Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20456 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20456 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 20423/2022 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Seriate (BG), alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzi p.e.c. dei difensori : ‘ EMAIL e
‘ EMAIL );
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-controricorrente –
n. 20423/2022 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
Diniego rimborso
IVA
Costi fideiussione.
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 157/2022, pubblicata il 21 gennaio 2022;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto, si osserva che, in data 28 dicembre 2018, la società RAGIONE_SOCIALE presentava istanza di rimborso ai sensi dell’art. 8, comma 4, l. n. 212 del 2000, chiedendo la restituzione degli oneri sostenuti per la fideiussione presentata, ex art. 38-bis, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, al fine di ottenere il rimborso del credito IVA maturato nell’anno di imposta 2011, per un importo complessivo pari a €. 101.198,82 (euro centounomilacentonovantotto/82).
In mancanza di riscontro da parte dell’amministrazione finanziaria nel termine di novanta giorni, la contribuente impugnava il silenzio-rifiuto ai sensi dell’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992, dinanzi alla Commissione Provinciale di Milano, che, con sentenza n. 2358/12/2020, del 10 novembre 2020, dichiarava inammissibile il ricorso della contribuente, affermando che: « qualora l’Amministrazione interrompa, anche dopo il formarsi del silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso del contribuente la propria inerzia, notificando a quest’ultimo un provvedimento di rigetto, anche parziale, dalla data di tale notificazione inizia a decorrere il termine decadenziale per l’impugnazione dell’atto esplicito di rigetto, ex artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, dovendosi, pertanto, escludere che il contribuente possa proseguire la controversia giù introdotta con l’impugnazione del silenzio rifiuto. (Sez. 5, Ordinanza n. 9842 del 20/04/2018). (…) Nel caso in esame l’Agenzia delle Entrate ha documentato che in data 2 maggio 2019 ha notificato alla ricorrente provvedimento espresso di diniego del rimborso, la Commissione Provinciale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in quanto ciononostante la ricorrente, anziché impugnare il diniego espresso di rimborso nei termini di legge, ha atteso il 30 ottobre 2019 per spedire un ricorso (inammissibile) contro il silenzio rifiuto, superato dal provvedimento espresso di diniego di rimborso ».
2.- La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, investita dall’appello proposto dalla contribuente, lo respingeva con la sentenza
oggetto dell’odierna impugnazione, affermando che: « L’appello in esame è infondato. 3.1 È innanzitutto, del tutto corretto quanto eccepito dall’Ufficio in merito all’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dalla contribuente visto che, per autorevole e condivisibile giurisprudenza di legittimità, l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione (v. Cass. N. 21260/2016); che, nel caso di specie, la contribuente non era pertanto legittimata a eccepire in appello il difetto di giurisdizione del giudice adito; che non è rilevante quanto statuito dalla Suprema Corte nella sentenza menzionata dall’appellante; che, infatti, in tale pronuncia non veniva assunta alcuna espressa statuizione sul difetto di giurisdizione del giudice tributario precedentemente adito dalla parte; che, in ogni caso, l’appellante, pur conoscendo tale pronuncia già nel corso del giudizio di primo grado, non proponeva regolamento di giurisdizione nè presentava contestuale ricorso presso il giudice ordinario. 3.2 Nel merito la sentenza impugnata è del tutto corretta e condivisibile visto che la contribuente sosteneva per la prima volta nell’odierno giudizio l’asserita inesistenza dell’atto di diniego emesso dall’Ufficio, in violazione di quanto previsto dall’ar t. 57 D.lgs. n.546/1992 e che, in ogni caso, in assenza di espressa previsione normativa nemmeno dedotta dall’appellante -l’Ufficio, al momento dell’adozione dell’atto di diniego, non era decaduto dal proprio potere di statuire sulla richiesta di rimborso già presentata dalla contribuente. Quanto eccepito sul punto dalla contribuente è, pertanto, infondato visto che, costante giurisprudenza di legittimità, in tema di contenzioso tributario, qualora l’Amministrazione interrompa, anche dopo il formarsi del silenzio rifiuto sull’istanza di rimb orso del contribuente, la propria inerzia, notificando a quest’ultimo un provvedimento di rigetto, anche parziale, dalla data di tale notificazione inizia a decorrere il termine decadenziale per l’impugnazione dell’atto esplicito di rigetto, ex artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, dovendosi, pertanto, escludere che il contribuente possa proseguire la controversia già introdotta con l’impugnazione del silenzio rifiuto (v. Cass. N. 9842/2018); che, nel caso di specie i primi giudici non ritenevano la tardività del ricorso proposto dalla
contribuente avendo evidenziato, in conformità con l’indirizzo giurisprudenziale appena esposto, che il ricorso da lei presentato nei confronti del silenzio rigetto dell’Ufficio non poteva essere proseguito alla luce della sopravvenuta emissione di un diniego espresso; che, come correttamente rilevato dall’Ufficio – alle cui motivazione si rimanda – il diniego emesso dall’ Ufficio è un atto del tutto valido, esistente efficace, ex. artt.19 e ss. DLG 546/1992; che, come correttamente ritenuto dai primi giudi ci, la contribuente aveva l’onere di impugnare tempestivamente l’atto di diniego espresso; che è irrilevante quanto dedotto dalla appellante circa la natura della sentenza richiesta (dichiarativa e non costitutiva) trattandosi comunque di domanda volta a contrastare quanto ritenuto dall’Ufficio circa la infondatezza della domanda di rimborso avanzata da IVS, le cui motivazioni venivano chiaramente espresse nell’atto di diniego espresso, unico atto che andava validamente impugnato dalla contribuente. ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , la contribuente RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4.L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 1), c.p.c., il difetto di giurisdizione del giudice tributario.
