Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26307 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26307 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3402/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 4514/16/21 depositata il 13/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 4514/16/21 del 13/10/2021, la Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (AE)
avverso la sentenza n. 5848/08/19 della Commissione tributaria provinciale di Roma (di seguito CTP), che aveva accolto parzialmente il ricorso di RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE nei confronti di un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2013.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, con l’atto impositivo venivano recuperati a tassazione costi non documentati per un importo di euro 462.236,73.
1.2. La CTR respingeva l’appello di AE evidenziando che la CTP aveva correttamente escluso la ripresa relativa ai costi concernenti i servizi infragruppo, avendo la società contribuente depositato le fatture, il contratto di erogazione di servizi stipulato con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e le dichiarazioni testimoniali dei lavoratori con cui si attestava l’effettiva erogazione dei servizi fatturati.
AE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
NOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso AE contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR reso motivazione apparente, ritenendo l’effettività dei servizi resi da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE senza specificare le ragioni del proprio convincimento, soprattutto a fronte delle deduzioni dell’Amministrazione finanziaria rese sia in giudizio che nello stesso contesto dell’avviso di accertamento.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni
della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero -e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali -l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; Cass. S.U. n. 16599 del 05/08/2016; Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014).
1.3. Nel caso di specie, la CTR ha indicato le prove in relazione alle quali ha formato il proprio convincimento ed ha, dunque, reso motivazione non apparente in quanto idonea a individuare la ratio decidendi .
1.4. Del resto, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 13/01/2020; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 24679 del 04/11/2013; Cass. n. 27197 del 16/12/2011; Cass. n. 2357 del 07/02/2004).
1.5. In realtà, ciò che parte ricorrente tende ad accreditare è l’esistenza di una motivazione insufficiente del giudice di appello, come tale non più censurabile in sede di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
(Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR), nonché degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto la certezza ed inerenza dei costi sostenuti dalla società contribuente, invertendo, altresì, le regole concernenti l’onere della prova .
2.1. Il motivo è fondato nei termini di seguito precisati.
2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di inerenza, pur con le dovute precisazioni derivanti dall’applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia della UE per l’imposta armonizzata, è unico per le imposte dei redditi e per l’IVA (Cass. n. 18904 del 17/07/2018), si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 109, comma 5, del medesimo d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) (Cass. n. 450 del 11/01/2018) ed è espressione della necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera ad essa estranea (Cass. 30030 del 21/11/2018; Cass. n. 27786 del 31/10/2018; Cass. n. 13882 del 31/05/2018; Cass. n. 450 del 2018, cit. ; Cass. n. 18904 del 2018, cit. ).
2.2.1. Lo stesso si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico (o di vantaggio economico) ovvero quantitativo (Cass. n. 27786 del 2018, cit. ; Cass. n. 22938 del 26/09/2018; Cass. n. 18904 del 2018, cit. ), sicché « il costo attiene o non attiene all’attività d’impresa a prescindere dalla sua entità » (così espressamente, in motivazione, Cass. n. 18904 del 2018, cit. ).
2.2.2. Peraltro, secondo il medesimo orientamento (si veda sempre la motivazione di Cass. n. 18904 del 2018, cit. ), il giudizio quantitativo o di congruità non è del tutto irrilevante, collocandosi, invece, su un diverso piano logico e strutturale rispetto al giudizio di inerenza (cfr. Cass. 27786 del 2018, cit. ).
2.2.3. Quest’ultimo implica che la prova debba investire i fatti costitutivi del costo, sicché, per quanto riguarda il contribuente, egli è tenuto a provare (e documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto d’impresa perché in correlazione con l’attività d’impresa; prova che è tanto più complessa quanto complessa, atipica e originale è l’operazione posta in essere.
2.2.4. A sua volta, l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati ovvero riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare la validità e/o la rilevanza di quelli allegati a fondamento dell’imputazione del costo alla determinazione del reddito, può contestare la valutazione di inerenza.
2.2.5. Ciò si traduce: a) in tema di imposte dirette, nella possibilità che l’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo, contesti anche l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza pur non identificandosi in essa (cfr. Cass. n. 13588 del 30/05/2018); b) in tema di IVA, nella possibilità per l’Amministrazione finanziaria di dimostrare la macroscopica antieconomicità del costo, rilevando questa quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa.
2.3. Peraltro, il concetto di inerenza si pone in termini non del tutto similari in relazione ai contratti infragruppo. Invero, secondo un’impostazione ampiamente condivisa da questa Corte, in materia di costi cd. infragruppo (da ultimo Cass. n. 2599 del 27/01/2023), affinché il corrispettivo, riconosciuto alla società incaricata del servizio a beneficio di altra consociata, sia deducibile da quest’ultima, occorre che la beneficiaria tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che detta utilità sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (Cass. n. 32422 del
14/12/2018; Cass. n. 23164 del 04/10/2017; Cass. n. 23027 del 23/11/2015; Cass. n. 6820 del 04/03/2020), anche se a quei costi non corrispondano direttamente ricavi in senso stretto (Cass. n. 31405 del 05/12/2018; Cass. n. 10062 del 01/08/2000).
2.3.1. Ciò significa che l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati grava sul contribuente che affermi di aver ricevuto il servizio, in base alle regole generali in tema di costi deducibili (Cass. n. 24880 del 18/08/2022; Cass. n. 8293 del 04/04/2013; e con riguardo alle operazioni infragruppo Cass. n. 12268 del 10/05/2021; Cass. n. 439 dell’11/01/2018).
2.4. Orbene, nel caso di specie non è tanto in discussione la certezza dei costi sostenuti da Amapa, non più discutibile in quanto accertata in fatto dalla CTR, quanto l’inerenza degli stessi; la quale, trattandosi di costi infragruppo, va declinata in termini di utilità per la beneficiaria nel senso indicato dalla giurisprudenza della S.C.
2.5. Un simile accertamento è stato del tutto omesso dalla sentenza impugnata e in ciò consiste l’ error iuris in ragione del quale la sentenza va cassata.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR utilizzato a fini probatori dichiarazioni rese dai dipendenti di Alton e non rese in forma di atto notorio ovvero recepite in un verbale stilato da pubblici funzionari in violazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario; inoltre, dette dichiarazioni sarebbero prive di data e sostanzialmente irrilevanti.
3.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., avendo la CTR omesso di pronunciarsi su un motivo di gravame proposto da AE e relativo ai
rilievi a) ed e) di cui all’avviso di accertamento, riguardanti l’indebita deduzione di quote di ammortamento concernenti l’avviamento di una cessione di ramo d’azienda e altri oneri pluriennali, oltre all’indetraibilità di IVA per euro 87.000,00 .
4.1. Il motivo è fondato.
4.2. In effetti, la sentenza della CTP, per come trascritta in ricorso, non ha affatto pronunciato in ordine alle superiori riprese e, sebbene la circostanza sia stata denunciata dall’appellante in atto di appello, anche la CTR non ha preso posizione al riguardo, limitandosi a confermare integralmente la sentenza impugnata.
In conclusione, vanno accolti il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbito il terzo motivo e rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbito il terzo e rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, il 13/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME