LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Costi inesistenti: Cassazione su onere della prova

Una società del settore commercio rottami si è vista contestare dall’Agenzia delle Entrate la deduzione di costi inesistenti per gli anni 2011 e 2012. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 9907/2024, ha rigettato il ricorso della società fallita, stabilendo principi chiave sull’onere della prova. In particolare, ha chiarito che il contribuente che intende ottenere una riduzione dei ricavi a fronte di costi non deducibili perché fittizi, deve fornire la prova rigorosa che anche i ricavi corrispondenti siano inesistenti. Non sussiste alcun automatismo e la sola contestazione degli elementi presuntivi dell’Amministrazione non è sufficiente.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi inesistenti e onere della prova: l’analisi della Cassazione

La gestione dei costi inesistenti rappresenta una delle aree più complesse e delicate del diritto tributario. La recente Ordinanza n. 9907 del 11 aprile 2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su un aspetto cruciale: l’onere della prova a carico del contribuente. La Suprema Corte ha esaminato il caso di una società operante nel commercio di rottami metallici, alla quale erano stati contestati avvisi di accertamento per Ires e Iva relativi a costi ritenuti fittizi. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso: Deducibilità di Costi da Operazioni Fittizie

Una società si vedeva notificare avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione costi ritenuti derivanti da operazioni oggettivamente inesistenti. La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della società. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva parzialmente l’appello, limitatamente alle sanzioni, ma confermava la rettifica del reddito. I giudici di secondo grado specificavano che l’accertamento si basava su prove dirette, corroborate da verifiche effettuate nei confronti della società emittente le fatture, e non su semplici presunzioni. Di fronte a queste prove, la società contribuente non era riuscita a dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni commerciali.

I Motivi del Ricorso e la Tesi sui Costi Inesistenti

Il fallimento della società proponeva ricorso in Cassazione affidandosi a cinque motivi. Tra le principali censure, vi era la presunta errata qualificazione del tipo di accertamento (ritenuto analitico anziché analitico-induttivo) e la violazione delle norme sull’onere della prova. La ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero omesso di considerare importanti elementi probatori a suo favore, come gli indici di redditività del settore, che avrebbero dimostrato la necessità di sostenere quei costi per realizzare i ricavi dichiarati.
Inoltre, la società invocava l’applicazione del cosiddetto ius superveniens (art. 8, comma 2, D.L. 16/2012), sostenendo che, a fronte dell’indeducibilità dei costi, si sarebbe dovuta operare una corrispondente riduzione dei ricavi, poiché anch’essi fittizi.

L’Analisi della Corte sui Costi Inesistenti e l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso, fornendo una disamina dettagliata dei principi applicabili in materia di costi inesistenti.

La Distinzione tra Accertamento Analitico e Analitico-Induttivo

I giudici hanno innanzitutto ritenuto inammissibile la censura sulla natura dell’accertamento. La contestazione mirava a una rivalutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. La Corte ha ribadito che, quando l’incompletezza della dichiarazione emerge da verbali di ispezione presso terzi, l’Amministrazione può procedere alla rettifica basandosi anche su presunzioni semplici, come quelle derivanti da una “contabilità in nero”.

L’Applicazione dello “Ius Superveniens”

Il punto centrale della decisione riguarda l’applicazione dell’art. 8, comma 2, del D.L. 16/2012. Questa norma prevede che i ricavi direttamente collegati a costi per operazioni inesistenti non concorrano alla formazione del reddito. La Corte ha chiarito che, sebbene questa norma sia applicabile anche retroattivamente a controversie in corso, la sua operatività non è automatica. È il contribuente che ha l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che chiede di sterilizzare.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha affermato un principio fondamentale: l’onere di provare la correlazione tra costi indeducibili e ricavi fittizi grava interamente sul contribuente. Nel caso di specie, la società ricorrente si era limitata a contestare gli elementi presuntivi acquisiti dall’Ufficio, senza però fornire alcuna prova concreta della fittizietà dei ricavi conseguiti. I giudici di merito avevano correttamente osservato che la società non aveva dimostrato che i ricavi da espungere fossero “corrispondenti” agli acquisti derivanti dalle operazioni inesistenti. Di conseguenza, in assenza di tale prova, la pretesa di ridurre i ricavi è stata respinta. La Corte ha concluso che non sussiste alcun vizio di omessa pronuncia, poiché i giudici di appello, accertando l’inesistenza oggettiva delle operazioni e la mancata prova della deducibilità dei costi, avevano implicitamente ritenuto non provata anche la natura fittizia dei ricavi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di costi inesistenti. Le imprese devono essere consapevoli che, di fronte a una contestazione di costi fittizi basata su prove concrete dell’Amministrazione Finanziaria, non è sufficiente una difesa generica. Per poter beneficiare della sterilizzazione dei ricavi correlati, è necessario fornire una prova puntuale e specifica della loro natura fittizia, dimostrando il legame diretto con i costi non ammessi in deduzione. La decisione sottolinea l’importanza di una contabilità trasparente e di una documentazione probatoria solida a supporto di ogni operazione commerciale.

Se un’azienda deduce costi per operazioni oggettivamente inesistenti, può chiedere una riduzione dei ricavi corrispondenti?
Sì, ma solo se l’azienda fornisce la prova che anche i ricavi dichiarati, e direttamente collegati a quei costi, sono fittizi. Secondo la Corte, non esiste un automatismo: l’onere di provare la fittizietà dei ricavi spetta al contribuente.

Qual è la differenza tra un accertamento analitico e uno analitico-induttivo in caso di costi inesistenti?
L’accertamento analitico si basa su prove dirette dell’inesistenza dell’operazione (es. verifiche su altri contribuenti), come ritenuto nel caso di specie. L’accertamento analitico-induttivo, invece, parte da scritture contabili formalmente corrette ma intrinsecamente inattendibili e utilizza presunzioni gravi, precise e concordanti per rettificare il reddito.

Cosa stabilisce il principio dello “ius superveniens” citato nella sentenza in materia di operazioni inesistenti?
Lo “ius superveniens”, introdotto dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012, stabilisce che ai fini delle imposte sui redditi, i componenti positivi (ricavi) direttamente collegati a costi per operazioni inesistenti non concorrono a formare il reddito, entro i limiti dei costi non ammessi in deduzione. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede che il contribuente dimostri la correlazione e la natura fittizia dei ricavi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati