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Costi di sponsorizzazione: quando sono deducibili?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6261/2025, ha rigettato il ricorso di una società contro un avviso di accertamento che negava la deducibilità di significativi costi di sponsorizzazione. La Corte ha stabilito che, per i tributi non armonizzati, il contraddittorio endoprocedimentale non è sempre obbligatorio negli accertamenti a tavolino. Per i tributi armonizzati come l’IVA, il contribuente deve fornire la ‘prova di resistenza’, dimostrando che il contraddittorio avrebbe cambiato l’esito. Sul merito, i giudici hanno confermato che la società non ha provato l’inerenza di tali costi con l’attività d’impresa, sottolineando come l’antieconomicità possa essere un sintomo della mancanza di tale requisito.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi di Sponsorizzazione: la Cassazione fissa i paletti per la deducibilità

L’ordinanza n. 6261/2025 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla deducibilità dei costi di sponsorizzazione e sugli obblighi procedurali dell’Amministrazione Finanziaria. La decisione sottolinea l’importanza per le imprese di documentare in modo rigoroso il nesso tra le spese promozionali e l’attività aziendale, specialmente quando l’onere economico appare sproporzionato.

I Fatti di Causa

Una società si opponeva a un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2009, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di ingenti costi di sponsorizzazione ai fini IRES, IRAP e IVA. La società sosteneva la nullità dell’atto per due motivi principali: la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo e la carenza di motivazione, affermando la piena congruità e inerenza dell’operazione di sponsorizzazione. Dopo la soccombenza sia in primo che in secondo grado, la società ha proposto ricorso per cassazione.

Il Contraddittorio e la Deducibilità dei Costi di Sponsorizzazione

Il ricorso della società si fondava su due pilastri. Il primo, di natura procedurale, lamentava la violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale. Secondo la ricorrente, l’accertamento, scaturito da un invito a fornire documenti, non era stato seguito dalle garanzie previste dalla legge, come il verbale di chiusura delle operazioni.
Il secondo motivo, di merito, contestava la decisione dei giudici di secondo grado di negare l’inerenza e la congruità delle spese di sponsorizzazione. La società argomentava che tali investimenti erano stati cruciali per l’espansione sui mercati esteri, come dimostrato dalla crescita del fatturato internazionale dal 15% al 50,10% tra il 2009 e il 2013.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo una motivazione articolata. Sul piano procedurale, ha distinto tra tributi “armonizzati” (IVA) e “non armonizzati” (IRES, IRAP). Per questi ultimi, ha chiarito che l’obbligo del contraddittorio non è generalizzato e non si applica automaticamente agli “accertamenti a tavolino”, come quello in esame, originato da una semplice richiesta di documenti. Per l’IVA, pur essendo un tributo armonizzato che prevede maggiori garanzie, spetta al contribuente fornire la cosiddetta “prova di resistenza”: deve cioè dimostrare concretamente quali argomenti avrebbe potuto presentare per modificare l’esito dell’accertamento. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la società non avesse adempiuto a tale onere.

Sul merito, i giudici hanno confermato la decisione dei gradi precedenti. Il principio di inerenza, hanno spiegato, richiede una correlazione concreta tra il costo e l’attività d’impresa. I costi di sponsorizzazione sono deducibili se si dimostra che sono funzionali a generare reddito, anche in via potenziale o futura. Tuttavia, nel caso specifico, i giudici di merito avevano ritenuto che tali spese non fossero inerenti, tenuto conto dell’oggetto sociale e del target di riferimento dell’azienda (altri imprenditori, non consumatori finali). La Corte ha inoltre ribadito un principio importante: sebbene l’analisi dell’inerenza sia qualitativa, una palese sproporzione tra la spesa e l’utilità attesa (antieconomicità) può fungere da “elemento sintomatico” del difetto di inerenza. Infine, la Corte ha dichiarato inammissibili le censure che miravano a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, specialmente in presenza di una “doppia conforme” (decisioni identiche nei primi due gradi di giudizio).

Le conclusioni

La pronuncia della Cassazione ribadisce la necessità per le imprese di agire con la massima prudenza e diligenza nella gestione dei costi di sponsorizzazione. Non è sufficiente sostenere una spesa; è fondamentale essere in grado di dimostrare, con prove concrete e documentazione adeguata, il suo legame diretto e funzionale con l’attività aziendale e i suoi obiettivi commerciali. La decisione serve da monito: l’onere della prova dell’inerenza ricade interamente sul contribuente, e l’apparente antieconomicità di un’operazione può essere un campanello d’allarme per l’Amministrazione Finanziaria, innescando controlli che possono portare al disconoscimento del costo.

Il contraddittorio con il Fisco è sempre obbligatorio prima di un avviso di accertamento?
No. Secondo la Corte, per i tributi “non armonizzati” (come IRES e IRAP), l’obbligo non è generalizzato e sussiste solo nei casi specificamente previsti dalla legge, escludendo tendenzialmente gli “accertamenti a tavolino”. Per i tributi “armonizzati” (come l’IVA), il contribuente deve comunque dimostrare che il dialogo avrebbe cambiato l’esito dell’accertamento (c.d. prova di resistenza).

Come si dimostra l’inerenza dei costi di sponsorizzazione per poterli dedurre?
Bisogna provare che la spesa è collegata all’attività d’impresa e finalizzata a generare reddito, anche in modo indiretto o futuro. È necessario dimostrare che l’operazione è coerente con l’oggetto sociale e il target aziendale. L’onere della prova è a carico del contribuente.

Una spesa palesemente sproporzionata (antieconomica) può essere considerata non deducibile?
Sì. Sebbene il Fisco non possa giudicare l’utilità di una scelta imprenditoriale, la Corte afferma che una forte sproporzione tra il costo sostenuto e l’utilità che ne deriva può essere un “elemento sintomatico” della mancanza del requisito di inerenza, giustificando il disconoscimento della deducibilità del costo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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