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Costi indeducibili: Cassazione e onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23850/2025, ha rigettato il ricorso di un contribuente contro un avviso di accertamento per costi indeducibili. La Corte ha ribadito che, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, l’onere della prova si sposta sul contribuente qualora l’Amministrazione Finanziaria fornisca elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. È stato inoltre chiarito che la motivazione dell’atto impositivo non deve essere contraddittoria e che l’omessa risposta a tutte le deduzioni del contribuente in fase pre-contenziosa non ne determina automaticamente la nullità.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi indeducibili: a chi spetta l’onere della prova?

La questione dei costi indeducibili e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente è un tema centrale nel diritto tributario. Con l’ordinanza n. 23850 del 25 agosto 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un caso emblematico, offrendo chiarimenti cruciali sulla validità degli avvisi di accertamento e sulle prove necessarie per contestare la deducibilità di costi derivanti da operazioni ritenute inesistenti.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un agente di commercio, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi per IVA, IRAP e IRPEF relativi all’anno d’imposta 2007. Le contestazioni si basavano su un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza e riguardavano principalmente:
1. Costi per servizi fatturati da una società terza, ritenuti non documentati e non inerenti all’attività d’impresa.
2. Interessi passivi su finanziamenti, considerati non pertinenti.

Il contribuente impugnava l’atto, ottenendo un parziale accoglimento in primo grado. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, riformava parzialmente la decisione, riducendo drasticamente l’importo dei costi deducibili riconosciuti al contribuente. Quest’ultimo, insoddisfatto, proponeva ricorso per Cassazione, articolando sei diversi motivi di doglianza.

L’onere della prova per i costi indeducibili e le operazioni inesistenti

Il cuore della controversia, e il punto più rilevante della decisione della Suprema Corte, riguarda il sesto motivo di ricorso, con cui il contribuente lamentava la violazione del principio del riparto dell’onere probatorio. Secondo il ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale aveva errato nel porre a suo carico la prova dell’effettiva esistenza delle operazioni commerciali contestate.

La Cassazione ha rigettato tale motivo, ribadendo un orientamento consolidato: in tema di IVA e deduzione dei costi per operazioni oggettivamente inesistenti, l’onere della prova grava inizialmente sull’Amministrazione Finanziaria. Quest’ultima può assolverlo anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Elementi come l’assenza di un’adeguata struttura aziendale da parte del fornitore, le diciture generiche e approssimative sulle fatture o le dichiarazioni del personale della società fornitrice possono costituire prove presuntive sufficienti.

Una volta che l’Ufficio ha fornito tali elementi, l’onere della prova si sposta sul contribuente. A quel punto, spetta a quest’ultimo dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. La sola esibizione delle fatture o la regolarità formale delle scritture contabili non è sufficiente, poiché tali documenti sono spesso utilizzati proprio per mascherare operazioni fittizie.

La motivazione dell’avviso di accertamento

Altro punto fondamentale toccato dalla Corte riguarda la presunta contraddittorietà e carenza di motivazione dell’avviso di accertamento. Il contribuente sosteneva che l’atto fosse viziato perché, da un lato, si basava sul presupposto di operazioni commerciali totalmente inesistenti e, dall’altro, contestava la non inerenza dei relativi costi.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto al ricorrente. I giudici hanno chiarito che non vi è alcuna contraddizione. L’Agenzia delle Entrate ha escluso la deducibilità dei costi primariamente perché non erano stati adeguatamente documentati, il che impediva di verificarne l’inerenza all’attività d’impresa. L’affermazione sulla non inerenza è una conseguenza logica: solo se un costo è reale e provato se ne può valutare la pertinenza con l’attività aziendale.

Inoltre, la Corte ha specificato che l’obbligo per l’Amministrazione Finanziaria di motivare le proprie decisioni in relazione alle argomentazioni del contribuente è circoscritto alle osservazioni presentate entro 60 giorni dalla notifica di un processo verbale di constatazione (ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente), e non si estende necessariamente a tutte le memorie depositate in altre fasi pre-contenziose, come quella di accertamento con adesione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso. In primo luogo, ha escluso il vizio di omessa pronuncia, affermando che la decisione nel merito di confermare, seppur parzialmente, la pretesa fiscale implica un rigetto implicito delle questioni preliminari sulla nullità dell’atto.

Sul tema cruciale dell’onere probatorio, la Corte ha sottolineato che l’Amministrazione Finanziaria aveva fornito solidi elementi presuntivi: le diciture generiche sulle fatture, le dichiarazioni del personale della società fornitrice che negava rapporti diretti con il contribuente, e la stessa ammissione del titolare della ditta fornitrice di aver effettuato prestazioni solo per un importo minimo (€ 3.000,00). A fronte di tali indizi, il contribuente non è stato in grado di fornire alcuna prova contraria sull’effettività delle prestazioni contestate, né sul pagamento delle relative somme.

Infine, per quanto riguarda la deducibilità degli interessi passivi, la Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza di appello, seppur sintetica, fosse sufficiente a spiegare le ragioni del rigetto, legate alla non inerenza dei mutui (stipulati per scopi personali, intestati a terzi o relativi a periodi d’imposta diversi).

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma principi fondamentali in materia di accertamento fiscale e costi indeducibili. Essa ribadisce che, di fronte a solidi indizi di inesistenza delle operazioni, la palla passa al contribuente, che non può limitarsi a difese formali ma deve fornire prove concrete e sostanziali. La decisione sottolinea inoltre l’importanza di una corretta documentazione e della capacità di dimostrare non solo l’esistenza, ma anche l’inerenza di ogni costo all’attività d’impresa. Per i professionisti e le aziende, questa pronuncia rappresenta un monito a mantenere una gestione contabile e documentale impeccabile, poiché la forma, senza la sostanza, non è sufficiente a superare le presunzioni dell’Amministrazione Finanziaria.

Quando l’onere di provare l’esistenza di un’operazione commerciale si sposta sul contribuente?
L’onere della prova si sposta sul contribuente quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che suggeriscono l’inesistenza dell’operazione. A quel punto, non basta esibire la fattura, ma occorre dimostrare con prove concrete che la prestazione è stata realmente eseguita.

Un avviso di accertamento è nullo se non risponde a tutte le argomentazioni del contribuente?
No, non necessariamente. Secondo la Corte, l’obbligo di motivazione puntuale da parte del Fisco riguarda principalmente le osservazioni presentate dal contribuente dopo la notifica di un processo verbale di constatazione (p.v.c.), ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente. L’omessa risposta ad argomenti sollevati in altre sedi, come l’accertamento con adesione, non determina automaticamente la nullità dell’atto.

Affermare che un’operazione è inesistente e al contempo che il costo non è inerente è una motivazione contraddittoria?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non c’è contraddizione. L’indeducibilità può essere affermata perché il costo non è idoneamente documentato. La valutazione sull’inerenza è un passaggio logico successivo: solo se un costo è provato nella sua esistenza si può valutare se sia pertinente all’attività d’impresa. La mancanza della prova della sua esistenza rende superfluo l’accertamento dell’inerenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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