Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23850 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23850 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2881/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL);
– ricorrente –
contro
Oggetto
: TRIBUTI –
IVA – avviso
accertamento –
motivazione –
riconoscimento costi
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), che la rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1336/03/2015 della Commissione tributaria regionale dell’EMILIA ROMAGNA, depositata in data 19/06/2015; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24 giugno 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento di un maggior reddito d’impresa ai fini IVA, IRAP ed IRPEF emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di NOME COGNOME, agente di commercio, sulla scorta di un p.v.c. redatto dalla G.d.F., con cui l’amministrazione finanziaria, con riferimento all’anno d’imposta 2007, disconosceva costi ritenuti non documentati e non inerenti all’attività d’impresa, interessi passivi di competenza di un diverso anno d’imposta (2006), interessi relativi ad un mutuo di cui il contribuente era mero fideiussore, la CTP di Bologna accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente, riconoscendo la deducibilità dei soli costi fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE confermando per il resto l’avviso di accertamento impugnato.
Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR dell’Emilia-Romagna accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, riconoscendo al contribuente la deducibilità delle spese sostenute per la prestazione di servizi forniti dalla RAGIONE_SOCIALE nella misura di complessivi 3.000,00 euro. Rigettava l’appello incidentale del contribuente. Confermava, poi, la sentenza impugnata « limitatamente alla parte in cui i giudici di prima
cura ritengono indebite le deduzioni degli interessi passivi relativi alla cointestazione del mutuo relativo ad un contratto per scopi non inerenti all’attività di impresa, per errata imputazione degli interessi ad una annualità diversa (anno 2006) e ancora perché il mutuo risulta non intestato al contribuente ma al padre dello stesso ».
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi cui non replica per iscritto l’intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ragioni di ordine logico-giuridico impongono il preliminare esame del quarto motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la « nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., 132 c.p.c. n. 4, 111 comma 6 cost. e art. 36 comma 2 n. 4 d. lgs. 546/92, per omessa pronuncia circa una domanda proposta e contraddittorietà della motivazione della sentenza in relazione all’art. 360 comma I n. 4 ».
1.1. Sostiene il ricorrente che la CTR non si era pronunciata sul motivo di ricorso, riproposto in sede di appello, di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione dello stesso che « non conteneva assolutamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche caratterizzanti il percorso logico giuridico seguito dall’ufficio per pervenire alla redazione dell’atto stante l’assoluta contraddittorietà ed ambiguità delle motivazioni in esso addotte ». Deduce, inoltre, di aver lamentato la contraddittorietà della motivazione dell’avviso di accertamento perché, « prima, si afferma che i costi contabilizzati dal ricorrente per l’importo di €. 30.000,00 non si potrebbero ritenere deducibili in quanto non idoneamente documentati, per cui non sarebbe possibile stabilirne l’inerenza al reddito d’impresa, per poi richiamare e condividere i rilievi contenuti nel PVC ove le operazioni vengono ritenute inesistenti, tanto che viene trasmessa la notizia di reato ». Sostiene, infine, di aver dedotto il vizio di motivazione dell’avviso di
accertamento « stante l’omessa considerazione degli elementi offerti dal contribuente in sede di contraddittorio ».
Il motivo è infondato e va rigettato alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui « Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (Cass. n. 24155/2017; conf. Cass. 29191/2017, n. 2151/2021).
2.1. Nel caso di specie la decisione nel merito, di parziale conferma della pretesa impositiva e, quindi, dell’avviso di accertamento impugnato, adottata dai giudici di appello, implica necessariamente il rigetto delle questioni preliminari di illegittimità di quell’atto per difetto di motivazione.
2.2. Quanto alla contraddittorietà della motivazione dell’atto impositivo e all’omessa considerazione ed esternazione nell’avviso di accertamento degli elementi offerti dal contribuente in sede di contraddittorio, le questioni, oltre ad essere state dedotte nel motivo in esame, sono oggetto rispettivamente del primo e secondo motivo di ricorso e si esamineranno unitamente a quest’ultimo.
Venendo, quindi, al primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la « violazione e/o falsa applicazione dell’art 42 comm II d.p.r. 600/73 e art 56 d.p.r. 633/1972 in relazione all’art 360 primo comma n. 3) cpc – nullità
dell’avviso di accertamento per difetto/contraddittorietà della motivazione ».
3.1. Sostiene il ricorrente che « Mentre nel processo verbale di constatazione si contesta l’indeducibilità dei costi contabilizzati dal COGNOME sulla base delle fatture emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE in quanto ‘in ragione dell’attività ispettiva sopraesposta emerge inconfutabilmente che la totalità dei documenti emessi dalla RAGIONE_SOCIALE Socio nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, sono stati rilasciati a fronte di operazioni commerciali oggettivamente inesistenti…. Omissis’ (cfr pag. 10 pvc), l’avviso di accertamento è assolutamente contraddittorio e in esso si asserisce, dapprima, a pag. 5, che ‘ i verificatori, al termine di un’attività ispettiva capillare rimarcano, con evidenza inconfutabile, che la totalità dei documenti emessi dalla COGNOME al COGNOME, sono stati rilasciati per operazioni commerciali oggettivamente inesistenti’ e che ‘per tale situazione penalmente rilevante, ai sensi dell’art 2 D. Lgs 74/2000 è stata redatta apposita informativa di reato’, e, subito dopo, a pag. 6, che ‘ I costi contabilizzati dal COGNOME NOME, per l’importo significativo di €. 30.000,00 più iva, raffrontato al potenziale servizio fornito dalla Società RAGIONE_SOCIALE non possono ritenersi deducibili in quanto non idoneamente documentati per cui non è possibile stabilire l’inerenza al reddito d’impresa’ ».
3.2. Pertanto, a detta del ricorrente, nella specie sarebbe « palese l’assoluta contraddittorietà dell’avviso di accertamento de quo nel quale la motivazione si fonda, per un verso, sul processo verbale della Guardia di Finanza, ripetutamente richiamato integralmente e, per altro verso, sulla non inerenza delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE », ovvero su ipotesi tra loro alternative.
Anche a voler prescindere dal rilievo che il ricorrente, pur deducendo il difetto di motivazione dell’atto impositivo in realtà ne
contesta il contenuto, la censura di contraddittorietà della motivazione dell’avviso di accertamento è infondata e va rigettata atteso che l’Agenzia delle entrate ha escluso la deducibilità dei costi relativi alle prestazioni rese in favore del contribuente dalla RAGIONE_SOCIALE « in quanto non idoneamente documentati » e non perché non inerenti. Il riferimento all’inerenza viene fatto dall’Agenzia delle entrate, peraltro correttamente, sul presupposto che, ove tali costi fossero stati dimostrati, se ne sarebbe dovuta accertare l’inerenza. In tal senso depone l’affermazione riferita a quei costi contenuta nell’atto impositivo (trascritta nel ricorso) secondo cui « non possono ritenersi deducibili in quanto non idoneamente documentati per cui non è possibile stabilire l’inerenza al reddito d’impresa ».
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 comma II dpr 600/73, e art. 56 dpr 633/72 in relazione all’art 360 primo comma n 3) cpc – mancata motivazione in relazione agli elementi apportati in sede di contraddittorio » ex art. 12 della legge n. 212 del 2000. Questione che, come detto sopra, è stata posta anche con il quarto motivo di ricorso.
5.1. Sostiene il ricorrente che l’avviso di accertamento impugnato è nullo in quanto non riporta alcuna motivazione in ordine alle argomentazioni svolte nella « dettagliata relazione» consegnata all’amministrazione finanziaria in data 18/10/2012, in occasione del contraddittorio attivato ai sensi del d.lgs. n. 218 del 1997, «in merito a tutti i rilievi mossi nei suoi confronti oltre ad una serie di documenti a sostegno delle deduzioni presentate ».
