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Costi deducibili: la Cassazione sui costi inesistenti

L’Amministrazione Finanziaria ha negato la deducibilità di alcuni costi a un imprenditore, sostenendo che provenissero da operazioni “soggettivamente inesistenti”. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19232/2024, ha respinto il ricorso dell’Agenzia. Ha confermato che i costi deducibili sono ammessi se effettivamente sostenuti e inerenti all’attività, anche se la fattura proviene da un soggetto diverso da chi ha eseguito la prestazione. La Corte ha ribadito che l’onere di provare la non inerenza o l’anti-economicità spetta all’Amministrazione, una volta che il contribuente ha dimostrato il collegamento del costo all’impresa.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Deducibili: Chiarimenti dalla Cassazione sulle Operazioni Soggettivamente Inesistenti

La questione dei costi deducibili in presenza di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è da tempo al centro di un acceso dibattito tra contribuenti e Amministrazione Finanziaria. Con la recente ordinanza n. 19232 del 12 luglio 2024, la Corte di Cassazione torna sul tema, offrendo principi chiari sulla ripartizione dell’onere della prova e sui requisiti necessari per la deduzione. Questa decisione sottolinea che, anche in un contesto di apparente irregolarità formale, ciò che conta è la sostanza economica dell’operazione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imprenditore individuale a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deduzione di costi relativi all’anno d’imposta 2004. Secondo l’Amministrazione, le fatture si riferivano a operazioni soggettivamente inesistenti, ovvero prestazioni effettivamente ricevute ma da un soggetto diverso da quello che aveva emesso il documento fiscale. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione al contribuente, annullando l’avviso di accertamento. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali: la violazione delle norme sulla determinazione del reddito d’impresa e quelle relative alla detrazione dell’IVA.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato e rigettato entrambi i motivi di ricorso presentati dall’Amministrazione Finanziaria, confermando la decisione di secondo grado favorevole al contribuente.

Primo Motivo: La Deducibilità dei Costi per Imposte sui Redditi

L’Agenzia lamentava che la CTR, pur riconoscendo l’effettiva esecuzione delle prestazioni, non avesse verificato la sussistenza degli altri requisiti per la deducibilità dei costi, come l’inerenza, la certezza e la determinatezza. In sostanza, l’Amministrazione contestava la congruità della spesa.

La Cassazione ha chiarito che, secondo la normativa vigente (art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993), i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili se effettivamente sostenuti. Il contribuente ha l’onere di provare l’esistenza del costo e il suo collegamento con l’attività d’impresa (principio di inerenza).

Nel caso specifico, la CTR aveva correttamente accertato, sulla base di una serie di elementi (pagamenti, contratti, dichiarazioni, esito di un procedimento penale), che le prestazioni erano state realmente eseguite e i costi effettivamente sostenuti. A fronte di questa prova, l’onere di dimostrare la non inerenza del costo, ad esempio per antieconomicità, si sposta sull’Amministrazione Finanziaria. La Corte ha rilevato che l’Agenzia non aveva fornito elementi concreti per contestare la congruità quantitativa della spesa, limitandosi a una generica contestazione.

Secondo Motivo: La Detrazione dell’IVA e i Costi Deducibili

Con il secondo motivo, l’Agenzia contestava la violazione delle norme sulla detrazione dell’IVA, sostenendo che il contribuente fosse consapevole di partecipare a una frode.

Anche su questo punto, la Cassazione ha ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza nazionale ed europea. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare non solo la fittizietà del fornitore indicato in fattura, ma anche la consapevolezza (o la colpevole ignoranza) del destinatario della fattura di essere parte di un’evasione fiscale. Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni, purché gravi, precise e concordanti.

La Corte ha ritenuto che la CTR avesse correttamente valutato i fatti, concludendo per l’assenza di prove sulla consapevolezza del contribuente di partecipare alla frode fiscale. L’accertamento compiuto dai giudici di merito è stato considerato immune da vizi logici e giuridici, e quindi non sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda su un principio di sostanza sulla forma. Per quanto riguarda le imposte dirette, se un costo è reale, è stato sostenuto ed è inerente all’attività d’impresa, deve essere considerato deducibile. L’irregolarità formale (l’intestazione della fattura a un soggetto interposto) non è sufficiente, da sola, a negare la deducibilità. La Corte stabilisce un chiaro riparto dell’onere probatorio: il contribuente dimostra l’esistenza e l’inerenza del costo; l’Amministrazione, se vuole contestarne la deducibilità per antieconomicità o sproporzione, deve fornire prove concrete a sostegno della sua tesi. Per quanto riguarda l’IVA, la tutela dell’affidamento del contribuente in buona fede prevale, a meno che l’Amministrazione non riesca a dimostrare la sua partecipazione, consapevole o colposa, alla frode.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano i costi deducibili in contesti fiscalmente complessi come quello delle operazioni soggettivamente inesistenti. Per le imprese, il messaggio è chiaro: è fondamentale conservare tutta la documentazione idonea a dimostrare l’effettività e l’inerenza dei costi sostenuti (contratti, prove di pagamento, corrispondenza, documentazione di cantiere, ecc.). Per l’Amministrazione Finanziaria, la decisione ribadisce che le contestazioni non possono basarsi su mere presunzioni di irregolarità formale, ma devono essere supportate da prove concrete che mettano in discussione la sostanza economica dell’operazione o la buona fede del contribuente.

È possibile dedurre i costi relativi a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, è possibile dedurre tali costi a condizione che siano stati effettivamente sostenuti e soddisfino i requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza. La sola provenienza della fattura da un soggetto diverso da chi ha eseguito la prestazione non osta alla deducibilità.

Su chi ricade l’onere di provare la non inerenza di un costo quando l’operazione è reale?
Una volta che il contribuente ha fornito la prova che il costo è stato sostenuto ed è correlato all’attività d’impresa, l’onere di dimostrare l’eventuale non inerenza (ad esempio per antieconomicità o sproporzione) si sposta sull’Amministrazione Finanziaria, che deve fornire elementi specifici a sostegno della sua contestazione.

Per negare la detrazione dell’IVA in caso di fatture soggettivamente inesistenti, cosa deve dimostrare l’Amministrazione Finanziaria?
L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore indicato in fattura, ma anche che il destinatario della stessa sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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