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Costi deducibili studio associato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso riguardante i costi deducibili di uno studio associato. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di canoni di locazione ritenuti anti-economici, la mancata ripartizione di spese comuni con i collaboratori e la soggettività passiva ai fini IRAP. La Corte ha stabilito che le scelte imprenditoriali non sono sindacabili dal Fisco se non palesemente anomale, ha ritenuto inammissibile la censura sulle spese comuni e ha confermato che gli studi associati sono soggetti a IRAP per presunzione legale di ‘autonoma organizzazione’. Ha inoltre chiarito che il diritto al contraddittorio è rispettato con la possibilità di presentare osservazioni, senza obbligo di risposta puntuale nell’avviso di accertamento.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi deducibili studio associato: i chiarimenti della Cassazione

La gestione fiscale di uno studio professionale è un terreno complesso, dove la corretta interpretazione delle norme sui costi deducibili studio associato è fondamentale per evitare contenziosi con il Fisco. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su tre temi caldi: l’inerenza dei costi, la gestione delle spese comuni in presenza di collaboratori e l’assoggettamento a IRAP. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a uno studio legale associato per l’anno d’imposta 2013. L’Agenzia delle Entrate contestava principalmente tre aspetti:

1. Indeducibilità dei canoni di locazione: Lo studio deduceva integralmente i canoni di affitto per l’immobile in cui operava. Il Fisco riteneva il costo non inerente perché anti-economico, sostenendo che l’acquisto dell’immobile sarebbe stato più vantaggioso della locazione stipulata con una società riconducibile a uno dei soci.
2. Indeducibilità delle spese comuni: L’Ufficio contestava la deduzione integrale delle spese di funzionamento (elettricità, telefono, ecc.), sostenendo che una quota dovesse essere riaddebitata ai collaboratori e ai tirocinanti che operavano all’interno dello studio.
3. Soggettività passiva IRAP: L’Amministrazione Finanziaria riteneva che lo studio dovesse essere assoggettato a IRAP in virtù dell’ammontare dei compensi e della presenza di un’autonoma organizzazione (collaboratori e tirocinanti).

Dopo un iter giudiziario nei primi due gradi di giudizio, la questione è approdata in Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione e i costi deducibili dello studio associato

La Suprema Corte ha esaminato i diversi motivi di ricorso, fornendo principi di diritto di grande rilevanza pratica.

La questione dei costi deducibili: inerenza vs. scelte imprenditoriali

Sul primo punto, la Cassazione ha respinto la tesi del Fisco. Ha ribadito un principio consolidato: le scelte imprenditoriali, anche se possono apparire svantaggiose o anti-economiche, non sono sindacabili dall’Amministrazione Finanziaria. La libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 della Costituzione, permette al professionista di scegliere le modalità operative che ritiene più opportune (es. locazione vs. acquisto). Il Fisco può contestare l’inerenza di un costo, ma non può sostituirsi all’imprenditore nel valutare la convenienza di una scelta, a meno che la sproporzione non sia così palese ed evidente da essere un mero pretesto per l’evasione fiscale.

La deducibilità delle spese comuni e i collaboratori

La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alle spese comuni. L’argomentazione dell’Agenzia delle Entrate si basava su una circolare che disciplina il caso di più professionisti indipendenti che dividono lo stesso studio. Nel caso di specie, invece, i collaboratori non erano professionisti alla pari che condividevano uno spazio, ma giovani laureati che prestavano la loro attività esclusivamente per lo studio e sotto le direttive dei titolari. Di conseguenza, i costi per la struttura sono interamente a carico dello studio, che giustamente li deduce in toto, in quanto necessari per la propria attività.

Il contraddittorio endoprocedimentale dopo il PVC

La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia su un punto procedurale. I giudici di merito avevano erroneamente ritenuto violato il diritto di difesa del contribuente. La Cassazione ha chiarito che, dopo la notifica del Processo Verbale di Constatazione (PVC), il contribuente ha 60 giorni per presentare le proprie osservazioni. L’Ufficio ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non quello di rispondere punto per punto o di menzionarle nell’avviso di accertamento. Il diritto al contraddittorio è soddisfatto dalla possibilità concessa al contribuente di esporre le proprie ragioni.

L’IRAP per gli studi associati: la presunzione di autonoma organizzazione

Infine, la Corte ha accolto il motivo sull’IRAP. Richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, ha affermato che l’esercizio di una professione in forma associata costituisce, per legge, presupposto per l’applicazione dell’IRAP. La forma giuridica dell’associazione professionale implica di per sé l’esistenza di un’autonoma organizzazione. Non è necessario che il Fisco ne dimostri l’esistenza in concreto. Spetta, al contrario, al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando che il vincolo associativo è solo apparente e non si è mai concretizzato in un’attività svolta in comune.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Corte si fonda su un bilanciamento tra il potere di controllo del Fisco e la libertà di iniziativa economica del contribuente. Le motivazioni principali possono essere così sintetizzate:

Autonomia delle scelte imprenditoriali: La Corte protegge le decisioni gestionali del professionista, ponendo un argine al ‘sindacato di merito’ dell’Amministrazione Finanziaria. La valutazione di economicità non può essere il criterio per determinare l’inerenza di un costo.
Corretta qualificazione dei rapporti: La natura del rapporto tra lo studio e i suoi collaboratori è determinante. Se i collaboratori operano per conto e sotto la direzione dello studio, non si può parlare di divisione di spese comuni tra pari.
Presunzione legale per l’IRAP: La scelta di operare in forma associata comporta conseguenze fiscali precise. La legge presume che questa forma organizzativa generi quel ‘quid pluris’ che giustifica l’imposizione IRAP, invertendo l’onere della prova a carico del contribuente.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre preziose indicazioni per i professionisti che operano in forma associata. In primo luogo, conferma la libertà nelle scelte gestionali, anche se potenzialmente anti-economiche, purché effettive e inerenti all’attività. In secondo luogo, chiarisce che i costi per i collaboratori interni sono interamente deducibili dallo studio. Infine, e soprattutto, ribadisce un principio ormai consolidato: lo studio associato è, per sua natura, soggetto a IRAP. Per sfuggire all’imposta, non basta affermare che l’apporto dei singoli professionisti è prevalente, ma occorre dimostrare che l’associazione stessa è una mera ‘finzione’ giuridica, prova estremamente difficile da fornire.

Può il Fisco contestare la deducibilità di un costo perché ritiene una scelta imprenditoriale (es. affittare invece di comprare) anti-economica?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che le scelte imprenditoriali sono insindacabili nel merito da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Il Fisco può contestare la mancanza di inerenza di un costo, ma non la sua convenienza economica, a meno che la sproporzione non sia così palese da configurare un’operazione elusiva.

Uno studio associato è sempre soggetto a IRAP?
Sì, secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, l’esercizio di una professione in forma associata costituisce di per sé (‘ex lege’) il presupposto dell’imposta (l’autonoma organizzazione). La soggettività passiva IRAP è quindi presunta. Spetta allo studio associato fornire la prova contraria, ossia dimostrare che non viene esercitata nessuna attività produttiva in forma associata e che il vincolo è solo apparente.

L’avviso di accertamento è nullo se non risponde alle osservazioni presentate dal contribuente dopo la verifica fiscale?
No. La Corte ha chiarito che l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di valutare le osservazioni del contribuente, ma non ha l’obbligo di menzionarle o di confutarle esplicitamente nell’atto impositivo. Il diritto al contraddittorio è garantito dalla possibilità, per il contribuente, di presentare le proprie memorie difensive entro 60 giorni dalla notifica del verbale di constatazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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