Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7031 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7031 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12311/2016 R.G. proposto da:
NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA-PALERMOSEZ. DIST. MESSINA n. 1601/2015 depositata il 16/04/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Considerato che:
Come si apprende, segnatamente, dalla sentenza impugnata e dal ricorso, i n data 29/12/2005, l’Ufficio di Barcellona Pozzo di Gotto dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE notificava a RAGIONE_SOCIALE (esercente attività di commercio RAGIONE_SOCIALE) l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, per mezzo del quale, relativamente all’anno di imposta 1998, riprendeva a tassazione i costi sostenuti per l’acquisto di merce pari a lire 268.403.000 perché ritenuti relativi a fatture soggettivamente inesistenti e, quindi, accertava maggiori IRPEG, IRAP ed IVA, con il carico di interessi sanzioni.
1.1. L’avviso traeva origine da PVC redatto in data 09/09/2004 dalla Guardia di Finanza-Tenenza di Barcellona Pozzo di Gotto, a mezzo del quale veniva contestato alla contribuente il fraudolento acquisto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da RAGIONE_SOCIALE, rivelatasi, sulla scorta di attività di verifica poste in essere dalla GDF di Tricase, mere cartiera.
1.2. Pertanto, recependo ‘in toto’ le risultanze del PVC, l’Ufficio, a mezzo del citato avviso, disconosceva i costi dichiarati dalla contribuente in ragione di lire 268.403.000, in quanto risultanti da fatture ritenute relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, ed alla rettifica come sopra della perdita di esercizio dichiarata.
La Commissione Tributaria Provinciale di Messina, adita impugnatoriamente dalla contribuente, con sentenza n. 110/07/07 resa in data 19/02/2007 e depositata in data 04/04/2007, accoglieva il ricorso.
La Commissione Tributaria Regionale siciliana-Sezione distaccata di Messina, adita in appello dall’Ufficio, accoglieva il gravame, osservando:
ualora l’Amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione d’imposta in ragione di una supposta inesistenza soggettiva RAGIONE_SOCIALE operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima Amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, l’esistenza della società cd. cartiera e che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione .
L’onere probatorio che grava sull’Amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata ‘, mentre la prova che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere è raggiunta se la valutazione dei dati valutati dall’Amministrazione sarebbero sufficienti, per se stessi e oggettivamente, a porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente.
È superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova che l’Amministrazione deve fornire può ben consistere in presunzioni semplici .
Nel caso in esame, l’Amministrazione ha assolto il proprio onere probatorio, mentre, la società RAGIONE_SOCIALE non ha provato di non avere avuto consapevolezza che le operazioni erano soggettivamente inesistenti, in quanto provenienti da società “cartiera” e, comunque, di essere in buona fede.
a) Dall’esame degli atti (avviso di accertamento e PVC della Guardia di Finanza) risulta che l’Ufficio ha riscontrato che la società RAGIONE_SOCIALE aveva un capitale sociale minimo, nessun bene patrimoniale posseduto, mancanza assoluta di strutture commerciali, mancanza di
personale dipendente, operative per breve termine, nessun versamento di IVA. Veniva accertato altresì che la RAGIONE_SOCIALE si interponeva tra il cedente europeo e il cessionario italiano al fine di consentire a quest’ultimo la detrazione dell’IVA pagata sugli acquisti, attraverso un sistema triangolare con il quale il cessionario acquistava al prezzo fissato dal cedente europeo abbattuto dalla percentuale IVA indebitamente detratta per mezzo RAGIONE_SOCIALE fatture emesse dalla cartiera; che in alcuni casi, l’utilizzo da parte del reale cessionario di assegni bancari recanti già · all’atto ·dell’emissione la girata della cartiera che pervenivano al cedente intracomunitario mediante consegna al vettore contestualmente allo scarico degli RAGIONE_SOCIALE.
Data l’indicazione specifica della tipologia e RAGIONE_SOCIALE caratteristiche oggettive degli elementi individuati dall’Ufficio a sostegno dell’inesistenza della RAGIONE_SOCIALE, il suddetto Ufficio ha dato ampia prova che il contribuente esercitando la normale diligenza avrebbe ·dovuto avere conoscenza e quindi comprendere che si era posto in essere un meccanismo fraudolento e violazioni di rilevanza penale. A ciò si aggiunga che la RAGIONE_SOCIALE, spazialmente veniva a trovarsi in uno stesso raggio di azione della società RAGIONE_SOCIALE tale che la società RAGIONE_SOCIALE non poteva non apprendere che quella società non aveva una dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata, così come è stato evidenziato dall’Ufficio finanziario
b) in presenza degli elementi probatori forniti dall’Ufficio finanziario , sarebbe stato onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, tenendo presente che quest’ultima prova non potrà consistere, come vorrebbe l’appellata: a) nella esibizione
della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati ; b) né nella semplice affermazione che ‘la società RAGIONE_SOCIALE non poteva, in nessun modo, conoscere le contestate irregolarità fiscali consumate dalle società fornitrici, né poteva conoscere l’eventuale volontà di essa· di frodare il fisco: la società RAGIONE_SOCIALE ha operato in maniera assolutamente corretta e in buna fede contattando la merce e pagando il relativo prezzo IVA inclusa”; perché nelle suddette affermazioni non vi è neppure una lontana dimostrazione che gli elementi evidenziati dall’Ufficio non fossero stati conosciuti né conoscibili dalla società RAGIONE_SOCIALE. E, dunque, la società RAGIONE_SOCIALE non ha fornito nessuna prova neppure documentale idonee a dimostrare che le operazioni erano state poste in essere con soggetti effettivamente esistenti ed operanti ‘
sotto altro aspetto è opportuno evidenziare che l’emissione di fatture non è di per sé sufficiente a consentire il diritto alla detrazione .
