Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4662 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4662 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
Oggetto: accertamento – inerenza dei costi scelte del contribuente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9083/2024 R.G. proposto da: COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME STUDIO LEGALE ASSOCIATO in persona del suo legale rappresentante pro tempore, da NOME COGNOME, in proprio e in qualità di socio del predetto studio, da NOME COGNOME, in proprio e in qualità di socio del predetto studio tutti difesi e rappresentati nel presente giudizio dall’avv. NOME COGNOME di Vimercate in forza di procura speciale in atti (PEC: EMAIL)
-ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (con domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
contro
ricorrente –
sul ricorso iscritto al n. 9935/2024 proposto da RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (con domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL – ricorrente –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME STUDIO LEGALE ASSOCIATO in persona del suo legale rappresentante pro tempore, da NOME COGNOME, in proprio e in qualità di socio del predetto studio, da NOME COGNOME, in proprio e in qualità di socio del predetto studio tutti difesi e rappresentati nel presente giudizio dall’avv. NOME COGNOME di Vimercate in forza di procura speciale in atti (PEC: EMAIL)
– controricorrenti – entrambi proposti avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria regionale della Liguria n. 662/01/2023 depositata in data 18/10/2023, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
– lo Studio Legale RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME e i suoi componenti avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrevano avverso gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Genova, relativi all’anno 2015. In particolare, per quanto qui rileva, l’avviso di accertamento riguardante lo Studio Associato aveva recuperato a tassazione euro 4.450,00 per compensi non dichiarati e spese e ritenute indeducibili riguardanti una parte del canone di locazione corrisposto alla locatrice RAGIONE_SOCIALE (e relativa Iva). Aveva inoltre ritenuti indeducibili ulteriori costi riguardanti l’attività professionale. Ulteriore contestazione riguardava l’assoggettamento ad IRAP. Ne derivava nei confronti degli associati l’accertamento del conseguente maggior reddito di partecipazione;
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la CTP accoglieva in parte il ricorso;
appellavano i contribuenti riguardo ai capi della sentenza che li avevano visti soccombenti; l’Ufficio, specularmente, proponeva appello incidentale;
con la sentenza qui impugnata, la CTR ha accolto l’appello principale relativamente al riaddebito ai collaboratori dei costi generali di studio e respinto gli altri motivi dell’appello principale; essa ha parimenti respinto l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate;
-la sentenza ridetta viene impugnata sia dall’Amministrazione Finanziaria con due motivi di ricorso, sia dai contribuenti con atto affidato a tre motivi di impugnazione;
-l’Amministrazione Finanziaria, così come i contribuenti, ciascuno nel giudizio proposto da controparte, resistono con o controricorso;
Considerato che:
-deve in primo luogo disporsi ex art. 335 c.p.c. la riunione del giudizio iscritto al n. r.g. 9335/2024 con quello, più antico, iscritto al n. r.g. 9083/2024, poiché aventi per oggetto impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza resa dalla Corte di Giustizia tributaria della Liguria n. 662/01/2023;
va esaminato per primo il ricorso dei contribuenti;
il primo motivo censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 32 e 58 del d. Lgs. 546 del 1992, dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 157 del d.L. n. 34 del 2020, nonché per violazione dell’art. 115 c.p.c. sul principio di non contestazione e degli artt. 24 Cost. sul diritto di difesa del contribuente e 111 Cost. sul rispetto del regolare contraddittorio tra le parti, ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.;
il secondo motivo si incentra analogamente ancora sulla violazione degli artt. 32 e 58 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché sulla violazione dell’art. 115 c.p.c. sul principio di non contestazione e degli artt. 24 Cost. sul diritto di difesa del
contribuente e 111 Cost. sul rispetto del regolare contraddittorio tra le parti, ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.
