Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4929 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4929 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
Oggetto:
accertamento
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inerenza dei costi – prova scelte del contribuente sindacato dell’Ufficio
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ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10715/2024 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-ricorrente – contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME Studio legale associato in persona del suo legale rappresentante pro tempore, da NOME COGNOME, in proprio e in qualità di socio del predetto studio, da NOME COGNOME in proprio e in qualità di socio del predetto studio tutti difesi e rappresentati nel presente giudizio dall’avv. NOME COGNOME di Vimercate in forza di procura speciale in atti (PEC:
EMAIL)
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria n. 256/03/2023 depositata in data 04/04/2023, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-lo Studio Legale RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME e i suoi componenti avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrevano avverso gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Genova, relativi all’anno 2013. In particolare, l’avviso di accertamento riguardante lo Studio Associato riguardava il trattamento fiscale degli immobili strumentali e conduceva al recupero a tassazione di canoni di locazione e spese di registro dedotti in relazione all’immobile, sito in Genova, alla INDIRIZZO, in cui lo studio svolgeva la propria attività in ragione di un contratto di locazione finanziaria con la società RAGIONE_SOCIALE; inoltre, l’Ufficio constatava che lo studio Associato aveva sostenuto ed integralmente dedotto spese di funzionamento, senza provvedere a riaddebitare agli altri professionisti/collaboratori quota parte delle ‘spese comuni’, interamente sostenute e dedotte, facendole interamente concorrere alla determinazione del proprio reddito di lavoro autonomo;
-ancora, quanto all’IRAP l’Amministrazione Finanziaria riteneva che lo studio fosse assoggettabile ad IRAP, ai sensi degli artt. 2 e 3 del d. Lgs. n. 446 del 1997, stante l’ammontare elevato dei compensi, nonché la riscontrata esistenza di un’autonoma organizzazione a supporto, quali collaboratori e tirocinanti;
la CTP accoglieva in parte il ricorso;
-appellavano detta pronuncia sia l’Ufficio riguardo ai capi della sentenza che l’avevano visto soccombente sia contribuenti, i quali, specularmente, proponevano appello incidentale;
con la sentenza qui impugnata, il giudice di secondo grado ha respinto l’appello dell’Ufficio e accolto gli appelli incidentali dei contribuenti;
-ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a quattro motivi;
resistono i contribuenti con unico controricorso;
Considerato che:
va preliminarmente trattato, in quanto relativo al procedimento che ha preceduto la formazione dell’atto impugnato, il terzo motivo di ricorso;
-la censura in argomento si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento alla presunta violazione del contraddittorio endoprocedimentale; secondo pare ricorrente i giudici di secondo grado hanno illegittimamente ritenuto che non sia stata concessa ai contribuenti la possibilità di prospettare, in concreto, le ragioni che avrebbero potuto far valere dimostrando la fondatezza della propria tesi;
il motivo è fondato;
è incontroverso che in data 21 aprile 2017, sia stato redatto il processo verbale di constatazione da parte della Guardia di Finanza -Nucleo Polizia Tributaria Genova nei confronti dello RAGIONE_SOCIALE, per il periodo dal 1 gennaio 2012 al 14 febbraio 2017, a seguito del quale, in data 20 giugno 2017, sono state presentate dai contribuenti osservazioni, ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge 212/2000, sia in merito all’utilizzo dell’immobile bene strumentale che al riaddebito dei costi; l’avviso di accertamento impugnato risulta notificato nel dicembre 2017;
va in primo luogo osservato, allora, che nel termine di giorni sessanta dalla notifica del PVC, i contribuenti hanno avuto modo -e vi hanno provveduto -di far pervenire le osservazioni in atti, osservazioni riprodotte a questa Corte nel rispetto del canone di
