Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18210 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18210 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimata –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa, in persona del Commissario liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa per procura in atti dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato indirizzo p.e.c.;
IRES-IRAP Accertamento
avverso la sentenza n.111/6/2015 della Commissione tributaria regionale del l’Abruzzo -sezione staccata di Pescara, depositata il 3 febbraio 2015;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME alla pubblica udienza del 3 giugno 2025;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso con eccezione del solo terzo motivo;
uditi per la resistente l’Avv. NOME COGNOME
Fatti di causa
Sulla base di un processo verbale della Guardia di Finanza l’Amministrazione finanziaria emetteva nei confronti della società cooperativa RAGIONE_SOCIALEassociazione tabacchicoltori abruzzesi) un avviso di accertamento relativo a Ires e Irap dell’ esercizio luglio 1999/giugno 2000.
Con l’atto impositivo si recuperavano a tassazione : costi ritenuti non deducibili perché non certi e non inerenti; ricavi relativi a cessioni di beni per le quali erano state emesse note di credito ingiustificate; contributi associativi; quote di produzione tabacco non fatturate; rimanenze finali non fatturate.
Avverso l’avviso di accertamento l a Società propose ricorso che venne accolto dalla C.T.P. la quale ritenne l’atto impositivo illegittimo poiché la permanenza dei verificatori presso i locali si era protratta per più di trenta giorni senza che fosse stato emesso un formale provvedimento di proroga.
La decisione, appellata dall ‘Agenzia delle entrate, venne confermata, dalla Commissione tributaria regionale del l’Abruzzo .
Proposto dall’Agenzia delle entrate ricorso per cassazione, questa Corte, con sentenza n.26732 del 2013, lo accoglieva rinviando alla
Commissione tributaria regionale per l’esame della controversia nel merito.
Riassunto il giudizio, la Commissione tribunale regionale dell’Abruzzo (d’ora in poi C.T.R.) , con la sentenza indicata in epigrafe, rigettò l’appello dell’Agenzia delle entrate , ritenendo illegittime tutte le riprese a tassazione effettuate con l’avviso di accertamento.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso , sulla base di sei motivi.
La società è rimasta intimata mentre è stata depositata in atti procura rilasciata dal Commissario liquidatore della ATA società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa.
In prossimità dell’udienza il P.M., nella persona del la Sostituta procuratrice generale dott. NOME COGNOME ha depositato memoria concludendo per l’accoglimento del ricorso ad eccezione del terzo motivo.
Ragioni della decisione
1 Con il primo motivo di ricorso – rubricato: violazione e falsa applicazione ex art.360, co.1, n.3 c.p.c. in relazione agli artt.55, 59 del d.PR n.917/1986 nonché dell’art.4, comma 2, DPR 633/72 in relazione all’art.6 par.1, VI direttiva CEE -l ‘Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata laddove la C.T.R. aveva ritenuto illegittimo il recupero concernente la cessione delle quote di tabacco sul presupposto che questa fosse un’attività istituzionale e non commerciale. Secondo la prospettazione difensiva l’attività svolta dall’ATA, di acquisto delle quot e dai propri associati e successiva rivendita a terzi, non poteva essere ricondotta nell’ambito della mera intermediazione né in quello del mandato non essendo stata versata alcuna provvigione.
1.1La censura è fondata. Tra le parti, e su analogo rilievo, questa Corte si è già pronunciata con la sentenza n.7606 del 2 aprile 2014 e,
più di recente, con la sentenza n. 6240 del 05 marzo 2020 le quali hanno affermato il seguente principio:<>.