5.2. Precisa il ricorrente che soltanto con riferimento alla ‘Indebita deduzione di componenti negativi di reddito (interessi passivi)’ l’avviso di accertamento conteneva « un unico generico e scarno richiamo al contraddittorio », leggendosi nello stesso che « Le giustificazioni addotte dal contribuente, in questa sede, non sono considerate sufficienti per
assumere la valenza ai fini della dimostrazione dell’effettiva detraibilità degli interessi passivi». Sostiene però che «Tale affermazione costituisce una mera formula di stile e contiene una valutazione solo apparente delle argomentazioni difensive del COGNOME e come tale assolutamente insufficiente e inadeguata ».
La censura è infondata e va rigettata.
6.1. Innanzitutto, va precisato che è errato il riferimento all’art. 12 della legge n. 212 del 2000 posto che il ricorrente ha dedotto di aver depositato memorie soltanto in sede di accertamento con adesione promosso ai sensi del d.lgs. n. 218 del 1997 e non all’esito della notifica del p.v.c. della G.d.F.
6.2. È solo con riferimento alle osservazioni o richieste presentate entro sessanta giorni dalla notifica del p.v.c. redatto dalla G.d.F . a conclusione della verifica fiscale che il comma 7 dell’art. 12 citato prevede l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di valutarle, e, comunque, non anche di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass. n. 12343/2024).
6.3. L’infondatezza del motivo in esame discende anche dal rilievo che, secondo questa Corte, « l’obbligo motivazionale dell’accertamento è assolto quando il contribuente è stato posto nella condizione di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, al fine di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta; ne consegue, quindi, che il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa per delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva » (fra varie, Cass.
26336/24); allegazioni in fatto, quelle indicate, nella specie incontestate (e comunque emergenti dal sunto che se ne opera a pag. 3 del ricorso).
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 comma 4 bis l. 537/1993, come modificato dall’art. 8 comma 1 d.l. 16/2012 convertito con l. 44/2012 – in relazione all’art. 360 comma I n. 3 c.p.c. ».
7.1. Sostiene il ricorrente che con la disciplina introdotta dalle disposizioni censurate, applicabili retroattivamente ai sensi del comma 3 dell’art. 8 d.l. citato, « il legislatore ha circoscritto le ipotesi di indeducibilità ai soli costi e spese relativi a beni o prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per i quali il Pubblico Ministero abbia esercitato l’azione penale, ovvero il giudice dell’udienza preliminare abbia emesso il decreto che dispone il giudizio o, ancora, sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato ».
Il motivo è infondato.
8.1. Come reiteratamente affermato da questa Corte (cfr., ex multis , Cass. n. 9900/2024; n. 26790/2022, n. 7896/2016, n. 27040/2014) l’art. 8, comma 2, d.l. cit. -applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3, a tenore del quale le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, previgente anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli – ha stabilito, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi, non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette
spese, «con la conseguenza che spetta al contribuente provare la diretta afferenza tra ricavi e costi attinenti a beni non effettivamente scambiati» (così in Cass. n. 19000/2018).
8.2. Nel caso di specie, la sentenza ha fatto corretta applicazione di detto principio ritenendo sussistente detta correlazione per l’importo di 3.000,00 euro versate dal contribuente alla RAGIONE_SOCIALE ed escludendola per il residuo maggior importo.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce l’« omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 comma I n. 5) – assoluta assenza di motivazione in relazione al rigetto dell’appello incidentale proposto dal Sig. COGNOME NOME ».
9.1. Sostiene il ricorrente di aver proposto appello incidentale avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto fondato l’accertamento in ordine alle indebite deduzioni degli interessi passivi dei finanziamenti. Con riferimento a tale questione, « il ricorrente evidenziava che la sentenza di prime cure nel ritenere ‘…infondati i rilievi riguardanti le indebite deduzioni degli interessi passivi in un caso per la cointestazione del mutuo, contratto per scopi non inerenti all’attività di impresa (n.d.r. trattasi del mutuo n. 6073511 – Banca Popolare di Lodi cointestato con il Sig. COGNOME nell’altro caso per essere gli interessi riferiti a diversa annualità (n.d.r. trattasi del mutuo n. 6057064 Banca Popolare di Lodi), nel terzo caso perché il ricorrente non è beneficiario del mutuo ma fidejubente e nel quarto caso perché il finanziamento è intestato al padre (n.d.r. questi ultimi due casi in realtà si riferiscono ad uno stesso mutuo, ovvero il n. … Banca del MugelIo-Credito cooperativo di Firenzuola)’ da un lato aveva omesso qualsiasi riferimento al finanziamento in essere con Banca Bipop Carire dall’altro non aveva svolto alcun apprezzamento in ordine alle circostanze dedotte ed ai documenti prodotti dal ricorrente circa
l’inerenza all’attività dei finanziamenti a prescindere dall’intestazione degli stessi ».
Il motivo è infondato e va rigettato.
10.1. Invero, la CTR ha escluso la deducibilità degli interessi passivi da finanziamenti sostenendo che un mutuo era relativo ad un contratto stipulato «per scopi non inerenti all’attività di impresa», un altro era relativo «ad una annualità diversa (anno 2006)» ed un altro ancora perché il mutuo risultava intestato ad altro soggetto (al padre del contribuente).
10.2. La semplice lettura del passaggio motivazionale della sentenza impugnata, appena sopra trascritta, evidenzia come la stessa esibisca una motivazione che, seppur succinta e prescindendo da ogni considerazione sulla sua condivisibilità, è effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, e si pone ben al di sopra del minimo costituzionale, ex art. 111, sesto comma, Cost., in quanto idonea a palesare il ragionamento logico-giuridico ad esso sotteso, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente (arg. da Cass., Sez. U, n. 8053/2014).
Con il sesto motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697, comma 1, cod. civ. in combinato disposto dagli artt. 19 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972.
11.1. Sostiene il ricorrente che i giudici di appello avevano violato il principio del riparto dell’onere probatorio in materia di operazioni oggettivamente inesistenti, avendo affermato che « il contribuente ‘non ha dimostrato di aver corrisposto le somme dovute …omissis…non ha superato la presunzione di esistenza dei fatti’ ».
Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.
12.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, «In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia» (Cass. n. 9723/2024; in termini, Cass. n. 28628/2021 e n. 17619/2018).
12.2. A tali principi si è scrupolosamente attenuto il giudice di merito che nella motivazione della sentenza impugnata ha evidenziato gli elementi presuntivi di inesistenza (parziale) delle operazioni commerciali che l’amministrazione finanziaria aveva fornito desumendole dal p.v.c. redatto dalla G.d.F., e consistenti nel« le diciture generiche ed approssimative » delle fatture emesse dalla società fornitrice per le presunte prestazioni di assistenza e segreteria in favore del COGNOME, nelle dichiarazioni rese dal personale della società fornitrice di non aver avuto rapporti né diretti né indiretti con il COGNOME, tanto da non ricordarne nemmeno il nome, nonostante il contribuente avesse l’ufficio nello stesso stabile ove operava la società fornitrice dei servizi, nonché nella dichiarazione del titolare di tale ditta di aver effettuato prestazioni in favore del COGNOME soltanto per complessivi 3.000,00 euro.
12.3. A fronte di tali elementi presuntivi, la CTR ha dato atto che il contribuente non aveva fornito idonea prova contraria diretta a provare l’effettività di quelle prestazioni, non essendo stato in grado
neppure di provare il pagamento delle somme fatturate, fatta eccezione per la somma di 3.000,00 euro di cui sopra si è detto.
12.4. Ne consegue l’infondatezza della censura non sussistendo nella specie la dedotta violazione di legge.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese non avendo l’intimata svolto difese scritte.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2025.