Sostiene, al riguardo, che il presente giudizio ha ad oggetto la richiesta di rimborso dei costi da essa sostenuti per ottenere il rilascio di una garanzia fideiussoria (prestata in favore dell’Agenzia delle Entrate) richiesta dalla Legge al fine di ottenere il rimborso di un credito IVA.
Evidenzia, inoltre, che tali costi non avrebbero natura tributaria, né tanto meno natura di sanzioni e, dunque, non risulterebbero accessori al tributo.
Evidenzia, altresì, di essersi rivolta originariamente al giudice tributario solo ed esclusivamente perché con sentenza n. 19751 del 28 agosto 2013, la Corte di cassazione aveva ritenuto sussistente tale rapporto di accessorietà, affermando quindi la giurisdizione del giudice tributario nelle controversie aventi ad oggetto il rimborso dei costi sostenuti per le fideiussioni concesse al fine di ottenere il rimborso dei crediti IVA.
Nondimeno, successivamente con l’ ordinanza n. 5508 del 28 febbraio 2020, questa Corte regolatrice avrebbe radicalmente mutato il proprio orientamento sul punto, negando che i costi in questione possano considerarsi accessori al tributo: e ciò, anche con riguardo alla polizza fideiussoria prevista dall’art. 38 -bis d.P.R. n. 633 del 1972, la cui funzione, secondo il predetto arresto giurisprudenziale, « non sta nella sostituzione e garanzia del versamento dell’imposta, bensì nel rimettere le parti nella posizione anteriore al rimborso : non vi è quindi accessorietà della polizza fideiussoria rispetto al rapporto di imposta ».
Pertanto, sarebbe da ritenersi superato « l’orientamento espresso con la sentenza n. 19751/2013 che aveva configurato i costi sostenuti per l’ottenimento della polizza fideiussoria come accessori relativi a una controversia tributaria ».
2.- La censura è infondata.
Ed invero, questa Corte regolatrice, ha recentemente chiarito, con pronuncia che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità, che « La domanda di restituzione dei costi delle fideiussioni prestate in relazione a giudizi incardinati avverso pretese fiscali e definiti in senso favorevole al contribuente appartiene alla giurisdizione del giudice tributario, perché non viene in discussione il rapporto di garanzia, come tale soggetto alla cognizione del giudice ordinario, bensì il costo accessorio alla definizione giudiziaria del rapporto di credito tributario, devoluto alla relativa giurisdizione, anche in coerenza con il principio di concentrazione delle tutele di cui è espressione l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992. » (Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 33473 del 19 dicembre 2024, Rv. 67314501).