specificità e localizzazione; ritenere quindi, come ha ritenuto la sentenza impugnata, che ‘nella fattispecie non è stata concessa ai contribuenti la possibilità di prospettare, in concreto, le ragioni che avrebbero potuto far valere dimostrando la fondatezza della propria tesi’ è affermazione che urta contro le risultanze del processo e contro la corretta interpretazione dell’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000, che è stata nella fattispecie del tutto rispettata da parte dell’Ufficio, avendo esso atteso la presentazione delle osservazioni al PVC prima di notificare gli avvisi di accertamento;
per vero il motivo, nel suo concreto contenuto censorio, si appunta in realtà sull’avere la sentenza di merito erroneamente, secondo il ricorrente, ritenuto dovere dell’Ufficio quello di dar conto in motivazione delle ragioni poste a base della mancata condivisione da parte dell’Amministrazioni delle ragioni illustrate dal contribuente;
-e tale censura risulta fondata, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ‘in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo’ (così Cass., n. 8378 del 31 marzo 2017; n. 3583 del 24 febbraio 2016; conf. Cass. n. 19951 del 21 giugno 2022);
-tornando al primo motivo di ricorso, riprendendo quindi l’esame delle doglienze secondo l’ordine delle censure proposte da parte ricorrente, rileva il Collegio che esso deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento all’inerenza dei costi oggetto di recupero a tassazione dell’Ufficio; secondo parte ricorrente i Giudici di secondo
grado, in relazione al rilievo relativo all’indeducibilità dei canoni di locazione per € 41.385,35, quali componenti negativi del reddito di lavoro autonomo per l’anno 2013, concernenti il canone di locazione annuo pagato per il suddetto immobile, hanno illegittimamente ritenuto sussistente l’inerenza del costo sostenuto nell’anno 2013; si sostiene che la società RAGIONE_SOCIALE, dalla quale i contribuenti hanno avuto in locazione il bene locato, con un costo spalmato su venti anni di € 2.042.936,00, ha acquistato e ristrutturato l’immobile oggetto della locazione, mentre lo RAGIONE_SOCIALE ha sopportato (e continua a sopportare) un costo di locazione nei vent’anni ai canoni di locazione fino a oggi conosciuti (€ 144.000,00 fino al 2014 ed € 132.000,00 dal 2015), potenzialmente molto più alto e, al termine del periodo, risulterà proprietario di nulla;
-secondo l’Amministrazione finanziaria appare dunque illogico che lo studio sostenga un costo per la sola locazione notevolmente più elevato di quello che avrebbe potuto sostenere acquistando direttamente l’immobile. Tale condotta antieconomica dell’attività imprenditoriale non è stata giustificata dalla controparte, né dai Giudici nella sentenza impugnata;
il motivo è infondato;
la censura, per come nel concreto articolata, pone in discussione le scelte dei contribuenti che, quanto alla disponibilità da loro acquisita del bene oggetto di locazione, hanno preferito la formula contrattuale della locazione rispetto ad altra formula contrattuale, quale il contratto di leasing immobiliare;
invero, per quanto la titolarità e gestione della RAGIONE_SOCIALE risalga ad uno dei contribuenti, va ricordato che l’Ufficio non ha mai fatto questione in ordine alla effettività della società stessa, limitandosi a contestare l’inerenza dei costi sopportati dallo studio associato;
neppure poi tale effettività poteva porsi in dubbio, alla luce del fatto che detta società esercitava la propria attività anche nei confronti di altri soggetti, oltre allo studio legale associato COGNOME;
-orbene, fermo restando che l’inerenza è il rapporto tra il costo e l’attività professionale e la sua esistenza o meno va valutata principalmente sotto il profilo qualitativo, nondimeno il sindacato sull’esistenza di tale requisito per gli elementi negativi (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2224 del 2 febbraio 2021; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12846 del 22 aprile 2022) ai fini della loro deducibilità, non può interferire nel campo delle scelte imprenditoriali, a meno che la sproporzione tra prestazioni non sia rilevante ed evidente “ictu oculi”;
-infatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18904 del 17 luglio 2018) l’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa ed alle scelte imprenditoriali;
nel presente caso, la CTR ha ben chiaramente puntualizzato in primo luogo come ‘d’altro canto il parziale riconoscimento del costo, anche se in misura percentuale, da parte dell’Ufficio consente di ritenere provata la sua inerenza, trattandosi, appunto, degli stessi costi relativi alla locazione degli uffici dove viene svolta l’attività professionale dello Studio legale degli Avv.ti COGNOME;