Si legge in motivazione: è utile comporre il quadro giurisprudenziale e normativo di riferimento, nei seguenti termini, gi à̀ delineati da alcune precedenti pronunce di legittimit à̀ (Cass. 02/04/2014, n. 7606; conf.: Cass. n. 1019/2016):
(a) in base all’articolo 6, paragrafo 1, della VI direttiva CEE, la cessione di beni immateriali, rappresentati o meno da un titolo, deve essere considerata come una prestazione di servizi. L’attivit à connessa al trasferimento delle quote di produzione quindi vi rientra sicuramente; (b) ai sensi dell’art. 2135, cod. civ., « È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attivit à̀ : coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali ed attivit à̀ connesse»; per tali attivit à si intendono quelle «dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso »;
(c) anche l’acquisizione della «quota» -e cio è̀ del diritto a coltivare quel determinato prodotto -è parte delle attivit à̀ dirette alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico dello stesso, nel caso di specie il tabacco soggetto anche al rispetto del regime giuridico comunitario delle «quote di produzione». In questi termini si è espressa la Circolare n. 51/E del 04/04/2006 dell’Agenzia delle Entrate – in tema di disciplina
fiscale applicabile ai fini IRPEF ed IVA alla cessione di quote latte e diritti di reimpianto vigneti poste in essere da produttori agricoli (che richiama la Circ. n. 141 del 1998 e la Ris. n. 27 del 2003) -, la quale ha riconosciuto, in sostanza, il carattere strumentale che i diritti in questione rivestono rispetto alla attivit à̀ agricola, e, per quanto concerne l’IVA, ha affermato che le cessione dei diritti in esame devono essere assoggettate al tributo con aliquota ordinaria;
(d) il Regolamento (CE) n. 2848/1998, cit., nel definire i compiti e le funzioni delle associazioni di produttori, non prevede tra i compiti istituzionali un’attivit à̀ diretta per il trasferimento delle «quote». All’art. 33 del Regolamento è detto che la cessione delle «quote» pu ò̀ avvenire tra un singolo produttore ed un altro, a titolo temporaneo o definitivo: ai sensi del comma 1, lett. f), se chi cede l’attestato di quota è membro di un’Associazione di produttori, la cessione deve essere autorizzata da tale Associazione qualora il beneficiario della cessione non sia membro della stessa Associazione; l’Associazione di produttori concede l’autorizzazione se nessuno dei suoi membri ha manifestato interesse a utilizzare i quantitativi oggetto della cessione alle condizioni offerte; se la cessione ha luogo tra produttori membri della stessa Associazione di produttori, l’Associazione deve esserne informata;
(e) qualora le prestazioni di servizi in esame non siano riconducibile ai produttori agricoli, ma all’Associazione di categoria A.T.A., giova ricordare che, ai sensi dell’art.4, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese «Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalit à̀ giuridica e le societ à̀ semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attivit à̀ commerciali o agricole» (n. 2), e che «Si considerano effettuate in ogni caso nell’esercizio di impresa a norma del comma 2, anche le cessioni di beni e le prestazioni
di servizi fatte dalle societ à e dagli enti ivi indicati ai propri soci, associati o partecipanti» (art. 4, comma 3, d.P.R. n. 633/1972), con le eccezioni previste dal successivo comma 5, da applicare ove ne ricorrano i presupposti;
(f) pertanto, con riferimento alle Associazioni, vige il principio di assoggettamento all’IVA delle operazioni relative a prestazioni di servizi, tra cui rientrano i trasferimenti di beni immateriali e tale disciplina è applicabile anche quando non via sia un utile;
(g) in altri termini, la cessione di «quote di produzione» di prodotti agricoli effettuata da un’Associazione di produttori per conto dei propri associati ha ad oggetto il diritto di coltivazione di un determinato prodotto (nella specie, il tabacco) e, pertanto, s ì configura come una prestazione di servizi strumentali alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico della coltura.
Non si ravvisano né vengono prospettate idonee ragioni per discostarsi dai principi giuridici dianzi enunciati dalla quale il Giudice di appello si è discostato, sicché sul punto la sentenza merita la cassazione.
Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce , ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3 c.p.c. la violazione dell’art.148 del d.P.R. n.117 del 1986 perpetrata dalla C.T.R. nel ritenere illegittimo il recupero a tassazione dei corrispettivi per servizi.
2.1. In particolare, sul punto la C.T.R., aveva ritenuto che il fatto che si tratti di contributi variabili in ragione dei costi sostenuti non eliderebbe il dato strutturale, trattandosi, pur sempre, di contributi associativi che non dovevano essere contabilizzati ai sensi dell’art.9 della legge 20 ottobre 1978 n.674.
