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Costi di sponsorizzazione: deducibilità e onere prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32844/2024, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la deducibilità dei costi di sponsorizzazione sostenuti da una società. La Corte ha chiarito che, sebbene la legge presuma che tali spese siano di pubblicità, spetta al giudice di merito valutarne l’effettiva esistenza e l’inerenza. In questo caso, prove come fotografie e una precedente assoluzione penale sono state ritenute sufficienti a dimostrare la realtà dell’operazione, rendendo la valutazione del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi di Sponsorizzazione: Quando Sono Deducibili? La Cassazione Chiarisce

I costi di sponsorizzazione rappresentano uno strumento fondamentale per le imprese che vogliono aumentare la propria visibilità. Tuttavia, la loro deducibilità fiscale è spesso oggetto di contenzioso con l’Amministrazione Finanziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti su quale sia l’onere della prova a carico del contribuente e sui limiti del sindacato del giudice di legittimità.

I Fatti di Causa

Una società in nome collettivo e i suoi soci si vedevano recapitare una serie di avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’accusa era di aver dedotto costi fittizi derivanti da fatture per operazioni inesistenti, specificamente legate a spese di sponsorizzazione a favore di un’associazione sportiva. Secondo il Fisco, tali costi non erano inerenti all’attività d’impresa e miravano unicamente a ridurre l’imponibile.

I contribuenti impugnavano gli atti dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che accoglieva i loro ricorsi. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, ma la Commissione Tributaria Regionale confermava la decisione di primo grado, ritenendo provata l’effettività delle prestazioni di sponsorizzazione.

Non soddisfatta, l’Agenzia ricorreva per cassazione, basando le proprie doglianze su due motivi principali.

Analisi dei motivi di ricorso sui costi di sponsorizzazione

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate si fondava su due argomentazioni distinte, una di merito e una di carattere procedurale.

L’onere della prova e l’inerenza dei costi

Il motivo principale, esaminato per primo dalla Corte per la sua potenziale capacità di definire la controversia, riguardava la presunta violazione delle norme sulla deducibilità dei costi (artt. 108 e 109 TUIR) e della disciplina sulle sponsorizzazioni sportive (art. 90, L. 289/2002).
L’Agenzia sosteneva che, sebbene la legge qualifichi ex lege come spese di pubblicità i costi di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche (fino a 200.000 euro), ciò non esonera il contribuente dal dimostrare il requisito dell’inerenza. A suo avviso, la società non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare la correlazione tra le spese sostenute e un effettivo ritorno commerciale. L’esposizione di un semplice cartellone pubblicitario non sarebbe stata, da sola, una prova adeguata.

Il vizio di motivazione degli atti impositivi

Il secondo motivo, di natura procedurale, lamentava che gli avvisi di accertamento notificati ai soci erano stati annullati perché non riportavano, neanche in estratto, il processo verbale di constatazione (PVC) su cui si fondava la pretesa fiscale, limitandosi a richiamarlo.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’Agenzia. Per quanto riguarda il motivo principale sui costi di sponsorizzazione, la Corte ha stabilito che la valutazione della Commissione Tributaria Regionale era incensurabile in sede di legittimità. I giudici d’appello avevano infatti compiuto un’analisi di merito, basata su prove concrete come fotografie prodotte agli atti e persino una sentenza penale di assoluzione che confermava la realtà dei costi.

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione dell’esistenza e dell’inerenza di un costo costituisce un giudizio di fatto, che è di competenza esclusiva dei giudici di merito (primo e secondo grado). La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici d’appello, a meno che la motivazione di questi ultimi non sia palesemente illogica, contraddittoria o insufficiente. In questo caso, la C.T.R. aveva fornito una motivazione congrua e sufficiente, ancorata alle prove documentali.

Relativamente al secondo motivo, quello procedurale, la Corte lo ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse. Poiché il motivo di merito era stato respinto, e quindi la pretesa fiscale era stata annullata nel suo fondamento, l’Agenzia non aveva più alcun interesse a far valere un vizio formale degli atti impositivi. Anche se tale motivo fosse stato accolto, infatti, l’annullamento nel merito sarebbe rimasto valido.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un importante principio in materia di deducibilità dei costi di sponsorizzazione. Se da un lato la legge offre una presunzione legale sulla natura pubblicitaria di tali spese, il contribuente deve sempre essere pronto a dimostrare con prove concrete che l’operazione non è fittizia ma reale e collegata all’attività d’impresa. Fotografie, contratti, e persino l’esito favorevole di procedimenti penali possono essere elementi decisivi. La decisione sottolinea inoltre la netta distinzione tra il giudizio di merito, che valuta i fatti e le prove, e il giudizio di legittimità, che si limita al controllo sulla corretta applicazione della legge.

Le spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive sono sempre deducibili?
No. Sebbene la legge le qualifichi come spese pubblicitarie fino a un limite di 200.000 euro, il contribuente deve essere in grado di dimostrare l’inerenza del costo, ovvero che la spesa è stata effettivamente sostenuta e che è correlata all’attività d’impresa al fine di generare benefici economici.

Quali prove possono essere usate per dimostrare la realtà di un costo di sponsorizzazione?
La sentenza evidenzia che prove concrete come fotografie che attestano l’esposizione di un marchio o di un cartellone pubblicitario, unitamente ad altri elementi come una sentenza di assoluzione in un procedimento penale sulla stessa materia, costituiscono elementi sufficienti che il giudice di merito può valutare per ritenere provata l’effettività del costo.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove per decidere se un costo è inerente?
No, di regola la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove. La valutazione dell’esistenza e dell’inerenza di un costo è un ‘giudizio di fatto’, riservato ai giudici di primo e secondo grado. La Corte può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica, contraddittoria o carente, non per offrire una diversa valutazione delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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