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Costi fittizi: la contabilità non basta a salvarli

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9664/2024, ha stabilito che la contabilità formalmente regolare non è sufficiente a provare la deducibilità dei costi se l’Amministrazione Finanziaria contesta la loro esistenza con presunzioni gravi, precise e concordanti. Nel caso di specie, un’impresa immobiliare aveva dedotto ingenti costi fittizi per servizi di pulizia fatturati da una ditta individuale il cui titolare era anche dipendente della stessa impresa. La Corte ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva ignorato gli indizi, ribadendo che in tali circostanze l’onere di provare l’effettività dell’operazione ricade sul contribuente.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Fittizi: Perché la Sola Contabilità Regolare Non Basta a Provare la Deducibilità

Una contabilità impeccabile può salvare un’azienda da un accertamento fiscale? Non sempre, specialmente quando emergono sospetti su costi fittizi. Con la recente ordinanza n. 9664 del 10 aprile 2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: di fronte a un solido quadro indiziario presentato dall’Amministrazione Finanziaria, la regolarità formale delle scritture contabili non è sufficiente. L’onere di dimostrare la realtà delle operazioni si sposta interamente sul contribuente. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti: Un Semplice Fornitore o un Complesso Schema?

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società immobiliare. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi per oltre 590.000 euro e la relativa detrazione IVA per servizi di pulizia. Le fatture provenivano da una ditta individuale che, secondo il Fisco, presentava diverse anomalie.

L’Ufficio aveva infatti raccolto una serie di indizi allarmanti:

1. Sproporzione: L’importo complessivo fatturato dalla ditta individuale era considerato eccessivo rispetto alla sua capacità organizzativa.
2. Doppio Ruolo: Il titolare della ditta fornitrice risultava essere, nello stesso anno, anche un collaboratore coordinato e continuativo della società immobiliare, percependo per tale rapporto una retribuzione minima.
3. Flussi Finanziari Sospetti: Lo stesso fornitore aveva ricevuto, a sua volta, fatture per servizi analoghi e per importi simili, suggerendo un possibile meccanismo di ‘cartiera’.

Nonostante questo quadro, la Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente accolto il ricorso dell’azienda, ritenendo sufficiente la regolare contabilizzazione delle fatture. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione: I costi fittizi smascherati dalle presunzioni

La Suprema Corte ha accolto pienamente le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza precedente e rinviando il caso a un nuovo esame. Il ragionamento dei giudici si fonda su principi consolidati in materia di prova nell’accertamento tributario.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha chiarito che l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente utilizzare l’accertamento analitico-induttivo. Questo strumento permette di superare le risultanze di una contabilità formalmente corretta quando, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, si ritiene che il reddito dichiarato non sia veritiero. L’annotazione di fatture per operazioni inesistenti è proprio una delle ipotesi classiche in cui tale metodo trova applicazione.

Secondo i giudici, il tribunale di merito ha commesso un errore fondamentale: ha ignorato completamente il quadro indiziario costruito dall’Ufficio. La sproporzione degli importi, la scarsa qualificazione dei servizi e, soprattutto, il conflitto di interessi del fornitore (che era al contempo dipendente della società cliente) erano elementi che non potevano essere trascurati. Questi indizi, nel loro insieme, costituivano una prova presuntiva sufficiente a far dubitare della realtà dei costi.

Di conseguenza, l’onere della prova si era spostato. Non era più l’Ufficio a dover dimostrare l’inesistenza dei costi, ma il contribuente a dover provare, con elementi concreti e oggettivi, che le prestazioni erano state effettivamente eseguite e che erano inerenti all’attività d’impresa. La sola registrazione delle fatture, in un simile contesto, è un atto neutro e insufficiente a fornire tale prova.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Aziende

Questa ordinanza è un monito importante per tutte le imprese. La gestione contabile deve essere non solo formalmente corretta, ma anche sostanzialmente veritiera. La decisione evidenzia che il Fisco ha il potere di andare oltre la carta e analizzare la congruità e la logica economica delle operazioni. Per difendersi da contestazioni su costi fittizi, le aziende devono essere in grado di fornire documentazione robusta che attesti la realtà delle prestazioni ricevute (contratti dettagliati, report di attività, prove di pagamento tracciabili, corrispondenza). Affidarsi esclusivamente alla fattura e alla sua registrazione contabile è un approccio rischioso che, come dimostra questo caso, può non superare il vaglio dei giudici.

Una contabilità formalmente corretta è sufficiente per garantire la deducibilità dei costi?
No. Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che suggeriscono l’inesistenza o la non inerenza dei costi, la sola regolarità formale delle scritture contabili non è sufficiente a provarne la deducibilità.

In caso di contestazione di costi fittizi, su chi ricade l’onere della prova?
Inizialmente l’onere di provare i fatti spetta all’Ufficio Fiscale. Tuttavia, se questo fornisce un quadro indiziario solido (presunzioni gravi, precise e concordanti), l’onere della prova si inverte e spetta al contribuente dimostrare con prove concrete l’effettiva esistenza e inerenza delle operazioni contestate.

L’Amministrazione Finanziaria può valutare la congruità dei costi di un’impresa?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che rientra nei poteri dell’Amministrazione Finanziaria la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio, anche in assenza di irregolarità contabili, potendo negare la deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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