In particolare, nella motivazione dell’arresto giurisprudenziale appena menzionato, si legge che: « questa Corte (Cass., 28/08/2013, n. 19751), ha chiarito che il diritto alla restituzione dei costi della fideiussione, prestata in relazione a giudizi incardinati avverso pretese fiscali e definiti in senso favorevole al contribuente, non perde il suo collegamento con la controversia tributaria «tanto in considerazione del sistema normativo in cui la prestazione della garanzia si inserisce…essendo destinata ad assicurare il credito tributario “successivamente” accertato dall’Erario, quanto in considerazione della giurisprudenza di questa Corte –
concernente il rimborso di imposte indebite- secondo cui va ravvisata la giurisdizione del giudice tributario in ordine al diritto alla restituzione di somme ritenute indebite, tutte le volte in cui le stesse “siano state versate per uno dei titoli indicati nell’art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 … in mancanza del riconoscimento da parte dell’amministrazione dell’obbligo di rimborso e dell’entità dello stesso, non potendosi ritenere tale mancanza superata dalla…sentenza di annullamento , che costituisce solo titolo per fondare la pretesa di restituzione e non già titolo giudiziario per ottenerla” (cfr. Cass. SU Sentenza n. 24774 del 08/10/2008…)» ; l’arresto ha proseguito chiarendo che «la giurisdizione tributaria in materia di rimborso dei costi sostenuti dal contribuente per la prestazione delle garanzie richieste dalla disciplina normativa sui rimborsi del credito d’imposta è stata esplicitamente affermata da questa Corte a SS.UU. con la sentenza 16.6.2010 n. 14499 che ha esaminato il caso in cui il contribuente, conseguito l’annullamento dell’avviso di accertamento con il quale veniva preteso un maggior debito IRPEF con corrispondente recupero del credito d’imposta (relativo all’anno 1992), aveva quindi agito, con separata domanda, per ottenere la condanna della PA al pagamento degli interessi di mora sul predetto credito d’imposta (che era stato rimborsato in ritardo), del risarcimento del maggior danno ex art. 1224, secondo comma cod. civ., nonché la refusione dell’importo pagato per la prestazione di una cauzione senza la quale non gli sarebbe stato effettuato il rimborso di altro credito d’imposta relativo al diverso anno d’imposta 1994. La Corte ha dichiarato la giurisdizione tributaria statuendo che “in base al principio della concentrazione della tutela le Commissioni Tributarie possono riconoscere al contribuente non soltanto il rimborso delle imposte indebitamente versate, ma pure gli accessori come gli interessi ovvero il maggior danno o l’importo eventualmente pagato per la prestazioni di cauzioni non dovute”»; in altri termini, non viene in discussione il rapporto di garanzia, come tale soggetto alla cognizione del giudice ordinario, bensì il costo accessorio alla definizione infine giudiziaria del rapporto di credito tributario, come tale soggetto alla relativa giurisdizione, anche in coerenza al principio di concentrazione delle tutele di cui costituisce espressione l ‘art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992; è questa la ragione per la
quale … non è pertinente il richiamo fatto in ricorso al precedente di Cass., 28/02/2020, n. 5508, in cui è stato affermato il diverso principio (successivamente ribadito dalla nomofilachia conforme) per cui la polizza fideiussoria di cui all’art. 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, avendo la funzione di porre le parti nella posizione anteriore al rimborso e non quella di sostituire e garantire il versamento d’imposta, non è accessoria, ma autonoma rispetto al rapporto d’imposta, sicché alla relativa azione di rimborso non si applica il termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto riferito al richiamato art. 19 e, quindi, alla restituzione di tributi e di sanzioni ».
Peraltro, non è chi non veda come, oltre all’infondatezza di cui si è appena dato conto, il primo motivo di ricorso esibisca altresì un profilo d’inammissibilità, stante il consolidato principio secondo cui « L’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione. » (Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 21260 del 20 ottobre 2016, Rv. 641347-01; conf. Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 1309 del 19 gennaio 2007, Rv. 64200101; Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 22439 del 24 settembre 2018, Rv. 650463-01). Al riguardo preme sottolineare che la ratio alla base della pronuncia di cui alla citata massima non è tanto e, sicuramente, non solo, «quella di evitare che l’attore possa agire in modo contraddittorio e opportunistico contestando quella giurisdizione che egli stesso aveva scelto in prima battuta, perché insoddisfatto della decisione di merito» (come sostiene la ricorrente alle pag. pagg. 9 e 10 del ricorso sulla base di quanto si legge al p. 11.1, pag. 18, della sentenza delle Sezioni unite n. 21260/2016), quanto piuttosto e principalmente per l’assenza di soccombenza dell’attore (p. 10.4 della sente nza in esame).
3.- Con il secondo motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992.
Sostiene, al riguardo che, diversamente da quanto affermato dalla CTR , già in primo grado sarebbe stata evidenziata l’insussistenza di un atto di diniego di rimborso nonché il fatto che quello notificato in data 2
maggio 2019, non era atto impugnabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992.
