressamente delle osservazioni circa la prova contraria offerta dal contribuente, laddove afferma che: ‘ In ordine poi all’onere probatorio della prova relativa alla fondatezza della ripresa fiscale deve considerarsi che nel caso in cui una società si impegna ad eseguire una serie di servizi nei confronti delle altre società del gruppo, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a chiedere conto delle modalità di ripartizione delle spese e il contribuente è onerato di fornire la relativa documentazione giustificativa, che ne provi la certezza, l’inerenza e la deducibilità del costo. Nel caso di specie la società contribuente non ha fornito alcuna dimostrazione circa l’esclusività dei servizi operativi erogati da RAGIONE_SOCIALE, né peraltro ha reso edotto l’Ufficio che i costi subite dalle società escluse dalla erogazione dei servizi di che trattasi erano stati oggetto di separata contabilizzazione’.
4.7 Non manca, dunque, la valutazione -seppure sinteticadel compendio offerto dalla società contribuente, ma essa è certamente negativa.
4.8 Ora, ‘In tema di scrutinio di legittimità del ragionamento probatorio del giudice di merito, deve distinguersi la fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che consente l’impugnazione della sentenza nell’ipotesi di omissione di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti) da quella di
cui all’art. 395, n. 4), c.p.c. (che ha riguardo a fatti costituenti un punto controverso su cui il giudice non si è espressamente pronunciato) e, ancora, da quella di cui all’art. 115 c.p.c., che ha ad oggetto le prove proposte dalle parti, oggetto di discussione (diversamente che nell’ipotesi di errore revocatorio) su cui il giudice si sia espressamente pronunciato’ (Sez. 3 – , Sentenza n. 37382 del 21/12/2022).
4.9 Nel caso in esame, come si è sottolineato, il giudice di merito si è pronunciato, non assegnando, tuttavia, alla prova introdotta dalla società ricorrente (riguardante il conferimento dell’incarico allo studio esterno Corti Caporale), il significato dalla medesima preteso. E’ sufficiente, a tal proposito, da un lato, ribadire il principio generale, secondo cui la valutazione delle prove raccolte costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio ( ex multis Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021), dall’altro, rammentare che la pretermissione di una prova costituisce vizio revocatorio, e come tale deve essere fatto valere.
Il secondo motivo deve essere dichiarato inammissibile. Sebbene la sentenza non si pronunci sulla sussistenza dell’errore materiale denunciato con il ricorso introduttivo, neppure per dire che il medesimo non sussiste, cionondimeno la parte ricorrente non allega -con il ricorso introduttivo di questo giudiziodi avere riproposto con la comparsa di costituzione in appello le eccezioni non esaminate dal primo giudice, in ossequio alla previsione di cui all’art. 56 d.
lgs. 546/1992. Va infatti confermato l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, secondo il quale ‘Nel processo tributario, l’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perché ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia rappresentata dagli artt. 56 del detto d.lgs. e 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno’ (Sez. 5 – , Sentenza n. 14534 del 06/06/2018; Sez. 5, Sentenza n. 7702 del 27/03/2013; Sez. 5, Sentenza n. 1545 del 24/01/2007).
Il ricorso deve, dunque, essere complessivamente rigettato, con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 5.600,00, più spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 più spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024