Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9907 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9907 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
del 2012.
NOME COGNOME NOME COGNOME ROCCA COGNOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente
Consigliere
Consigliere – COGNOME.
Ud. 1/27/03/2024 C.C. PU R.G. 7401/2020 –
Consigliere
Consigliere
Cron. 17987/2019
R.G.N. 17987/2019
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 7401/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Curatore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso l’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO, coma da procura a margine del ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 3161/2019, depositata in data 18 luglio 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 703/17/17, depositata il 24 gennaio 2017, aveva rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso gli avvisi di accertamento emessi per gli anni 2011 e 2012, in relazione ad imposte Ires ed Iva, per costi fittizi perché derivanti da operazioni inesistenti, con conseguente rideterminazione del reddito.
La Commissione tributaria regionale, dopo avere preso atto che l’Ufficio aveva abbandonato il recupero dell’IVA, ha accolto parzialmente l’appello per quanto concerne le sanzioni in applicazione del principio del favor rei.
I giudici di secondo grado, in particolare, per quel che rileva in questa sede, hanno precisato che l’accertamento era avvenuto ai sensi dell’art. 39, comma primo, lettera c) e non d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e, dunque, la norma non faceva alcun riferimento all’accertamento per presunzioni; l’Ufficio, in particolare, aveva indicato le fatture disconosciute, in quanto oggettivamente inesistenti, specificando il numero di registrazione, la data di emissione e l’importo e, dunque, aveva utilizzato una prova diretta, corroborata dagli elementi accertati in sede di verifica nei confronti della società emittente, mentre la società contribuente non aveva dimostrato che le operazioni avessero avuto effettivamente luogo. Inoltre, non era la natura dell’operazione soggettivamente inesistente a determinare
l’indeducibilità del costo, quanto l’inaffidabilità dell’impianto contabile e della documentazione dell’operazione costituita dalla fattura, emessa da soggetto che non era parte del rapporto economico, pure verificatosi, con la conseguenza che la società contribuente doveva fornire la prova che l’operazione fosse stata effettuata con gli effettivi fornitori, in modo da conoscere con certezza il preciso ammontare del corrispettivo e la data della prestazione ai fini della individuazione dell’anno di compete nza; in ultimo, il ricorso alle percentuali di redditività si verificava nell’ipotesi di ricostruzione induttiva del reddito, ma, nel caso in esame, il disconoscimento dei costi era avvenuto in via analitica ed altrettanto analiticamente la parte, che insisteva per la tesi di operazioni soggettivamente inesistenti, doveva dare la prova di una differente modulazione dei costi con l’indicazione dei reali fornitori della merce (in maniera tale da consentire, a carico di essi, il recupero a tassazione dei ricavi non dichiarati), le modalità di pagamento (mai specificate, nonostante i prezzi fossero considerevoli), la produzione della documentazione bancaria e l’eventuale esibizione di una contabilità parallela e reale.
Il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, con atto affidato a cinque motivi.
L ‘RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma primo, lettera c), del d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto gli accertamenti tributari non erano stati effettuati con criterio analitico, come erroneamente ritenuto dalla Commissione tributaria regionale, bensì con criterio analitico-induttivo di cui al menzionato art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973.La
mera indicazione RAGIONE_SOCIALE fatture disconosciute, del numero di registrazione, della data di emissione e dell’importo non costituiva di per se stessa prova diretta della inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni commerciali ivi descritte. Di tale specifico principio la Commissione tributaria regionale risultava essere stata ben consapevole, laddove aveva fatto richiamo «agli elementi accertati in sede di verifica», che rappresentava che, nella specie, si era trattato di un accertamento analitico-induttivo, che per essere giustificato, richiedeva la sussistenza di tutti i requisiti della prova presuntiva ex art.39, comma primo, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973.
1.1 Il motivo è inammissibile, in quanto si tratta di doglianza diretta, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie di causa, che non costituiscono vizio di violazione di legge (Cass., 19 agosto 2020, n. 17313).
1.2 Ed invero, « l’art. 39, primo comma, lett. c), del d.P.R. n. 600 del 1973, consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta » (Cass., 12 luglio 2023, n. 19851).
1.3 Peraltro, anche in tema di accertamento analitico-induttivo e di ripartizione dell’onere probatorio, questa Corte ha statuito il principio secondo cui « In tema di accertamento analitico-induttivo, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle
scritture contabili, l’amministrazione finanziaria può completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici, aventi i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ., con la conseguenza che l’onere della prova si sposta sul contribuente e che l’eventuale errore qualificatorio del giudice di merito, sul tipo di accertamento, non rileva “ex se” come violazione di legge, ma refluisce in un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. » (Cass., 2 novembre 2021, n. 30985).
2. Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 39, comma primo, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la Commissione tributaria regionale aveva erroneamente omesso di prendere in considerazione gli elementi di prova addotti dalla società appellante al fin e di dimostrare l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni commerciali contestate dall’Ufficio come inesistenti. I giudici di secondo grado non avevano preso in considerazione che, con i motivi di appello, la società contribuente aveva offerto una serie di elementi a prova contraria, atti a dimostrare proprio la realtà degli acquisti, nel corso degli anni 2011 e 2012, dei materiali ferrosi di cui alle fatture in contestazione (« a) che il settore del commercio di rottami ferrosi ha un indice di redditività e di costo del venduto, incompatibili con il disconoscimento dei costi operato dall’Ufficio; b) che per poter realizzare i ricavati dichiarati (euro 38.715.159 per l’anno 2011 ed euro 17.995.509 per l’anno 2012), la Società deve avere necessariamente acquistato rottami per importi, quasi, corrispondenti, dato il bassissimo indice di redditività del settore, pari a 82,83% ; c) che la GdF, nei rigorosi controlli, non ha accertato né irregolarità nei pagamenti, né restituzione, neanche parziale, RAGIONE_SOCIALE somme versate; d) che l’attività d’impresa si è svolta, nel 2012, sotto il controllo costante dell’Autorità Pubblica (Gdf; Procura della Repubblica e Custode Giudiziario »).
2.1 Senza prescindere dal rilievo che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza RAGIONE_SOCIALE prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511), nel caso in esame, la censura si appalesa aspecifica, poiché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, che, lungi dal non considerare le argomentazioni difensive della società appellante, le ha, invece, esaminate specificamente, aff ermando, sulla premessa che l’accertamento era avvenuto ai sensi dell’art. 39, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 600 del 1973, da un lato, che l’Ufficio aveva utilizzato una prova diretta corroborata dagli elementi accertati in sede di verifica nei confronti della società emittente, al fine di dimostrare l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni e dall’altro, che la società contribuente, al contrario, non aveva dimostrato che le operazioni con la società RAGIONE_SOCIALE avessero avuto effettivamente luogo (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
2.2 La sentenza impugnata ha, dunque, motivato secondo il prudente apprezzamento RAGIONE_SOCIALE concrete circostanze acquisite al processo e nell’esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, che, come già detto, non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
Il terzo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in quanto i giudici di appello, esaminando la vicenda sotto il profilo RAGIONE_SOCIALE operazioni c.d. soggettivamente inesistenti, hanno omesso di tenere conto RAGIONE_SOCIALE
prove offerte dall’appellante circa la sussistenza dei requisiti di inerenza, competenza, certezza e determinatezza o determinabilità di cui all’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986. Fin dal primo grado di giudizio, la società ricorrente aveva prodotto, in allegato ai ricorsi introduttivi, per ciascuno degli anni in contestazione, il prospetto dei suddetti indici per i medesimi anni; inoltre, la Guardia di Finanza non aveva accertato né irregolarità nei pagamenti, né restituzione anche parziale RAGIONE_SOCIALE somme versate per gli acquisti. Il RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto i seguenti fatti non esaminati dai giudici di secondo grado che dimostravano l’inerenza, la competenza e la certezza e deter minatezza dei costi: la società aveva sempre svolto, quale unica ed esclusiva attività, quella del commercio di rottami ferrosi; tale attività risultava, per tabulas, dagli avvisi di accertamento e dai ricorsi avverso tali atti impositivi; le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE avevano ad oggetto soltanto materiali ferrosi, in particolare gli avvisi accertamento; la società aveva conseguito, dalla vendita di rottami, ricavi per un ammontare di euro 38.715.159 e di euro 17.995.509, rispettivamente per gli anni 2011 e 2012, valori, questi, regolarmente iscritti nei relativi bilanci di esercizio, fiscalmente dichiarati e come tali accertati dall’Ufficio; la stessa Società, per poter conseguire tali ricavi, aveva dovuto, alla stregua dell’indice del costo del venduto del settore, pari al 92,96% e all’83,88% rispettivamente per gli anni 2011 e 2012, acquistare materiali ferrosi rispettivamente, per un ammontare di euro 35.989.611,81 per il 2011 e di euro 15.094.633 per il 2012; tutti i rottami, venduti durante i periodi d’imposta 2011 e 2012, erano stati acquistati nel corso degli anni stessi, come dimostrato dai relativi bilanci di esercizio ed, infatti, le rimanenze finali dell’anno 2011 risultavano essere superiori di poco a quelle iniziali e le rimanenze finali dell’anno 2012 erano addirittura inferiori a quelle iniziali relative.
3.1 Anche il terzo motivo (contrariamente a quanto argomentato dal RAGIONE_SOCIALE ricorrente nella memoria) è inammissibile in relazione all’omesso esame di fatto decisivo, in costanza del principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter cod. proc. civ., in mancanza della indicazione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello al fine di dimostrare che esse sono tra loro diverse (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947, citata), nonché in quanto « la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma » (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 23 agosto 2023, n. 25124).
4. Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 8, comma 2, del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Commissione tributaria regionale negato di doversi procedere ad una riduzione dei ricavi in misura corrispondente ai correlati costi contestati come oggettivamente inesistenti, erroneamente ritenendo tale norma applicabile soltanto nel caso di operazioni commerciali inesistenti intercorsi tra società «RAGIONE_SOCIALE». La
norma richiamata doveva ritenersi applicabile tanto a coloro che ponevano in essere solo ed esclusivamente operazioni oggettivamente inesistenti (c.d. «RAGIONE_SOCIALE»), che ai soggetti i quali portano in deduzione sia costi reali che costi inesistenti, con la differenza che, rispetto alle pure e semplici «RAGIONE_SOCIALE», i ricavi non concorrevano in toto alla formazione del reddito, mentre in relazione agli altri soggetti, i ricavi subivano una riduzione corrispondente all’ammontare dei costi inesistenti.
Il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 212 ( recte : 112) e 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la Commissione tributaria regionale non si era pronunciata sulla domanda formulata in primo grado avente ad oggetto l’illegittimità del mancato riconoscimento di una quota forfettaria di costi in violazione del principio di capacità contributiva fissato nell’a rt. 53 della Costituzione, censurata in sede di appello per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. I Giudici di appello, tenuti, in virtù del principio devolutivo ex art. 342 cod. proc. civ., a provvedere su tale domanda, non avevano tuttavia reso alcuna pronuncia in merito.
5.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.
5.2 Deve in primo luogo rilevarsi che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012, sia in materia di accertamento dell’I.V.A., che RAGIONE_SOCIALE imposte dei redditi, qualora l’Amministrazione, ritenendo fittizia -oggettivamente o soggettivamente -un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione; l’Amministrazione non aveva pertanto l’obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso
contribuente, né era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati (cfr. Cass., 2 marzo 2012, n. 3267).
5.3 L’art. 8, comma 2, del decreto legge, citato, costituente ius superveniens , applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3, avendo il ricorrente prospettato la questione nell’atto di appello, come, nel rispetto del principio di autosufficienza, emerge dalle pagine 16 -20 del ricorso per cassazione (cfr. Cass., 21 marzo 2023, n. 8133, secondo cui « l’applicazione RAGIONE_SOCIALE “ius superveniens” di cui all’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2012, , conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, si estende anche a rapporti antecedenti al d.l. e non ancora esauriti, ma non opera nei giudizi in corso indiscriminatamente, dovendo essere coordinata con i principi che regolano l’onere della tempestiva introduzione della questione nel ricorso introduttivo, dell’impugnazione e RAGIONE_SOCIALE relative preclusioni, con la conseguenza che la sua operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazioni alle questioni, sulla decisione RAGIONE_SOCIALE quali avrebbe dovuto incidere la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punto ») prevede che « ai fini dell’accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione RAGIONE_SOCIALE predette spese o altri componenti negativi, applicandosi in tal caso solo una sanzione amministrativa».
5.4 La disposizione in parola trova applicazione nel caso di operazioni sia soggettivamente sia oggettivamente inesistenti. Nel primo caso, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del decreto legge n. 16 del 2012, che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i
beni acquistati -di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il «costo» sia consistito nel «compenso» versato all’emittente il falso documento) -non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass., 12 dicembre 2019, 32587; Cass., 21 febbraio 2020, n. 4645; Cass., 9 agosto 2022, n. 24471). Con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti è stato precisato che « grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che – ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 44 del 2012 – siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione RAGIONE_SOCIALE predette spese o altri componenti negativi » (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass., 20 aprile 2016, n. 7896; Cass., 19 dicembre 2014, n. 27040; Cass., 20 novembre 2013, n. 25967, le ultime due richiamate anche dal ricorrente e, più di recente, Cass., 21 agosto 2023, n. 24880).
5.5 Orbene, nel caso in esame, la società ricorrente ha contestato gli elementi presuntivi acquisiti dall’Ufficio, elementi che sono stati poi recepiti e posti dai giudici di appello a fondamento del decisum , e, in sede di giudizio di merito, non ha fornito la prova della fittizietà dei relativi ricavi conseguiti, cosicché deve escludersi la violazione sia della norma costituzionale richiamata (art. 53 Cost.), che garantisce la
corretta corrispondenza dell’imposta all’imponibile effettivo, sia RAGIONE_SOCIALE ius superveniens invocato.
5.6 Per quanto detto, non sussiste il vizio di omessa pronuncia, in quanto il giudice del gravame avendo accertato, sulla base degli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione finanziaria, che le operazioni erano oggettivamente inesistenti e che la società contribuente non aveva offerto la prova della deducibilità dei costi, ha ritenuto, in tal modo, non provato dalla società contribuente che i ricavi fittizi da espungere fossero «corrispondenti» agli acquisti derivanti dalle operazioni inesistenti. Inoltre, i giudici di secondo grado hanno osservato che il ricorso alle percentuali di redditività si verificava nell’ipotesi di ricostruzione induttiva d el reddito e che, nel caso in esame, il disconoscimento dei costi era avvenuto in via analitica e che, peraltro, spettava alla parte (che insisteva per la tesi di operazioni soggettivamente inesistenti) dare un riscontro puntuale RAGIONE_SOCIALE operazioni poste in essere (pag. 9 della sentenza impugnata).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la Curatela ricorrente va condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la Curatela ricorrente al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Curatela ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2024.