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Costi infragruppo: come provare la deducibilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6101 del 2024, ha confermato la deducibilità dei costi infragruppo e delle spese sostenute con imprese in paesi ‘black list’. La Corte ha stabilito che la società contribuente ha fornito prove adeguate, tra cui contratti, report di revisione e fatture, per dimostrare l’utilità effettiva, la certezza e l’inerenza dei costi. Questa decisione sottolinea l’importanza di una documentazione completa per superare le contestazioni dell’Amministrazione Finanziaria su tali operazioni.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Infragruppo e Black List: la Cassazione fissa i paletti per la deducibilità

La gestione dei costi infragruppo e delle operazioni con partner commerciali in Paesi a fiscalità privilegiata rappresenta una delle aree più delicate del diritto tributario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6101 del 6 marzo 2024, offre chiarimenti fondamentali sull’onere della prova a carico del contribuente, stabilendo che una documentazione solida e coerente è la chiave per legittimare la deduzione di tali spese. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: La Contestazione Fiscale sui Costi Infragruppo

L’Amministrazione Finanziaria aveva notificato a un’azienda manifatturiera italiana un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008. Le contestazioni principali riguardavano due tipologie di costi:

1. Costi di regia (management fees): Corrispettivi addebitati dalla società capogruppo estera per servizi di gestione. Secondo il Fisco, questi costi erano imputati in modo generico, senza prove sufficienti a dimostrarne l’effettiva utilità per la società italiana e la loro inerenza all’attività d’impresa.
2. Costi da operazioni ‘black list’: Spese derivanti da transazioni con imprese situate in Paesi a fiscalità privilegiata, ritenute indeducibili ai sensi dell’art. 110 del T.U.I.R.

La società contribuente si era opposta all’accertamento, dando il via a un contenzioso tributario che è giunto fino all’ultimo grado di giudizio.

La Decisione dei Giudici di Merito

Dopo una decisione parzialmente favorevole in primo grado, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva accolto le ragioni della società, annullando gran parte dell’accertamento. In particolare, la CTR aveva ritenuto che l’azienda avesse adeguatamente provato la legittimità dei costi infragruppo attraverso la produzione di una serie di documenti, tra cui il contratto di servizi, le fatture, gli estratti conto e, soprattutto, il report di una società di revisione che certificava la natura del servizio, i criteri di ripartizione e l’effettività dei costi.

Anche per le operazioni con imprese in Paesi ‘black list’, i giudici d’appello avevano riconosciuto che la società aveva dimostrato la sussistenza delle condizioni esimenti: l’effettiva attività commerciale delle controparti estere e l’esistenza di un reale interesse economico nelle operazioni.

Il Ricorso in Cassazione dell’Agenzia Fiscale e le Doglianze sui Costi Infragruppo

Insoddisfatta della decisione, l’Amministrazione Finanziaria ha presentato ricorso in Cassazione. I motivi principali del ricorso si concentravano sull’asserita violazione delle norme sull’onere della prova. Secondo la difesa erariale, la CTR aveva erroneamente attribuito valore probatorio decisivo alla documentazione formale (come il contratto e il report di revisione) senza valutare nel merito la reale utilità economica dei servizi per la controllata italiana e la loro congruità.

La Disciplina dei Costi con Paesi ‘Black List’

Un altro punto centrale del ricorso riguardava i costi sostenuti con imprese in paradisi fiscali. L’Agenzia sosteneva che la società non avesse fornito prove sufficienti a superare la presunzione di indeducibilità prevista dalla normativa. In particolare, contestava che documenti come un certificato camerale o l’entità del fatturato potessero, da soli, dimostrare l’effettivo svolgimento di un’attività commerciale o la convenienza economica dell’operazione per la società italiana.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria. Riguardo ai costi infragruppo, i giudici hanno ribadito il consolidato orientamento secondo cui, per essere deducibili, è necessario che la società controllata dimostri di aver tratto un’effettiva utilità dal servizio ricevuto. Tuttavia, hanno chiarito che questa prova non deve essere raggiunta con un unico documento, ma può derivare da un complesso di elementi probatori. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la CTR avesse correttamente valutato l’intero compendio documentale prodotto dalla società (contratto, fatture, report di revisione, schede contabili, ecc.), considerandolo sufficiente a dimostrare la natura del servizio, i criteri di ripartizione e l’effettività dei costi. La relazione della società di revisione, pur non avendo efficacia di atto pubblico, è stata considerata un ‘mezzo di prova rilevante’.

Per quanto concerne i costi ‘black list’, la Suprema Corte ha confermato la validità della valutazione operata dalla CTR. I giudici di merito avevano analiticamente esaminato ogni singola operazione, motivando in modo ampio e dettagliato le ragioni per cui ritenevano provate le condizioni esimenti, ovvero l’effettiva operatività delle controparti estere e il concreto interesse economico della società italiana a concludere quelle specifiche transazioni. La Cassazione ha ritenuto tale valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità, in quanto logica, coerente e non apparente.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

La sentenza n. 6101/2024 rafforza un principio cruciale per le imprese che operano in contesti internazionali e multinazionali: l’importanza di una documentazione precisa e completa. Per difendere la deducibilità dei costi infragruppo e delle operazioni con soggetti in Paesi a fiscalità privilegiata, non è sufficiente basarsi su accordi formali. È indispensabile costruire e conservare un solido ‘pacchetto probatorio’ che dimostri, in modo concreto e non generico, la realtà economica sottostante: l’utilità del servizio ricevuto, la sua inerenza all’attività, la congruità del corrispettivo e l’interesse economico effettivo. Questo approccio proattivo è l’unica via per affrontare con serenità eventuali controlli fiscali.

Quali prove sono necessarie per dedurre i costi infragruppo (management fees)?
Non è sufficiente il solo contratto di servizi. È necessario fornire un compendio probatorio completo che dimostri l’effettiva utilità del servizio per la società controllata, la sua inerenza all’attività d’impresa e la sua determinabilità. La Corte ha ritenuto adeguato un insieme di documenti che includeva il contratto, le fatture, gli estratti conto, i prospetti di suddivisione dei costi e la certificazione di una società di revisione.

La relazione di una società di revisione ha valore di prova legale?
No, la relazione non ha efficacia fidefaciente (cioè non fa piena prova fino a querela di falso) come un atto pubblico. Tuttavia, la Cassazione la definisce un ‘mezzo di prova rilevante’ che, insieme ad altri elementi, contribuisce a formare il convincimento del giudice sulla certezza e determinabilità dei costi.

A quali condizioni sono deducibili i costi per operazioni con imprese in Paesi ‘black list’?
Secondo la normativa applicabile al caso (art. 110, comma 11, T.U.I.R.), la deduzione è ammessa se l’impresa italiana fornisce la prova alternativa che: 1) l’impresa estera svolge prevalentemente un’effettiva attività commerciale, oppure 2) le operazioni rispondono a un effettivo interesse economico e hanno avuto concreta esecuzione. La Corte ha confermato che la prova di una di queste due condizioni è sufficiente per vincere la presunzione di indeducibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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