2.2 Detta disposizione così recita: i contributi associativi corrisposti dagli aderenti alle associazioni ed unioni di cui alla presente legge, anche se determinati statutariamente in base ai costi dei diversi
servizi da queste forniti, sono esenti da ogni imposta. Gli atti costitutivi, gli statuti ed i libri sociali delle associazioni e delle relative unioni, di cui alla presente legge, beneficiano delle stesse esenzioni e riduzioni in materia di imposte indirette e di tasse previste per le società cooperative.
2.3 La censura è inammissibile siccome inconferente rispetto al decisum .
Il mezzo di impugnazione non si confronta, infatti, con la ratio posta a base della decisione (con la quale la C.T.R. ha ritenuto esenti da imposta i contributi associativi versati dagli associati per le attività di vendita ai sensi della disposizione normativa speciale) limitandosi, con lo stesso, l’Agenzia delle entrate a dedurre unicamente la violazione dell’art.148 T .U.I.R., il quale disciplina genericamente l’attività svolta da enti di tipo associativo , senza svolgere alcuna argomentazione in ordine alla norma speciale applicata dal Giudice di appello.
Con il terzo motivo di ricorso si evidenzia motivazione contraddittoria circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art.360, primo comma, n.5 c.p.c. In particolare, si censura il passo motivazionale con cui la C.T.R. aveva affermato che l’appello relativo alla sottofatturazione dei corrispettivi per la cura del tabacco non appare congruente con il contenuto dell’avviso di accertamento, e comunque non si tratta di motivo specifico, nemmeno ripreso nella costituzione in sede di riassunzione.
3.1 La censura, ammissibile non incorrendo nella sanzione di cui all’art. 348 ter c.p.c. per essere stato l’atto di appello notificato in data anteriore all’entrata in vigore della norma, è inammissibile sotto diverso profilo.
Con il mezzo non si evidenza, infatti, l’omesso esame di un fatto storico nella sua accezione fenomenologica quanto piuttosto si contesta
la declaratoria di inammissibilità del motivo di appello non essendoci, secondo la prospettazione difensiva, alcuna incongruenza tra l’atto di appello e il contenuto dell’avviso di accertamento, mentre nessuna censura viene svolta in ordine all’ulteriore ratio posta a base del motivo ovvero che il motivo di impugnazione difettasse di specificità.
4. Con il quarto motivo -rubricato: violazione dell’art.26, co. 2 e 3 del d.P.R. n.633 del 1972, in relazione all’art.360, n.3 c.p.c. -l’Agenzia delle entrate censura il capo di sentenza nel quale la C.T.R. ha ritenuto giustificate le note di credito emesse peraltro per importi marginali e da considerarsi normali in relazione all’entità dei ricavi.
4.1 La censura è fondata.
L ‘emissione di note di credito è giustificata da eventi successivi all’emissione della fattura o per inesattezze, dipendenti dalla correzione degli estremi di una determinata operazione imponibile, ovverosia di un rapporto di cessione di beni o prestazione di servizi singolarmente considerato, e non già quando venga a mutare per una qualsiasi causa il quadro complessivo dei rapporti tra i soggetti interessati.
Ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 il cedente del bene o il prestatore del servizio ha diritto a portare in detrazione, ai sensi del precedente articolo 19, l’imposta corrispondente alla variazione nel caso in cui un’operazione venuta meno in tutto o in parte ovvero ridotta nell’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.
Il ricorso alla procedura di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 impone che sia specificata, nelle note di variazione, una causale tale da fornire elementi per ricondurre la variazione dell’importo originariamente fatturato tra le ipotesi contemplate dal secondo
comma del citato art. 26 ( cfr. Cass. n. 25987/2014, e, di recente, Cass. 28 luglio 2023 n. 22996).
La Commissione tributaria regionale ha, invece, dato rilievo alle variazioni registrate in base a eventi modificati non rientranti tra quelli previsti dalla legge e comunque non specificamente individuati così incorrendo nella violazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 633/1972. Nel caso di specie, infatti, il richiamo a importi marginali e normali in ragione all’entità dei ricavi non offre alcun elemento circa la sussistenza dei presupposti per fare ricorso al citato art. 26.
