Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7741 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7741 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25044/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LOMBARDIA n. 1714/2023 depositata il 15/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Alla società RAGIONE_SOCIALE venivano notificati con riferimento al 2015 gli avvisi nn. T9B031500681 e T9B0E1500678,
mediante cui l’Agenzia accertava l’illegittima deduzione, ai fini IRAP e IRES, dei costi riguardanti l’attività svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE a favore della contribuente e l’indebita detrazione ai fini IVA, avuto riguardo alle medesime operazioni. Le contestazioni erariali concernevano l’indebita deduzione e la correlata indebita detrazione dei costi in parola, collegati ad un contratto di sponsorizzazione in essere con la predetta scuderia da corsa RAGIONE_SOCIALE. L’Ufficio provvedeva poi a notificare alla RAGIONE_SOCIALE, in data 10.03.2020, il questionario n. Q00301/2020 relativo al periodo di imposta 2015. All’esito dell’esame della documentazione richiesta e prodotta dalla parte, l’Agenzia rilevava che, nel periodo di imposta 2015, la Società aveva dedotto l’importo di € 655.000,00, somma versata in virtù di contratto di sponsorizzazione intervenuto tra le parti in data 08.01.2015. In base a tale accordo la RAGIONE_SOCIALE si è impegnata a versare alla RAGIONE_SOCIALE somme quale contropartita di attività di sponsorizzazione posta in essere dalla stessa scuderia. In particolare, l’impegno di quest’ultima riguardava la collocazione del marchio della RAGIONE_SOCIALE, e dei suoi principali prodotti commerciali, sulle autovetture guidate dai piloti del Team Aeffem, sulle tute da gara, sui caschi, sul bilico/motorhome adibito al trasporto delle vetture e dei materiali e nelle aree hospitality. Secondo la prospettazione erariale al fondo dei due avvisi di accertamento sopra menzionati, a fronte del su riferito contratto di sponsorizzazione RAGIONE_SOCIALE ha sostenuto costi non inerenti alla propria attività di impresa, essenzialmente in quanto detta attività è di tipo ‘ Business to Business ‘, quindi rivolta alle imprese e non ai privati consumatori, palesandosi non funzionale la veicolazione del messaggio pubblicitario attraverso gli ambienti sportivi, ed emergendo, per un verso, la non attinenza tra l’attività dello sponsor (scuderia di auto da corsa) e l’oggetto della sponsorizzazione (prodotti medicali), per altro verso, l’inesistenza
di prove concrete di un incremento del fatturato quale conseguenza della partecipazione, quale sponsor, al contesto delle corse automobilistiche, per altro verso, infine, la riconducibilità della compagine sociale delle due società agli stessi soggetti.
La CTP con sentenza n. 791/13/2022, previa riunione dei ricorsi avanzati dalla AB Medica avverso gli atti impositivi, li accoglieva.
La Corte di Giustizia Tributaria di II grado con la sentenza n. 1714/8/2023 respingeva l’appello erariale.
Il ricorso dell’Agenzia è affidato a un solo motivo. Resiste la contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c. 1, 2 cc. e dell’art. 115 c.p.c. nonché violazione dell’art. 109 c. 5 Tuir, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado applicato ‘ ai costi per la sponsorizzazione de quibus la disciplina delle spese di pubblicità (art. 109, comma 5, TUIR, disconosciuto negli avvisi opposti) anzichè quella delle spese di rappresentanza (art. 108 TUIR)’ Il motivo è infondato.
Parte ricorrente insiste nel porre in risalto, nell’ottica di contestare la deducibilità/detraibilità i seguenti aspetti: ‘ tipologia di attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, di tipo ‘Business to Business’, rivolta cioè alle imprese e non a privati consumatori ; ‘ inverosimiglianza della veicolazione del messaggio pubblicitario attraverso ambienti sportivi ‘; scarsa attinenza tra l’attività dello sponsor (scuderia di auto da corsa) e l’oggetto della sponsorizzazione (prodotti medicali) ‘; ‘ inesistenza di prove concrete in ordine ad un incremento del fatturato quale conseguenza della partecipazione, quale sponsor, alle corse automobilistiche ‘; ‘ condizione di vera e propria dipendenza economica della RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE; ‘ riconducibilità della compagine sociale delle due società agli stessi soggetti ‘.
La ricorrente soggiunge che ‘ i costi sono deducibili se inerenti, ossia se caratterizzati da un nesso funzionale rispetto all’attività di impresa svolta, da intendersi come correlazione tra componenti negativi deducibili e l’attività economica posta in essere dall’impresa, dalla quale derivano componenti positivi tassabili. La deducibilità del costo è, quindi, fiscalmente riconosciuta a condizione che lo stesso comporti utilità per l’impresa. Correlato al principio di inerenza vi è poi quello della congruità del costo sostenuto, a sua volta collegato all’economicità del comportamento del contribuente ‘; ‘ non si può assistere ad una incontrollata detrazione dell’imposta anche per quelle operazioni che non trovano alcun diretto collegamento con l’attività di impresa, benché non se ne contesti la materiale esistenza ‘; ‘ la Società non ha dimostrato l’economicità della spesa affrontata ‘.
Va precisato che, secondo questa Corte (Cass. civ., 27 aprile 2012, n. 6548), il c.d. contratto di sponsorizzazione ricomprende tutte quelle ipotesi nelle quali un soggetto (detto “sponsorizzato”) si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marchiato, o anche a tenere determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale. Da tali caratteristiche del rapporto, si evince, pertanto, che la sponsorizzazione, che, sotto il profilo concernente lo sponsorizzato, si concreta nella commercializzazione del nome e dell’immagine personale del soggetto, si traduce, al contempo, per lo sponsor, in una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio o del prodotto che si intende lanciare sul mercato. E, sotto tale profilo, deve ritenersi sussistente l’inerenza, ai fini fiscali, dei costi della sponsorizzazione all’attività di impresa, qualora lo
sponsor sia lo stesso titolare del marchio o il produttore del bene da promuovere. In siffatta ipotesi, invero, la pubblicizzazione del marchio o del prodotto si traducono in un potenziale vantaggio economico diretto per l’impresa sponsorizzante, potendone derivare, in conseguenza, un incremento della propria attività commerciale.
In tale prospettiva, va quindi precisato che questa Corte ha superato la nozione fiscale di inerenza correlata ad una valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità della spesa (ex multis, Cass. n, 10914/2015) ed ha invece affermato che, in tema di imposta sui redditi d’impresa, il principio dell’inerenza esprime la riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera ad essa estranea.
Da ciò consegue che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l’antieconomicità e l’incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27786 del 31/10/2018).
In particolare, questa Corte ha precisato che ‘ Il principio di inerenza dei costi deducibili, esprimendo una correlazione in concreto tra costi ed attività d’impresa, si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da considerazioni di natura quantitativa; l’antieconomicità di un costo -intesa come sproporzione tra la spesa e l’utilità che ne deriva, avuto riguardo agli ulteriori dati contabili dell’impresa – può, tuttavia, fungere da elemento sintomatico del difetto di inerenza, e in questo caso, ove il contribuente indichi i fatti che consentano di ricondurre il costo all’attività d’impresa, l’Amministrazione è tenuta a dimostrare, anche con il ricorso ad indizi, gli ulteriori elementi addotti in senso
contrario, evidenziando, in particolare, l’inattendibilità della condotta del contribuente ‘ (Cass. n. 33568 del 2023; Cass. n. 19232 del 2024). Questa Corte ha anche puntualizzato che mentre ” In tema di imposte dirette, l’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa ed alle scelte imprenditoriali “, invece, ” in tema di IVA, l’inerenza di un costo attinente all’attività di impresa non può essere esclusa in considerazione della mera sproporzione o incongruenza della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo ed attività d’impresa ” (Cass. civ., 17 luglio 2018, n. 18904).
Circa, in particolare, la deducibilità dei costi di sponsorizzazione, consistenti nella promozione del marchio e del prodotto che si intende lanciare sul mercato, mentre in base all’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’inerenza doveva essere valutata secondo un giudizio di carattere quantitativo, le spese di sponsorizzazione erano ritenute deducibili ove il soggetto (anche se non titolare del marchio), comunque, traeva dallo sfruttamento del segno distintivo un’utilità per il potenziale incremento della propria attività commerciale (Cass. 4518/13; 4516/13; n. 27198/2014; n. 6548/2012), alla luce del condivisibile orientamento che correla il concetto di inerenza a un giudizio di carattere qualitativo, i costi di sponsorizzazione sono deducibili dal reddito di impresa ove risultino inerenti all’attività della stessa, anche in via indiretta, potenziale o
in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità o vantaggio, potenziale incremento per l’attività imprenditoriale medesima (Cass. n. 11324 del 2022). Questa Corte ha, in particolare, affermato che ‘ In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’inerenza dei costi di sponsorizzazione rispetto all’attività di impresa va intesa in senso qualitativo, come potenziale e indiretto beneficio per l’attività imprenditoriale, e non in senso meramente quantitativo, come utilità, concreto vantaggio o futuro incremento della stessa ‘ (Cass. n. 11324 del 2022 cit.).
In quest’ottica, il giudice del gravame ha specificamente accertato, con una valutazione in fatto insuscettibile d’essere rivisitata o addirittura sovvertita in questa sede, che sussisteva una specifica correlazione fra l’utilizzo del marchio e la potenziale utilità per l’attività dell’impresa.
Secondo il prevalente orientamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 108 (ex 74, secondo comma) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Pertanto, le spese di sponsorizzazione costituiscono spese deducibili ove il soggetto, comunque, tragga dallo sfruttamento del segno distintivo un’utilità per il potenziale incremento della propria attività commerciai (Cass. n. 4518/13; 4516/13; n. 27198/2014; n. 6548/2012). Le spesa di pubblicità o propaganda hanno una finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto.
La disciplina vigente non impone ai fini della inerenza un raffronto tra costi e ricavi e appare del tutto semplicistico correlare la prova
della congruità della spesa al solo rapporto proporzionale tra i valori economici espressi nelle poste di bilancio, dovendosi l’inerenza determinare quale congruità della spesa in quanto riferibile a potenziali utilità o vantaggi futuri (ampliamento del settore di mercato; incremento della clientela; introduzione di nuovi prodotti o servizi) conseguibili dalla società.
Nella specie, la società contribuente commercia i suoi prodotti in un contesto assai ampio, il che consente di affermare che tra i destinatari del messaggio pubblicitario vi sono in linea di principio anche gli imprenditori del suo settore di riferimento. Ciò dimostra una diretta aspettativa al ritorno commerciale ragionevolmente riconducibile all’attività di una scuderia di auto da corsa, considerato anche il risalto mediatico degli eventi attraverso i sistemi di informazione. In siffatta ipotesi, è, invero, di chiara evidenza che la pubblicizzazione del marchio o del prodotto si traducono innegabilmente in un potenziale vantaggio economico diretto per l’impresa sponsorizzante, potendone derivare, in conseguenza, un incremento della propria attività commerciale (Cass. 16826/07; 4899/2012).
La Corte di Giustizia, con la pronuncia 25 novembre 2021, causa C334/20, ha d’altronde, precisato, in materia di diritto alla detrazione Iva per costi di pubblicità, che l’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che un soggetto passivo può detrarre l’imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte per servizi pubblicitari ove una siffatta prestazione di servizi costituisca un’operazione soggetta all’IVA, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2006/112, e ove essa presenti un nesso diretto e immediato con una o più operazioni imponibili a valle o con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, a titolo di sue spese generali, senza che sia necessario prendere in considerazione la
circostanza che il prezzo fatturato per i suddetti servizi sia eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall’amministrazione finanziaria nazionale o che tali servizi non abbiano dato luogo a un aumento del fatturato di detto soggetto passivo.
Il motivo è pertanto infondato con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare a lla controricorrente le spese del giudizio, che liquida in euro 10.700,00 per compensi, oltre al 15% per spese forfettarie e agli accessori di legge .
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.