4.- Anche tale censura presenta profili sia di infondatezza che di inammissibilità.
Ed invero, quanto alla sua infondatezza, è la stessa contribuente ad aver ammesso, nel proprio ricorso introduttivo del presente giudizio, che la questione dell’inesistenza dell’atto di diniego notificato in data 2 maggio 2019 (che la CTR sostiene, richiamando Cass. n. 9842/2018, che dovesse essere impugnato nei termini di cui agli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992), era stata sollevata non già con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ma soltanto – e, dunque, in maniera tardiva – con una successiva memoria depositata nell’ambito di tale giudizio (cfr., all’uopo, quanto evidenziato alle pagg. 14-15 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità). Del resto, è appena il caso di evidenziare come la questione risultasse senz’altro suscettibile di essere dedotta mediante il ricorso di primo grado, atteso che il silenzio-rifiuto si era formato in data 29 marzo 2019, mentre il provvedimento di diniego era stato notificato il 2 maggio 2019 e, dunque, senz’altro prima della scadenza del termine di sessanta giorni per l’impugnazione del silenzio-rifiuto esperita dalla contribuente.
Infine, quanto al profilo d’inammissibilità della censura, non è chi non veda come essa non attinga entrambe le rationes decidendi su cui è fondata la sentenza impugnata.
La CTR, infatti, oltre ad aver affermato la tardività ex art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, ha, in ogni caso, chiarito che quello notificato in data 2 maggio 2019 era senz’altro un diniego di rimborso in senso tecnico e che la contribuente aveva l’onere di impugnarlo.
5.- Con il terzo motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 546 del 1992.
Sostiene, al riguardo, che, diversamente da quanto affermato dalla CTR, il provvedimento del 2 maggio 2019 non potrebbe essere qualificato come diniego di rimborso impugnabile ex art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992.
E ciò, in quanto i costi sostenuti per ottenere le fideiussioni non avrebbero la natura di accessori ad un tributo (in questo caso
rappresentato dall’IVA chiesta a rimborso) e , conseguentemente, la comunicazione della Direzione Regionale pervenuta in data 2 maggio 2009 non poteva avere la dignità, né sotto il profilo formale né dal punto di vista sostanziale, di provvedimento impugnabile ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g) d.lgs. n. 546 del 1992, non trattandosi, con ogni evidenza, di un rifiuto espresso concernente la restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti.
Si sarebbe trattato, invece, di un documento nel quale l’ amministrazione finanziaria esponeva le ragioni per le quali riteneva di non essere obbligata a restituire alla contribuente i costi dalla stessa sostenuti per ottenere il rilascio delle fideiussioni, ma non certo di un provvedimento amministrativo autonomamente impugnabile.
6.- La censura è infondata.
Ed invero, una volta acclarata la sussistenza del principio secondo cui il giudice tributario può riconoscere al contribuente non soltanto il rimborso delle imposte indebitamente versate, ma pure gli accessori come gli interessi ovvero il maggior danno o l’importo eventualmente pagato per la prestazioni di cauzioni non dovute (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 33473 del 19 dicembre 2024, Rv. 673145-01), non è chi non veda come il provvedimento di espresso diniego, opposto dall’amministrazione finanziaria avverso una richiesta di rimborso di oneri sostenuti per una fideiussione presentata, ex art. 38-bis, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, sia senz’altro impugnabile, conformemente a quanto previsto dall’art. 19, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 546 del 1992 (cfr., altresì, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 22453 del 18 luglio 2022, Rv. 665278-01, secondo cui « Nel giudizio tributario, costituisce atto autonomamente impugnabile, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il diniego di rimborso che non sia meramente confermativo di un precedente provvedimento, ma pervenga ad una conferma delle determinazioni già assunte a seguito di un supplemento istruttorio e contenga un’autonoma rivalutazione dell’istanza originaria, sulla base di un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata; ricorre, invece, un atto meramente confermativo, non autonomamente impugnabile, allorquando l’amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limiti a dichiarare l’esistenza di un precedente
provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione. »).
Nella specie, dunque, del tutto correttamente la CTR ha confermato la decisione di prime cure che aveva affermato la sussistenza, a carico della contribuente, dell’onere di procedere all’impugnazione tempestiva del provvedimento di diniego notificato in data 2 maggio 2019.
7.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni sopra sviluppate, il ricorso dev’essere senz’altro rigettato.
8.- Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
9.Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, stante la soccombenza della ricorrente, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi €. 5.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,