Con il quinto motivo di ricorso, articolato in relazione all’art.360, primo comma, num.3 cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate censura come infondate e apodittiche le osservazioni dei giudici di appello in relazione ai rilievi concernenti i componenti negativi del reddito.
In particolare, la ricorrente evidenzia che:
-per le spese per trasporti e viaggi e quelle per manutenzioni e riparazioni mezzi non era corretta la riconducibilità operata dalla C.T.R. all’attività di impresa laddove dal p .v.c. emergeva che erano i soci coltivatori e trasportare a proprie spese e con i loro mezzi il tabacco prodotto;
-per le spese per canoni di locazione, violazione ritenuta formale dalla C.T.R., tale costo era stato sostenuto per locali mai dichiarati e non avendo mai la cooperativa depositato i contratti di locazione;
-per gli interessi passivi pagati dalle banche per finanziamenti l’assoluta apoditticità della motivazione a fronte della contestazione operata dall’Ufficio in punto di assenza della nota integrativa sulle caratteristiche e sulle condizioni dei finanziamenti e di deduzione integrale degli stessi;
-per le spese per servizi di assistenza software era stata la stessa cooperativa ad affermare che il relativo importo era stato allocato contabilmente in un conto diverso.
5.1. Come è noto, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa. La prova dell’inerenza grava in capo al contribuente.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte di cui è ultima espressione l’ordinanza n.1239 del 2025 i n tema di imposte dei redditi e di IVA, l’inerenza di un costo, sostenuto nell’esercizio dell’attività di impresa, comporta una valutazione qualitativa e non di tipo utilitaristico o quantitativo, per cui lo stesso attiene o non attiene all’attività stessa a prescindere dalla sua entità; ne consegue che il contribuente è tenuto a provare i fatti costitutivi del costo ed a documentarli, quali l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ponendoli in correlazione all’attività imprenditoriale svolta.
Nel caso di specie, la Commissione ha ritenuto inerenti genericamente spese non omogenee per trasporti, viaggi, locazioni di immobili e manutenzione senza alcun riferimento specifico alla spesa singolarmente considerata né tanto meno alle contestazioni svolte dall’Ufficio mentre in ordine alla deduzione degli interessi passivi ha reso una motivazione del tutto apparente.
6. Con il sesto motivo, infine, l’Agenzia delle entrate censura i capi della sentenza nei quali la C.T.R. ha affermato che quanto al recupero del premio AIMA per £.15 milioni si tratta di acconto di competenza dell’esercizio correttamente contabilizzato e relativamente al recupero degli ammortamenti che si tratta di attrezzature per attività
aziendali utilizzabili in modo autonomo all’interno dell’attività aziendale, e quindi, la percentuale è stata correttamente calcolata.
Pur avendo rubricato il motivo di ricorso come violazione di legge in relazione all’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c. , l’Agenzia delle entrate, anche con riferimento al punto 10 della sentenza (relativo alle spese per aratura dei terreni), nella illustrazione del motivo rileva preliminarmente l’apoditticità delle affermazioni rese al riguardo dal giudice di appello e conclude ribadendo che la sentenza impugnata si è limitata a decidere in senso favorevole all’associazione con motivazione scarna e ai limiti dell’apparenza.
6.1. Tale censura, conformemente alle richieste del P.M., è fondata.
Con riferimento alle varie voci di spese e costi la C.T.R. ha deciso, come evincibile dalla mera lettura della sentenza impugnata, con affermazioni apodittiche, senza in alcun modo tenere in conto le allegazioni delle parti e, in definitiva, non palesando l ‘iter logico giuridico seguito.
In conclusione, in accoglimento del primo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, inammissibili il secondo e il terzo, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio al Giudice di merito che, in diversa composizione, provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e regolerà le spese del presente giudizio.
La Corte
P.Q.M.
accoglie il primo, il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, inammissibili il secondo e il terzo;
cassa la sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado del l’Abruzzo , in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione