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Costi indeducibili: la Cassazione sul socio-consulente

Il caso analizza la questione dei costi indeducibili derivanti da una consulenza fatturata da un socio alla propria società. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deducibilità di gran parte del costo, ritenendolo non inerente all’attività aziendale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24544/2024, ha rigettato il ricorso dei contribuenti, confermando la decisione dei giudici di merito. La Suprema Corte ha ribadito che spetta al contribuente l’onere di provare l’inerenza del costo e che motivi di nullità degli atti non possono essere sollevati per la prima volta in sede di legittimità.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi indeducibili per consulenza del socio: la Cassazione fa chiarezza

L’ordinanza n. 24544 del 12 settembre 2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per le imprese: la deducibilità dei costi per consulenze prestate da un socio alla propria società. La sentenza offre importanti spunti sull’onere della prova e sui limiti del sindacato di legittimità, ribadendo principi consolidati in materia di costi indeducibili.

I fatti del caso: la consulenza del socio alla propria società

Una società in accomandita semplice (S.a.s.) e i suoi due soci si vedevano recapitare avvisi di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA relativi all’anno 2008. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deduzione di un costo di 67.500 euro, fatturato da uno dei soci, il Socio A, per una presunta attività di consulenza aziendale svolta a favore della società stessa.

Secondo il Fisco, tale costo era sproporzionato e non sufficientemente documentato per provarne l’inerenza all’attività d’impresa. L’Ufficio riconosceva come deducibile solo una quota minima (circa 16.000 euro), considerando la parte eccedente come un costo indeducibile, in violazione dell’art. 109, comma 5, del TUIR.

I contribuenti impugnavano gli atti, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale confermavano, in sostanza, la tesi dell’Agenzia, accogliendo solo parzialmente l’appello e ribadendo la natura parzialmente indeducibile del costo.

La questione dei costi indeducibili e i motivi del ricorso in Cassazione

I contribuenti decidevano di portare il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il loro ricorso su quattro motivi principali:

1. Nullità degli avvisi: gli atti erano stati firmati da un dirigente la cui nomina era stata successivamente dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale.
2. Motivazione contraddittoria: la sentenza d’appello era viziata perché, pur riconoscendo parzialmente l’inerenza del costo, si basava su una motivazione che sembrava negare la prova dell’attività di consulenza.
3. Errata valutazione delle prove: la Corte Regionale non avrebbe svolto un’autonoma valutazione del materiale probatorio.
4. Violazione delle norme su inerenza e onere della prova: i costi erano, a loro dire, pienamente necessari e inerenti all’attività sociale.

L’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, esaminando e respingendo ciascun motivo.

In primo luogo, il motivo relativo alla firma del dirigente “decaduto” è stato giudicato inammissibile perché sollevato per la prima volta in Cassazione. La Corte ha comunque specificato che, nel merito, sarebbe stato infondato, poiché la validità degli avvisi di accertamento non richiede la qualifica dirigenziale del firmatario.

Anche il secondo motivo, sulla presunta contraddittorietà della motivazione, è stato ritenuto infondato. Secondo gli Ermellini, non vi è alcuna contraddizione nel riconoscere l’inerenza parziale di un costo, ritenendo provata l’attività solo fino a un certo importo e disconoscendo l’eccedenza.

Infine, il terzo e il quarto motivo sono stati dichiarati inammissibili perché, di fatto, miravano a ottenere dalla Corte di Cassazione un nuovo esame del merito della vicenda e una diversa valutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità.

Le motivazioni della decisione

La Cassazione ha basato la sua decisione su principi cardine del diritto processuale e tributario. Il rigetto dei motivi si fonda sulla distinzione netta tra giudizio di fatto, riservato ai tribunali di merito, e giudizio di legittimità, proprio della Cassazione. Quest’ultima non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella del giudice d’appello, ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza non sia palesemente illogica o contraddittoria.
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano concluso che i contribuenti non avevano fornito prove sufficienti a dimostrare l’effettività e l’entità della consulenza per l’intero importo fatturato. La documentazione prodotta (fattura generica) non specificava la qualità e la quantità delle prestazioni, né i parametri di fatturazione, rendendo impossibile giustificare un costo così elevato. Di conseguenza, la decisione di considerare gran parte dei costi indeducibili era una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità.

Conclusioni: implicazioni pratiche per le imprese

Questa ordinanza ribadisce un messaggio fondamentale per le aziende e i professionisti: la deducibilità di un costo non è automatica ma deve essere rigorosamente provata. Quando si tratta di prestazioni rese da soci o amministratori alla propria società, l’onere probatorio diventa ancora più stringente per evitare contestazioni. È essenziale documentare in modo dettagliato e analitico la natura delle prestazioni, la loro effettiva esecuzione e la loro congruità economica. Fatture generiche non sono sufficienti a superare il vaglio del Fisco. Inoltre, la pronuncia conferma che le strategie difensive devono essere impostate sin dal primo grado di giudizio, poiché non è possibile introdurre nuove questioni, come la validità della firma sull’atto, direttamente davanti alla Corte di Cassazione.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la validità di un avviso di accertamento perché firmato da un dirigente la cui nomina è stata poi giudicata illegittima?
No, la Corte ha stabilito che tale motivo di ricorso è inammissibile se non è stato sollevato nei precedenti gradi di giudizio. In ogni caso, la Corte ha chiarito che la validità dell’atto non dipende dalla qualifica dirigenziale del firmatario.

Un costo sostenuto da una società per una consulenza fornita da un proprio socio è sempre deducibile?
No, non automaticamente. Spetta alla società (il contribuente) dimostrare con prove concrete che il costo è ‘inerente’ all’attività d’impresa, ossia che è stato necessario per produrre ricavi. Una fattura con una descrizione generica della prestazione non è considerata una prova sufficiente.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove per decidere se un costo è inerente e quindi deducibile?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito i fatti e le prove del caso. Il suo compito è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. La valutazione sull’inerenza di un costo è un giudizio di fatto, riservato ai giudici di primo e secondo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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