Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24544 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24544 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16930/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO;
COGNOME NOME;
COGNOME NOME,
elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO dai quali sono rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
AVVISO DI ACCERTAMENTO – IRPEF IRAP IVA 2008
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 2524/31/2014, depositata il 30 dicembre 2014;
udita la re lazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 10 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– Rilevato che:
1. Con avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO l’RAGIONE_SOCIALE determinava in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, per l’anno 2008, un maggior reddito di € 91.634,00, rispetto a quello dichiarato di € 40.194,00, determinando una maggiore IRAP di € 2.006,00 ed una maggiore IVA di € 10.288,00.
Di conseguenza, nei confronti dei due soci della società COGNOME NOME (con quota di partecipazione del 95%) e COGNOME NOME (con quota di partecipazione del 5%), l’Ufficio emetteva avvisi di accertamento rispettivamente n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO, determinando una maggiore IRPEF e relative addizionali per € 20.369,00 (COGNOME NOME) ed € 1.551,00 (COGNOME NOME).
La pretesa erariale era scaturita dallo scostamento riscontrato tra i ricavi dichiarati dalla società e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, scostamento causato dalla deduzione, da parte della società, dell’importo di € 67.500,00, fatturato da COGNOME NOME per consulenza aziendale prestata nei confronti della stessa società. L’Ufficio, in particolare, riteneva che il totale RAGIONE_SOCIALE provvigioni che potesse essere
ragionevolmente ricondotto all’attività svolta dal sig. COGNOME e, conseguentemente, come costo deducibile, inerente alla realizzazione dei ricavi da parte della società, era pari ad € 16.060,50, per cui la parte eccedente (€ 51.439,50) rappresentava un costo indeducibile, in quanto non inerente alla produzione di ricavi, e come tale sarebbe stato dedotto in violazione dell’art. 109, comma 5, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi).
La società ed i soci impugnavano gli avvisi di accertamento suddetti, con tre distinti ricorsi, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (ora Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) di RAGIONE_SOCIALE la quale, previa riunione dei ricorsi suddetti, con sentenza n. 287/06/2014, pronunciata il 10 febbraio 2014 e depositata il 3 marzo 2014, li rigettava, condannando i ricorrenti alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Interposto gravame dai contribuenti, la Commissione Tributaria Regionale (ora Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) della Toscana, con sentenza n. 2524/31/2014, pronunciata il 28 novembre 2014 e depositata in segreteria il 30 dicembre 2014, accoglieva parzialmente l’appello, determinando in € 16.060,50 la quota di costi deducibile, in quanto inerente alla realizzazione di ricavi da parte della società, compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, nonché COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, sulla base di quattro motivi (ricorso notificato il 30 giugno 2015).
L ‘RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Con decreto del 16 febbraio 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 10 maggio 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti eccepiscono la nullità degli avvisi di accertamento impugnati per illegittimità e decadenza del dirigente firmatario, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 37 del 24 febbraio 2015, e quindi per conseguente violazione degli artt. 21septies e 21octies della legge 7 agosto 1990, n. 241; 42, commi 1 e 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; 56, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1973, n. 633; 66, 67 e 68 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300; 4, comma 3, e 35 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165; 1, comma 2, del re golamento di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 4 del 30 novembre 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.
Deducono, in particolare, i ricorrenti che gli avvisi di accertamento impugnati erano stati sottoscritti da un dirigente dichiarato decaduto, perché illegittimamente nominato, in forza della sentenza della Corte cost. n. 37/2015, che aveva dichiarato illegittimi i ripetuti conferimenti di incarichi dirigenziali ai funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE senza indire i relativi concorsi pubblici, e ciò aveva determinato la nullità assoluta degli avvisi di accertamento in questione.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce nullità della sentenza impugnazione per violazione degli artt. 132, 156 e 161 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deducono, in particolare, i ricorrenti che la corte territoriale, nell’accogliere ‘parzialmente’ l’appello, aveva fornito indicazioni contrastanti ed inconciliabili in merito al parziale riconoscimento della deducibilità del costo in questione «in quanto inerente la realizzazione di ricavi da parte della società» rispetto alla parte motiva della sentenza, laddove la medesima C.T.R. aveva ritenuto «totalmente sfornita di prova» la tesi dei contribuenti circa la piena riconducibilità dei costi in questione ad una fattiva attività di consulenza da parte del socio COGNOME.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), dello stesso codice.
