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Costi infragruppo: la prova dell’utilità è decisiva

Una società si è vista negare la deducibilità dei costi per servizi ricevuti da altre aziende dello stesso gruppo. La Corte di Cassazione, ribaltando le decisioni dei giudici di merito, ha stabilito che per la deducibilità dei costi infragruppo non basta provare che il servizio sia stato reso, ma è indispensabile dimostrare l’effettiva utilità che la società beneficiaria ne ha tratto. La sentenza chiarisce che l’onere della prova spetta interamente al contribuente e che la mancata valutazione dell’utilità costituisce un errore di diritto.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Infragruppo: Quando la Prova dell’Utilità Diventa Cruciale per la Deducibilità

La gestione dei costi infragruppo rappresenta uno degli aspetti più delicati e attentamente monitorati dal Fisco. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per poter dedurre i costi derivanti da servizi forniti da una società consociata, non è sufficiente dimostrare l’esistenza del servizio, ma è essenziale provarne l’effettiva utilità per l’impresa che lo riceve. Questo principio sposta l’asse della prova dal semplice ‘aver ricevuto’ al ‘cosa si è concretamente ottenuto’.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata. L’amministrazione finanziaria contestava la deducibilità di costi per oltre 460.000 euro, sostenuti dalla società per servizi ricevuti da altre due aziende appartenenti allo stesso gruppo.

La società contribuente aveva vinto nei primi due gradi di giudizio. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva respinto l’appello dell’Agenzia, ritenendo che la società avesse fornito prove sufficienti, quali fatture, un contratto di servizio e dichiarazioni testimoniali di alcuni lavoratori che attestavano l’effettiva erogazione delle prestazioni. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando diversi vizi della sentenza di secondo grado.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR e rinviando la causa a un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, che censurava la violazione del principio di inerenza dei costi.

Le motivazioni: l’inerenza dei costi infragruppo si misura sull’utilità

La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice di merito ha commesso un error iuris, ovvero un errore di diritto. La CTR si è infatti limitata a verificare che i servizi fossero stati effettivamente prestati, basandosi su documenti formali e testimonianze. Tuttavia, ha completamente omesso di indagare l’aspetto più cruciale richiesto dalla giurisprudenza consolidata in materia di costi infragruppo: l’utilità concreta e obiettivamente determinabile che la società beneficiaria ha tratto da tali servizi.

Secondo gli Ermellini, il principio di inerenza, unico sia per le imposte sui redditi che per l’IVA, non si esaurisce nella semplice esistenza di un costo documentato. Esso richiede che il costo sia funzionale all’attività d’impresa. Nel contesto delle operazioni tra società dello stesso gruppo, questo concetto si declina in modo ancora più stringente. L’onere della prova grava interamente sul contribuente, il quale deve dimostrare che il servizio remunerato non è stato un mero trasferimento di costi, ma ha generato un vantaggio reale e tangibile per la propria attività.

La sentenza impugnata è stata cassata non solo per questo errore di diritto, ma anche per un vizio procedurale: la CTR aveva omesso di pronunciarsi su altri specifici motivi di appello sollevati dall’Agenzia, relativi a deduzioni per ammortamenti e indetraibilità dell’IVA, violando così il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Le conclusioni

Questa pronuncia rafforza un orientamento ormai consolidato e invia un messaggio chiaro alle imprese che operano all’interno di gruppi societari. La documentazione formale (contratti, fatture) non è sufficiente a garantire la deducibilità dei costi infragruppo. È imperativo che le aziende predispongano e conservino documentazione idonea a dimostrare, in modo oggettivo e dettagliato, l’utilità effettiva dei servizi ricevuti e il beneficio concreto che ne è derivato per l’attività d’impresa. In assenza di tale prova, il rischio di vedersi contestare e recuperare a tassazione tali costi è estremamente elevato.

Per dedurre i costi infragruppo è sufficiente dimostrare che il servizio è stato effettivamente prestato?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che, oltre alla prova dell’avvenuta prestazione, il contribuente deve dimostrare l’effettiva utilità che ha tratto da tale servizio e che tale utilità sia obiettivamente determinabile e documentata.

Su chi ricade l’onere della prova per i costi infragruppo?
L’onere della prova grava interamente sul contribuente. È la società che afferma di aver ricevuto il servizio a dover dimostrare in modo rigoroso l’esistenza, l’inerenza e, soprattutto, l’utilità del costo sostenuto.

Cosa si intende per ‘error iuris’ in questo contesto?
L’ ‘error iuris’ (errore di diritto) commesso dalla corte di merito consiste nell’aver applicato in modo errato il principio di inerenza. Il giudice ha ritenuto sufficiente accertare l’esistenza del servizio senza valutare il requisito cruciale dell’utilità per la società beneficiaria, omettendo un’indagine fondamentale richiesta dalla legge per i costi infragruppo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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