Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7718 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7718 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/03/2025
Oggetto: IRES – Costi deducibili Onere della prova -Generica descrizione della prestazione nella fattura – Sufficienza – Esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16093/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del difensore;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 9142/02/2016, depositata in data 23 dicembre 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti, per brevità, Joint) ,
esercente attività di intermediazione creditizia, l’ avviso di accertamento n. TK3035401329/2012, con cui recuperava a tassazione, per l’anno 2007, ai fini IRAP, per quanto ancora rilevi, costi non sufficientemente documentati e non oggettivamente determinabili per Euro 645.700,00.
L’avviso traeva origine da un PVC redatto il 16.12.2008 dalla Guardia di Finanza: la società RAGIONE_SOCIALE (amministrata dal fratello dell’amministratore della contribuente ; d’ora in avanti, solo RAGIONE_SOCIALE aveva emesso la fattura n. 2/2007 per il detto importo per prestazioni rese in favore della Joint (‘vs. dare per la collaborazione prestatavi nella ricerca di mezzi finanziari su Vostra clientela’). Le due società avevano stipulato un accordo quadro per l’affidamento di prestazioni professionali, nel quale il compenso non veniva determinato a priori , ma stabilito ‘di volta in volta, in ragione della complessità e dell’entità della pratica oggetto dell’incarico’.
La Joint proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che accoglieva la tesi della contribuente ritenendo infondato il rilievo relativo ai detti costi.
Interposto gravame dal l’Ufficio , la Commissione tributaria regionale del Lazio confermava la sentenza di primo grado; il costo esposto nella fattura 2/2007 era dimostrato nella sua precisione e certezza sul piano oggettivo, corrispondendo l’importo di Euro 645.700,00 alla percentuale di provvigione (0,52%) sul volume di intermediazione intercorso nell’anno tra le due soci età (pari ad oltre 124 milioni di euro); irrilevante era, di contro, il vincolo di parentela tra gli amministratori delle due società.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato ad un motivo. Resiste con la contribuente con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 21/02/2025.
Considerato che:
Con l’unico motivo l’Ufficio deduce la «violazione degli artt. 2697 c.c. e 109 d.p.r. 22.12.1986 n. 917 nonché degli artt. 19 e 21
del d.p.r. 26.10.1972 n. 633 in relazione all’ art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.» per avere la CTR erroneamente annullato la ripresa a tassazione nonostante l’oggettiva indeterminabilità della prestazione, alla luce della descrizione contenuta nella fattura e di altri elementi evidenziati dall’Ufficio, ovvero: a) la mancanza, nell’acco rdo quadro, di criteri di determinazione del corrispettivo riconosciuto per le prestazioni rese in favore della contribuente; b) le interessenze tra le due società, per essere l’amm inistratore della RAGIONE_SOCIALE il fratello dell’amministratore della RAGIONE_SOCIALE e detentore di una quota minoritaria di partecipazione in questa.
Il motivo è fondato.
1.1. Il d.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, nel testo vigente ratione temporis , stabilisce al quinto comma che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
Tale disposizione, corrispondente sostanzialmente all’originario art. 75 del t.u.i.r., è stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso che i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare i requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 20/06/2012, n. 10167; Cass. 11/02/2013, n. 3258; Cass. 22/05/2013, n. 12503; Cass. 30/10/2013 n. 24429; Cass. 27/01/2014, n. 1565; Cass. 18/06/2014, n. 13806; Cass. 08/10/2014, n. 21184; Cass. 14/01/2015, n. 426; Cass. 21/01/2015, n. 1011).
1.2. Invero, secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo
quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta. La corretta applicazione del principio concernente la distribuzione dell’onere della prova dettato dall’art. 2697 cod. civ. impone quindi al giudice di merito di accertare, in primo luogo, se la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall’attribuzione al contribuente di maggiori entrate oppure dal disconoscimento di costi o oneri deducibili esposti dallo stesso, perché solo l’esatta individuazione della parte tenuta per legge a dare la prova afferente consente al giudice di porre a carico di essa le conseguenze giuridiche derivanti dall’accertata inosservanza di detto onere» (Cass. 08/06/2011, n. 12424). È, quindi, onere del contribuente provare la sussistenza dei presupposti di eventuali esenzioni d’imposta o componenti negativi del reddito, non determinando alcuna inversione dell’onere della prova la circostanza che l’Erario abbia in giudizio svolto deduzioni ed argomentazioni per dimostrare l’insussistenza di oneri e costi deducibili ed inerenti alle attività produttive del contribuente stesso (in questi termini, nella giurisprudenza più recente, Cass. 18/08/2022, n. 24880).
È, quindi, pacifico che grava sul contribuente l’onere di provare non solo l’indefettibile requisito dell’inerenza dei costi, ma anche la loro effettiva sussistenza ed il loro preciso ammontare (così già Cass. 24/03/2006, n. 6650 e Cass. 11/11/2011, n. 23626), attraverso una documentazione di supporto dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, anche la ragione della spesa, di cui non è sufficiente addurre l’avvenuta contabilizzazione. Pertanto, è necessario non solo che la prova dei costi deducibili sia opportunamente documentata in modo tale che dalla documentazione relativa si possa ricavare “l’inerenza del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso” rispetto
all’attività da cui derivano i ricavi o gli altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa (cfr. Cass. 05/07/2013 n. 16853) ma anche che sia dimostrata “la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo perciò legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (Cass. 27/03/2013, n. 7701).
1.3. Con specifico riferimento al costo riportato da una fattura merita richiamare un precedente in cui questa Corte ha negato la deducibilità proprio in considerazione della genericità della descrizione della prestazione recata dalla fattura (in quel caso del seguente tenore: “con la presente vi rimettiamo fattura per consulenza tecnico – commerciale relativa al mese …”) nonché della “laconicità del contratto regolante il rapporto”, oltre che dell’ingente ammontare del costo portato in deduzione (v. Cass. 08/10/2014, n. 21184; in termini del tutto analoghi, in ragione della genericità della fattura, v. anche Cass. 22/10/2014, n. 22403).
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte ( ex multis , Cass. 28/10/2015, n. 21980/15), sia in tema di imposizione diretta sia in tema di Iva, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, ed idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità delle prestazioni attestate. La parte contribuente può comunque integrare il contenuto della fattura con elementi di prova idonei a dimostrare la deducibilità dei costi (cfr. Cass. 07/06/2018, n. 14858).
1.4. Alla luce di tali principi e dei contenuti della decisione impugnata, sopra in più parti trascritti, il dedotto error in iudicando per violazione del d.P.R. n. 917/86, art. 109, comma 5, appare sussistente, per avere omesso la CTR qualsiasi indagine sulla
determinatezza o determinabilità del costo; requisito che, nella fattispecie, andava vagliato prendendo in considerazione anche, anzi soprattutto, il contenuto della fattura (e la descrizione ivi contenuta della prestazione, supra riportata) ed il relativo importo, non solo le pattuizioni (altrettanto generiche) dell’accordo quadro stipulato dalle due società , tra l’altro privo di data certa .
Il ricorso va, pertanto, accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo esame in relazione alla censura accolta, nonché provveda alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo e motivato esame e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 febbraio 2025.