quindi, da un lato essa ha accertato il collegamento del costo con l’attività professionale (si tratta di costi per la locazione di un bene ove è situato lo studio degli avvocati contribuenti), riconosciuto anche dall’Ufficio che non ha disconosciuto detto legame (tanto che esso ha comunque riconosciuto in parte la deducibilità del costo); dall’altro ha rilevato come ‘quanto alle modalità di acquisto dell’immobile vi è
libera scelta per le parti di optare legittimamente per uno o altro strumento contrattuale’;
nel concreto, quindi, la CTR ha escluso la sindacabilità da parte dell’Ufficio della scelta dei contribuenti quanto alle modalità contrattuali con le quali rendersi titolari del bene oggetto del costo, scrivendo che ‘nel caso di specie era più utile alla Società stipulare il leasing per poter dedurre i relativi canoni per un periodo di 12 anni, mentre non poteva esserlo per lo Studio Legale che non avrebbe potuto usufruire di tale beneficio fiscale ed inoltre non avrebbe giovato alle specifiche finalità perseguite dallo studio professionale, certamente diverse, rispetto ad una società che opera nel settore immobiliare’;
così argomentando, il giudice del merito ha esaminato i fatti di causa sussumendoli nel contesto normativo, senza giustamente porre alla base della propria valutazione, come pretende l’Ufficio, il solo mero vantaggio che poteva derivare o anche che è in concreto derivato ai contribuenti in forza di una determinata scelta o di un’altra, entrambe consentite dall’ordinamento in assenza di qualsiasi contestazione in ordine alla natura evasiva o elusiva della complessiva operazione che ha visto per protagonista anche la società RAGIONE_SOCIALE;
tale valutazione in ordine al vantaggio, infatti, non può tenere da conto (come sostiene in sostanza l’Agenzia delle Entrate) solo la circostanza relativa al mancato acquisto dell’immobile (che sarebbe invece avvenuto a vantaggio dei contribuenti in caso di leasing, a rapporto contrattuale esaurito) dovendosi tenere presente anche, ad esempio, gli speculari e connessi svantaggi (oltre ai ridetti vantaggi) conseguenti da tale operazione di leasing (quali i costi di manutenzione e gestione del bene generalmente spettanti al proprietario, ad esempio);
si tratta di operazioni di apprezzamento complesse che in nessun caso competono all’Amministrazione Finanziaria, la quale non può
sostituirsi al contribuente nella loro -corretta o meno essa sia -determinazione;
invero, nel nostro ordinamento la libertà della iniziativa economica privata è garantita a livello costituzionale dall’art. 41 Cost. L’imprenditore è libero di valutare l’economicità delle proprie scelte, avendo l’onere comunque di doverle documentare, in modo da consentire la legittima attività di controllo del Fisco;
se infatti rientra nei poteri dell’Amministrazione Finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, ancorché non risultino irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa con eventuale negazione della deducibilità di parte di un costo non proporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, tale sindacato non può spingersi sino alla verifica oggettiva circa la necessità, o quantomeno circa l’opportunità (sia pure secondo una valutazione condotta con riguardo all’epoca della stipula del contratto) di tali costi rispetto all’oggetto dell’attività, che rientrano nelle valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore (così in termini si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21405 del 15 settembre 2017; in precedenza si vedano le analoghe considerazioni svolte da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10319 del 20 maggio 2015);
il secondo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 54 del TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento alla necessità di riaddebito delle spese comuni; secondo l’Amministrazione Finanziaria la C.G.T. di secondo grado, ha illegittimamente reputato erroneo l’operato dell’Ufficio, che per l’anno di imposta 2013 aveva calcolato la percentuale di spesa da riaddebitare agli altri avvocati operanti nello studio in misura pari al 25,05% delle spese comuni. Di conseguenza, ai fini della determinazione del proprio reddito di lavoro autonomo, lo Studio Associato COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME ha -secondo l’Ufficio – indebitamente
dedotto l’importo di € 44.763,04 in violazione delle disposizioni dettate dall’art. 54 del TUIR;
il motivo è inammissibile;
esso, infatti, si appunta sulla fattispecie -diversa da quella per cui è processo – nella quale il titolare dello studio addebita ad altri colleghi, che si avvalgono dei beni dello studio in argomento, parte del costo degli stessi (uso dei locali, segreteria, strumentazione informatica, ecc.);
-in argomento, la circolare dell’Amministrazione Finanziaria del 18 giugno 2001, n. 58/E affronta la seguente fattispecie: ‘quando più professionisti, senza vincoli associativi, dividono lo stesso studio (sottolineatura aggiunta), si pone il problema della ripartizione delle spese comuni (energia elettrica, telefono ecc.)’; in tale situazione, quindi, lo studio è il medesimo per i professionisti (‘…lo stesso studio…’);
nel presente caso, invece, come accertato in fatto nei gradi di merito, lo studio è dei contribuenti avvocati –COGNOME e COGNOME -che ne sono titolari esclusivi; costoro si avvalgono, come ha sempre accertato in fatto la CTR e come risulta dagli atti di causa anche nel presente giudizio di legittimità, di giovani laureati che prestano la propria attività unicamente quindi esclusivamente nei confronti dei titolari dello studio, emettendo per tale opera ciascuno le proprie fatture;
non vi è qui alcun rapporto paritetico, di colleganza, tra lo studio legale e i collaboratori, i quali semplicemente soggiacciono alle direttive dei domini alle dipendenze dei quali operano percependo un compenso per l’attività svolta senza svolgere alcuna attività effettivamente autonoma dalla quale derivi la necessità di ripartire le spese di uno studio comune, perché nessuna struttura è loro comune utilizzando costoro una struttura che è di altri i cui costi vanno sopportati esclusivamente da altri e conseguentemente sono dedotti -giustamente – esclusivamente da altri;
-ne deriva l’inammissibilità del motivo, che si appunta in concreto su un profilo del tutto differente da quello per cui è processo;
-il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d. Lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento alla soggettività passiva ai fini IRAP: secondo l’Agenzia delle Entrate è illegittimo il capo della sentenza impugnata che ha escluso la soggettività passiva ai fini IRAP dello Studio Associato controricorrente;
il motivo è fondato;
-secondo la CTR ‘nel caso di specie il lavoro dello Studio Legale scaturisce dalla attività personale dei due avvocati COGNOME e COGNOME; tale affermazione, che sostiene la statuizione secondo la quale da ciò deriva l’insussistenza del presupposto a fini IRAP, urta contro la circostanza di fatto -che andava valutata, secondo la disciplina vigente, ai fini di verificare la debenza del tributo -consistente nella esistenza dell’associazione professionale in essere che costituisce lo studio associato COGNOME e COGNOME
detto incontestato elemento di fatto andava sussunto correttamente in diritto da parte della Corte di merito, che doveva metterlo in relazione con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale «l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce “ex lege” presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività» (Cass., Sez. U., n. 7371 del 14 aprile 2016; conf., tra le altre, Cass. n. 12763 del 19 maggio 2017, Cass. n. 30873 del 26 novembre 2019, nonché Cass. n. 3622 del 7 febbraio 2019 pronunciata tra le stesse parti);
nel motivare la menzionata pronuncia le Sezioni unite hanno chiarito che l’affermato principio di diritto è da applicarsi anche alle associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, salva la facoltà
per la parte contribuente di fornire la prova contraria avente ad oggetto “non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa” (in tal senso anche Cass. n. 18920 del 26 settembre 2016 e Cass. n. 30873 del 16 novembre 2019). Sul punto è stato ribadito che «l’eventuale esclusione da IRAP delle società semplici (esercenti attività di lavoro autonomo), delle associazioni professionali e degli studi associati è subordinata unicamente alla dimostrazione che non viene esercitata nessuna attività produttiva in forma associata. In altre parole, va provato che il vincolo associativo non si è, in realtà, costituito» (Cass. n.27843 del 31 ottobre 2018, in motivazione);
in conclusione, vanno allora accolti il terzo e il quarto motivo; il primo motivo è rigettato e il secondo motivo va dichiarato inammissibile;
la sentenza impugnata è quindi cassata con rinvio al giudice del merito, limitatamente ai profili di cui ai motivi oggetto di accoglimento, che riesaminerà il fatto alla luce dei sopra illustrati principi e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di Legittimità;
p.q.m.
accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo motivo; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria in diversa composizione alla quale demanda provvedere anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità;
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.