il primo motivo risulta invero inammissibile nella parte in cui si duole (punto n. 19 del ricorso per cassazione) della mancata presa di posizione da parte dell’Ufficio su alcuni profili del ricorso del contribuente; la censura così esposta – in parte qua – è invero diretta avverso l’Ufficio e quindi non aggredisce in alcun modo la ratio decidendi della sentenza impugnata, rispetto alla quale la doglianza è fuori bersaglio e risulta quindi inammissibile;
parimenti inammissibile è poi la censura nella parte in cui lamenta la tardività dell’azione di accertamento; la CTR sul punto ha accertato in fatto che ‘ gli inviti a comparire sono stati notificati ai componenti dello Studio associato. Di ciò l’Ufficio ha fornito la prova mediante depositi già in primo grado da cui risulta la data per il contraddittorio fissato per il 5.10.2020 con conseguente automatica applicazione della proroga in questione’;
tutti i profili, quindi, espressi in ricorso in entrambi i ridetti motivi e incentrati sulla ritenuta -da parte dei contribuenti -mancata notifica degli inviti a comparire risultano inammissibili, poiché essi cozzano contro l’accertamento di fatto sopra compiuto dalla sentenza di merito, il cui contenuto non può esser posto in discussione nuovamente in questa sede di Legittimità;
né la questione risulta esser nuova, come si adombra in ricorso, dal momento che dalla sentenza impugnata si evince che l’appello dei contribuenti si fondava ‘2) In via preliminare: violazione art. 5, co. 3 bis D. Lgs 218/1997, art. 43 DPR n. 600/1973 e art. 157 D.L. 34/2020. Ciò in quanto l’Ufficio non aveva mai notificato un invito a comparire personalmente agli avvocati e non poteva quindi invocare la proroga di 120 giorni prevista dall’art. 5, co. 3 bis per la notifica degli avvisi di accertamento’; pertanto, il profilo in argomento ha quindi formato
oggetto del thema decidedum et probandum sin dal primo grado di giudizio;
con riguardo poi alla ulteriore questione posta specialmente nel secondo motivo, relativa alla mancata contestazione da parte dell’Ufficio dell’eccezione relativa al difetto di firma dell’atto impugnato, la stessa prende le mosse dal deposito -tardivo -della documentazione relativa alla delega di firma in primo grado, documentazione che secondo i contribuenti non poteva esser presa in considerazione in secondo grado; – il motivo che introduce tale questione risulta, sotto questo specifico profilo, infondato;
– non hanno qui rilievo, invero, tutti i profili di censura diretti a lamentare la produzione tardiva in primo grado della documentazione probante la notifica di cui sopra si è detto, riguardante gli inviti a comparire, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (in argomento Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 5429 del 7 marzo 2018) in tema di contenzioso tributario, la produzione di nuovi documenti in appello, sebbene consentita ex art. 58 del d. Lgs. n. 546 del 1992, deve avvenire, ai sensi dell’art. 32 dello stesso decreto, entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza: l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e “ritualmente”, a questi fini, anche nel giudizio di impugnazione.
– ancora, questa Corte ha puntualizzato -ed è la pronuncia del tutto opportunamente citata a proposito nella motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di fattispecie identiche -che (in termini si veda Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16652 del 25 giugno 2018; conformi sul punto sono sia Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 26115 del 17 novembre
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2020 sia Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9635 del 10 aprile 2024) che in tema di appello nel processo tributario, il documento contenente la delega di firma del sottoscrittore dell’atto di accertamento impugnato, che sia stato prodotto, ancorché tardivamente, nel giudizio di primo grado, deve ritenersi acquisito automaticamente e ritualmente in quello di gravame, anche se depositato oltre il termine previsto dall’art. 32 del d. Lgs. n. 546 del 1992;
ciò in quanto – sebbene le modalità di produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – il documento in argomento era stato già messo a disposizione della controparte, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa da parte della stessa, mediante l’inserimento nel fascicolo di primo grado che, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del detto decreto, resta inserito in modo definitivo in quello d’ufficio e può essere restituito, come si è già illustrato, solo dopo il passaggio in giudicato della decisione;
