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Costi infragruppo: l’onere della prova del Fisco

Una holding ha contestato un avviso di accertamento relativo all’allocazione di costi infragruppo per servizi amministrativi. L’Agenzia delle Entrate, presumendo che le società del gruppo prive di personale avessero beneficiato di tali servizi, ha ripartito i costi. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che una presunzione solida, anche basata su un solo elemento, è sufficiente a sostenere la pretesa fiscale, spostando sul contribuente l’onere di fornire una prova contraria convincente.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi infragruppo: l’onere della prova del Fisco secondo la Cassazione

La corretta gestione e allocazione dei costi infragruppo rappresenta un tema cruciale per le aziende strutturate in più entità legali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 31494/2024, è intervenuta proprio su questo argomento, fornendo chiarimenti fondamentali in merito all’onere della prova e all’utilizzo delle presunzioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria. La decisione sottolinea l’importanza per le imprese di documentare in modo rigoroso i rapporti economici interni per evitare contestazioni fiscali.

I Fatti di Causa

Il caso analizzato riguardava una holding che aveva ricevuto un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’oggetto della contestazione era la deduzione di costi per servizi amministrativi che una società del gruppo (‘società di servizi’) aveva interamente addebitato a un’altra consociata operativa (‘società operativa’).

Secondo l’Agenzia, tali servizi avrebbero dovuto beneficiare anche altre due entità del gruppo, un’ulteriore società di autotrasporti e un consorzio, le quali erano prive di una propria struttura amministrativa. Di conseguenza, il Fisco riteneva che i costi avrebbero dovuto essere ripartiti proporzionalmente tra tutte le società beneficiarie e non concentrati su una sola. La società contribuente, di contro, sosteneva che i servizi erano stati resi in via esclusiva alla società operativa e che le altre entità si avvalevano di consulenti esterni per le proprie necessità amministrative, fornendo prove a supporto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso della società, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate e della sentenza della Commissione Tributaria Regionale. La decisione si fonda su due pilastri principali:
1. La corretta applicazione dei principi sull’onere della prova e sulle presunzioni semplici.
2. L’inammissibilità del secondo motivo di ricorso per una questione procedurale legata alla mancata riproposizione di un’eccezione in appello.

Le motivazioni: le presunzioni e l’onere probatorio sui costi infragruppo

Il punto centrale della sentenza riguarda la distribuzione dell’onere della prova. La Cassazione chiarisce che non vi è stata un’inversione dell’onere probatorio a danno del contribuente. Piuttosto, il giudice di merito ha correttamente ritenuto che l’Amministrazione Finanziaria avesse assolto al proprio onere probatorio attraverso una presunzione semplice.

Il fatto noto, e non contestato, era l’assenza di personale e di una struttura amministrativa in due società del gruppo. Da questo, il giudice ha logicamente presunto il fatto ignoto, ovvero che tali società si fossero avvalse dei servizi amministrativi erogati dall’apposita società del gruppo. Secondo la Corte, questa inferenza si basa su una massima di esperienza: nessuna impresa può generare ricavi senza sostenere i relativi costi amministrativi.

La Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato: la prova presuntiva non richiede necessariamente una pluralità di elementi. Anche un solo elemento può essere sufficiente, a condizione che sia ‘preciso e grave’. Nel caso di specie, l’assenza di una struttura interna è stata ritenuta un indizio sufficientemente forte da fondare la pretesa fiscale.

A fronte di tale presunzione, l’onere di fornire la prova contraria si è spostato sul contribuente. La società avrebbe dovuto dimostrare in modo inequivocabile non solo che i servizi erano esclusivi, ma anche che i costi amministrativi delle altre società erano stati contabilizzati separatamente. La prova offerta (l’esistenza di un incarico a uno studio esterno) è stata valutata dal giudice di merito come non sufficiente a superare la presunzione dell’Agenzia, e tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità.

Le conclusioni

L’ordinanza n. 31494/2024 rafforza un importante monito per i gruppi societari. La gestione dei costi infragruppo deve essere supportata da una documentazione chiara, precisa e trasparente, come contratti di servizio dettagliati e una solida documentazione di supporto (ad esempio, la documentazione sui prezzi di trasferimento). In assenza di prove documentali forti, l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente basare i propri accertamenti su presunzioni, come l’assenza di personale, spostando sul contribuente il difficile compito di dimostrare il contrario. Inoltre, la sentenza ricorda un principio processuale fondamentale: nel processo tributario, le eccezioni non accolte in primo grado devono essere specificamente riproposte in appello, pena la loro definitiva rinuncia.

Può l’Agenzia delle Entrate basare un accertamento sui costi infragruppo su una presunzione semplice?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa su presunzioni semplici, anche basate su un unico elemento, purché sia preciso e grave, come l’assenza di personale amministrativo in una società del gruppo.

A chi spetta l’onere della prova in caso di contestazione sui costi infragruppo?
Inizialmente, spetta all’Agenzia delle Entrate provare i fatti su cui basa la sua pretesa. Tuttavia, una volta che l’Agenzia ha fornito elementi presuntivi (come l’assenza di staff), l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando ad esempio l’esclusività del servizio a favore di una sola società, si sposta sul contribuente.

Cosa succede se un’eccezione non viene specificamente riproposta in appello nel processo tributario?
Secondo la sentenza, in base all’art. 56 del d.lgs. 546/1992, le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado e non specificamente riproposte nel successivo grado di giudizio si intendono rinunciate, e il motivo di ricorso basato su di esse viene dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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