Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27826 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27826 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12488/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 8178/2016 depositata il 12/12/2016 .
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO la Direzione RAGIONE_SOCIALE Roma, per il periodo d’imposta 2008, rettificava le perdite dichiarate dalla RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE ai fini IRES da euro 414.834,00 ad euro 78.716,00, nonché il valore della produzione ai fini ITAP da euro -418.244,00 a euro -198.156,00, in conseguenza del disconoscimento di costi ritenuti non inerenti in quanto palesemente sproporzionati rispetto ai ricavi, con rideterminazione di un maggior imponibile di euro 336.118,34. L’Ufficio in particolare contestava alla società l’integrale deduzione dei costi relativi a canoni di locazione, per la parte che non trovava corrispondenza con i ricavi provenienti dalla sublocazione dei medesimi immobili, nonché ulteriori costi sostenuti per servizi esterni.
La società contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria RAGIONE_SOCIALE di Roma, eccependo la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento e nel merito l’errata applicazione del principio di correlazione tra costi e ricavi.
Con sentenza n. 17541/7/15 la Commissione Tributaria RAGIONE_SOCIALE di Roma accoglieva il ricorso.
Con sentenza n. 8178/9/2016, depositata il 12/12/2016, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva l’appello dell’Ufficio.
Avverso la predetta decisione la società propone ricorso con due motivi, illustrati con successiva memoria ex art. 380.1 bis cod. proc. civ., e resiste l’Amministrazione con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 109 D.P.R. 917/1986.
Con il secondo strumento di impugnazione la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) D.P.R. 600/1973.
I motivi possono opportunamente essere trattati in via congiunta, in quanto con entrambi la società ricorrente contesta
l’errata applicazione da parte della CTR del principio di correlazione tra costi e ricavi, sostenendo che l’inerenza dei costi debba apprezzarsi attraverso un giudizio di natura qualitativa, in relazione all’attività in concreto esercitata, anche se in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, e a prescindere dall’utilità e dal vantaggio apportati per il conseguimento di ricavi o di reddito.
Le censure non sono fondate, in considerazione del fatto che il giudizio, di carattere qualitativo e non quantitativo, dell’inerenza comporta comunque, secondo costanti approdi interpretativi, la persistenza della valorizzazione della antieconomicità del costo, almeno quando macroscopico (cfr. Cass. n. 5162/2020; n. 33574/2018; 27786/2018; n. 14579/2018).
Va a tale riguardo richiamato il seguente principio di diritto: «Il principio di inerenza dei costi deducibili, esprimendo una correlazione in concreto tra costi e attività d’impresa, si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da valutazioni di natura qualitativa. Tuttavia, l’antieconomicità di un costo – intesa, in particolare, come sproporzione fra la spesa e l’utilità che ne deriva, avuto riguardo agli ulteriori dati contabili dell’impresa – può fungere da elemento sintomatico del difetto di inerenza. In tale ultimo caso, ove il contribuente indichi i fatti che consentano di ricondurre il costo all’attività d’impresa, l’Amministrazione è tenuta a dimostrare, se del caso anche con ricorso ad indizi, gli ulteriori elementi addotti in senso contrario, in particolare evidenziando l’inattendibilità della condotta del contribuente» (cfr. Cass. n. 33568 del 15/11/2022).
Nella fattispecie i giudici di appello si sono attenuti ai menzionati principi.
6.1. La CTR, richiamando l’orientamento in materia espresso da questa Suprema Corte, secondo il quale la prova sulla inerenza dei costi, quale indefettibile presupposto di loro deducibilità, non può riguardare solo l’imputabilità all’attività di impresa, ma anche
la loro adeguatezza sotto il profilo economico (Cass. 4554/2010), ha infatti osservato: i) che nell’anno di imposta 2008 la società ha dichiarato costi pari ad € 535.275,00; ii) che tali costi sono stati sostenuti, almeno per grande parte, per canoni di locazione di quattro appartamenti siti in INDIRIZZO INDIRIZZO; iii) che ulteriori costi sarebbero inoltre derivati dai compensi spettanti alla RAGIONE_SOCIALE, in considerazione dei servizi da questa resi per lo svolgimento di ‘attività di segreteria, organizzazione assemblee sociali e organizzazione ufficio’; iv) che a fronte di tali ingenti costi la stessa società ha evidenziato ricavi per euro 111.000, provenienti dalla sublocazione dei medesimi immobili.
6.2. Con particolare riguardo alle deduzioni della società contribuente, la Commissione territoriale ha puntualmente rilevato: i) che la società ha sostenuto di aver svolto una attività commerciale, consistente proprio nella conclusione del già ricordato contratto di subaffitto; ii) che «tale affermazione si appalesa come non priva di spunti paradossali, considerando che gli appartamenti in questione erano stati presi in locazione dalla RAGIONE_SOCIALE in quello stesso anno, ed ad un costo complessivo pari ad € 361.118,34».
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 02/10/2024.