ancora, inammissibile è il profilo di doglianza relativo alla mancata produzione in secondo grado, da parte dell’Ufficio, dei documenti versati in atti nel giudizio di primo grado di fronte alla CTP (punto n. 47 del ricorso per cassazione) poiché a fronte del ridetto accertamento in fatto, il profilo suggerisce il difetto in atti di documenti che il giudice del merito ha invece ritenuto esser stati prodotti: il motivo assume quindi in tale declinazione un concreto contenuto di stampo revocatorio, risultando pertanto inammissibile in questa sede;
inoltre, infondate sono le censure relative alla asserita omessa pronuncia da parte della CTR alla eccezione di mancata contestazione da parte dell’Ufficio della eccezione di decadenza proposta dai contribuenti; dalla lettura della sentenza di merito si evince come il giudice di secondo grado abbia invece sul punto reso pronuncia espressa, scrivendo che ‘la proroga di 120 giorni per la notifica degli accertamenti risulta operante in quanto gli inviti a comparire sono stati notificati ai componenti dello Studio associato. Di ciò l’Ufficio ha fornito
la prova mediante depositi già in primo grado da cui risulta la data per il contraddittorio fissato per il 5.10.2020 con conseguente automatica applicazione della proroga in questione’;
alla luce di ciò non è quindi vero -come si deduce in ricorso – che il Giudice di seconde cure abbia sorvolato sui diversi profili dell’eccezione dei contribuenti, limitandosi a ritenere di poter fondare la propria decisione anche sulla documentazione tardivamente prodotta dall’Ufficio in primo grado;
neppure è poi vero che l’Ufficio sia rimasto inerte, quindi non abbia contestato, la mancata notifica degli inviti a comparire, in quanto la sentenza di merito dà atto del deposito nel corso del giudizio di merito della documentazione comprovante tali adempimenti, deposito che costituisce comportamento processuale del tutto idoneo a contestare quanto sostenuto dalla controparte;
in ultimo, non viene poi in rilievo nella presente fattispecie la giurisprudenza citata in ricorso al punto n. 64 (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9635 del 10 aprile 2024) secondo la quale, come recita chiaramente la massima che le parti ricorrenti riportano solo in parte -risultando quindi nei fatti distorto il principio ivi espresso -‘nel processo tributario, i documenti irritualmente prodotti in primo grado possono essere acquisiti nel grado di appello ed esaminati per la decisione se la parte si costituisce tempestivamente e provvede al rinnovo del deposito degli stessi secondo le formalità di legge, mentre tale acquisizione resta preclusa se rimane intimata la parte che ha tardivamente ed irritualmente prodotto in primo grado i documenti, benché la controparte abbia interloquito sugli stessi’;
infatti, poiché nella presente controversia non è affatto rimasto intimato l’Ufficio, essendosi detto soggetto costituito tanto che è risultato autore della produzione documentale di cui si discute, il ridetto principio non trova alcuna applicazione dovendo esso rilevare nel ben
diverso caso in cui a fronte della produzione in primo grado tardiva, non segua alcuna attività processuale da parte dell’autore della produzione; – il terzo motivo, infine, si incentra sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 d. Lgs. n. 446 del 1997 sui criteri di sussistenza dell’autonoma organizzazione quale presupposto impositivo ai fini Irap; secondo i ricorrenti i giudici di seconde cure avrebbero valorizzato circostanze in realtà non indicative (tanto più di per sé solo considerate) al fine di ritenere sussistente il presupposto impositivo dell’Irap;
il motivo è inammissibile;
esso si incentra infatti su profili di puro merito, il cui esame è precluso a questa Corte di Legittimità;
in conclusione, quindi, il ricorso dei contribuenti è complessivamente rigettato;
va ora esaminata l’impugnazione dell’Amministrazione finanziaria;
il primo motivo di doglianza dell’atto in argomento deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109 del T.U.I.R., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento all’inerenza dei costi oggetto di recupero a tassazione dell’Ufficio; secondo parte ricorrente i Giudici di secondo grado, in relazione al primo rilievo relativo all’indeducibilità dei canoni di locazione per € 164.102,75, hanno illegittimamente ritenuto sussistente l’inerenza del costo sostenuto nell’anno 2015; si sostiene che la società RAGIONE_SOCIALE, dalla quale i contribuenti hanno avuto in locazione il bene locato, con un costo spalmato su venti anni di € 2.042.936,00, ha acquistato e ristrutturato l’immobile oggetto della locazione, mentre lo RAGIONE_SOCIALE ha sopportato (e continua a sopportare) un costo di locazione nei vent’anni ai canoni di locazione fino a oggi conosciuti (€ 144.000,00 fino al 2014 ed € 132.000,00 dal 2015), potenzialmente molto più alto e, al termine del periodo, risulterà proprietario di nulla;