Sostengono i ricorrenti che, nel caso di specie, la C.T.R., nel rimettersi alla «condivisibile ricostruzione del giudicante» di primo grado, aveva sostanzialmente omesso ogni autonoma valutazione degli elementi probatori acquisiti nel giudizio di merito, nel mentre -anche in ossequio all’effetto devolutivo dell’appello avrebbe dovuto procedere ad un nuovo esame del materiale probatorio in questione.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 917/1986 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.
Rilevano che le prestazioni di consulenza svolte dal sig. COGNOME in favore della società, che avevano generato i costi ritenuti
parzialmente indeducibili dall’Ufficio, erano assolutamente necessarie per la società ai fini della sua attività, e, dunque, pienamente inerenti all’attività d’im presa esercitata dalla medesima.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Invero, la questione della eventuale illegittimità degli avvisi di accertamento impugnati, in quanto sottoscritti da soggetti non legittimati poiché dirigenti ‘decadut i ‘ in forza della sentenza della Corte cost. n. 37/2015 (che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. 2 marzo 2012 n. 16, conv., con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44, nella parte in cui fa salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle RAGIONE_SOCIALE Territorio a propri funzionari e consente, nelle more dell’espletamento RAGIONE_SOCIALE procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato), non è mai stata sollevata nei gradi di merito, ed è quindi stata eccepita per la prima volta in sede di legittimità. Come tale, non è censura sollevabile in questa sede avverso la sentenza di appello, che non ha minimamente esaminato tale questione, in quanto mai posta all’esame del giudice . Non a caso, è stato affermato che, in tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in
conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata d’ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 23 settembre 2020, n. 19929).
Il motivo è comunque infondato anche nel merito.
In tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600/1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16/2012, convertito dalla legge n. 44/2012 (cfr. Cass. 15 settembre 2022, n. 27247; Cass. 26 febbraio 2020, n. 5177; Cass. 9 novembre 2015, n. 22810).
2.2. Anche il secondo motivo è infondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non vi è alcuna apparente contraddizione all’interno della motivazione della sentenza di secondo grado, avendo la corte territoriale semplicemente ritenuto dimostrata l’inerenza parziale di un costo con riferimento all’attività aziendale, e disconosciuto l’inerenza di importi ulteriori di costo. Peraltro, la RAGIONE_SOCIALE ha chiaramente escluso la sussistenza di prove in merito alla deducibilità totale di quanto fatturato da COGNOME NOME, per un
totale di € 67.000,00, riconoscendo tuttavia una deducibilità parziale, nei limiti dell’importo di € 16.060,50, come si evince in maniera piana dalla motivazione della sentenza.
2.3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono da ritenere inammissibili.
Con entrami i motivi in questione, infatti, i ricorrenti non deducono, in realtà, alcuna violazione di legge, ma censurano la valutazione in fatto operata dalla corte regionale, sia con riferimento alla complessiva valutazione degli elementi probatori fo rniti dall’Ufficio (che, peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dai contribuenti, è stata effettivamente svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, avendo questa ritenuto che l’attività di consulenza svolta dal RAGIONE_SOCIALE era indicata in maniera generica, non essendo precisate in fattura, o in altra documentazione contabile, la qualità e l’entità di tali consulenze, nonché i parametri utilizzati per la fatturazione), sia con riferimento al giudizio di inerenza di tali costi, che la corte territoriale ha ridimensionato rispetto agli importi dedotti dalla società.
3. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti, ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare i ricorrenti tenuti al pagamento di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti alla rifusione, in solido tra loro, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara i ricorrenti tenuti al pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2024.