Cons. Est. NOME COGNOME 8 – secondo l’Amministrazione finanziaria appare dunque illogico che lo studio sostenga un costo per la sola locazione notevolmente più elevato
di quello che avrebbe potuto sostenere acquistando direttamente l’immobile. Tale condotta antieconomica dell’attività imprenditoriale non è stata giustificata dalla controparte, né dai Giudici nella sentenza impugnata;
il motivo è inammissibile;
invero, la CTR sul punto afferma che ‘ il canone di locazione corrisposto alla RAGIONE_SOCIALE va considerato inerente all’utilizzo del locale ai fini professionali ed il suo aumentare appare giustificato dagli interventi di ristrutturazione eseguiti dalla società locatrice, che hanno indubbiamente influito sull’importo convenuto del canone di locazione, così come ha influito il costo delle spese di amministrazione ordinaria contrattualmente posto a carico della società locatrice’;
a fronte della contestazione dell’Ufficio fondata sulla antieconomicità dell’operazione -poiché la locazione, secondo la prospettazione dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe risultata priva di logica economica rispetto al leasing (operazione quest’ultima meno vantaggiosa sotto il profilo tributario, stante le limitazioni all’epoca vigenti quanto alla deduzione dei canoni da parte di soggetti esercenti attività di liberi professionisti) -la CTR con accertamento in fatto ha ritenuto che sia stata giustificata la determinazione dei canoni di locazioni quanto all’ammontare, stanti le circostanze emerse nel corso del processo;
il secondo motivo di ricorso principale si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 54 del T.U.I.R., in relazione all’art . 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento alla necessità di riaddebito delle spese comuni; secondo l’Amministrazione ricorrente, da un lato è sempre stato pacifico in giudizio che i professionisti che hanno operato nello studio nel 2015 fossero tutti titolari di propria partita IVA; dall’altro lo Studio RAGIONE_SOCIALE non poteva dedurre integralmente dal proprio reddito di lavoro autonomo le ‘spese comuni’ relative all’intero immobile/studio di Genova, INDIRIZZO, ma avrebbe dovuto quantificare la quota di spesa inerente all’esercizio della propria
attività professionale, riaddebitando la restante quota parte agli altri avvocati operanti nei medesimi locali;
il motivo è inammissibile;
esso, infatti, si appunta sulla fattispecie -diversa da quella per cui è processo – nella quale il titolare dello studio addebita ad altri colleghi, che si avvalgono dei beni dello studio in argomento, parte del costo degli stessi (uso dei locali, segreteria, strumentazione informatica, ecc.);
la circolare dell’Amministrazione Finanziaria del 18 giugno 2001, n. 58/E affronta la seguente fattispecie: ‘quando più professionisti, senza vincoli associativi, dividono lo stesso studio (sottolineatura aggiunta), si pone il problema della ripartizione delle spese comuni (energia elettrica, telefono ecc.)’; in tale situazione, quindi, lo studio è il medesimo per i professionisti. Nel presente caso, lo studio è dei contribuenti -vale a dire lo studio COGNOME e COGNOME -che ne sono titolali esclusivi; costoro si avvalgono, come ha accertato in fatto la CTR e come risulta dagli atti di causa anche nel presente giudizio di legittimità, di giovani laureati che prestano la propria attività unicamente quindi esclusivamente nei confronti dei titolari dello studio, emettendo per tale opera ciascuno le proprie fatture;
non vi è qui alcun rapporto paritetico, di colleganza, tra lo studio legale e i collaboratori, i quali semplicemente soggiacciono (come si evince dalla sentenza impugnata come dagli atti) alle direttive dei domini alle dipendenze dei quali operano percependo un compenso per l’attività svolta senza svolgere alcuna attività effettivamente autonoma dalla quale derivi la necessità di ripartire le spese di uno studio comune, perché nessuna struttura è loro comune utilizzando costoro una struttura che è di altri, i cui costi vanno sopportati esclusivamente da altri e conseguentemente sono dedotti esclusivamente da altri;
ne deriva l’inammissibilità del motivo, che si appunta su un profilo del tutto differente da quello per cui è processo;
-alla luce delle sopra esposte considerazioni, anche il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va rigettato;
alla luce delle conclusioni di cui sopra e tenuto conto dell’esito del giudizio, le spese di lite sono compensate;
sussistono i requisiti processuali per il c.d. ‘raddoppio’ del contributo unificato, da parte dei ricorrenti contribuenti;
p.q.m.
dispone la riunione del giudizio iscritto al n. r.g. 9335/2024 con quello iscritto al n. r.g. 9083/2024; rigetta entrambi i ricorsi; compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei contribuenti ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.