omessa contabilizzazione di ricavi (non disconoscimento di costi) si rileva che il procedimento di accertamento analitico -induttivo eseguito nell’esercizio dei poteri di controllo sostanziale ai sensi dell’art. 39 comma 1, lett. d), dpr 600 del 1973, è legittimo per l’osservanza dei relativi presupposti .
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente con tre motivi; resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso. La contribuente, addì 2 febbraio 2024, deposita memoria telematica recante la data del giorno precedente.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del
contribuente) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Omesso esame, ai sensi dell’art. 360, co. 1., n. 5 c.p.c., circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
1.1. ‘In entrambi i gradi di giudizio di merito, la società odierna ricorrente ha eccepito la pregiudiziale questione di nullità dell’avviso di accertamento impugnato per difetto di motivazione in relazione alla omessa allegazione degli atti presupposti menzionati ‘per relationem’ nella parte motiva del medesimo atto impositivo. Su tale questione preliminare, controversa ed assolutamente decisiva ai fini del giudizio, il Giudice d’appello nulla ha statuito. E ciò, in chiara violazione, oltre che del fondamentale principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), anche RAGIONE_SOCIALE norme dettate in materia di motivazione degli atti dell’Amministrazione tributaria ‘. ‘a parte motiva dell’avviso di accertamento impugnato mostra di fondarsi non solo sulle risultanze del presupposto p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza del 9/9/2004 (non allegato, ma comunque notificato al contribuente), ma anche ll’ulteriore presupposto p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza di Tricase (LE) (non allegato e mai notificato, né altrimenti portato a conoscenza del contribuente), atto da cui emergerebbe proprio la presunta natura ‘cartiera’ RAGIONE_SOCIALE società fornitrici dell’odierna ricorrente’.
1.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., senza individuare il fatto storico di cui la CTR avrebbe pretesamente omesso l’esame.
Quand’anche, poi, si avesse a ritenere che in realtà la denuncia sia volta a far constare un’omessa pronuncia, rilevante, tuttavia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc., come parrebbe lasciar intendere, nello sviluppo motivazionale del motivo,
la dedotta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., il motivo sarebbe comunque inammissibile perché disattende il costante principio secondo cui, ‘nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività RAGIONE_SOCIALE questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del ‘fatto processuale’, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (cfr., da ult., Sez. 2, n. 28072 del 14/10/2021, Rv. 662554-01). Ciò tanto più in quanto ‘la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare – a pena di inammissibilità – che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione RAGIONE_SOCIALE conclusioni’ (Sez. 3, n. 41205 del 22/12/2021, Rv. 663494-01).
Ad ogni modo, neppure si versa in ipotesi di omessa pronuncia, ricorrendo invece un’ipotesi di implicita pronuncia di
rigetto. La riprova si ha sol che si consideri che la CTR ha ben presente, nella parte della sentenza impugnata dedicata allo svolgimento del processo, avere in primo grado la contribuente impugnato l’avviso ‘per difetto di motivazione dell’accertamento perché basato su un PVC cui si fa rinvio ‘per relationem’ ‘ ed avere in secondo grado la medesima ‘ripropo le eccezioni · già fatte valere · nel giudizio di primo grado’. Nondimeno la medesima CTR ha ritenuto, nella parte della sentenza impugnata dedicata ai motivi della decisione, che dall’esame degli atti (avviso di accertamento e PVC della Guardia di Finanza) risulta che l’Ufficio ha riscontrato che la società RAGIONE_SOCIALE aveva un capitale sociale minimo, nessun bene patrimoniale posseduto ‘.
Per l’effetto, ha la CTR verificato che l’avviso ed il PVC dal medesimo richiamato di per sé contenevano gli elementi essenziali da cui dedurre l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE società fornitrici della contribuente. Né il ricorso (cfr. in part. p. 14) offre dimostrazione del contrario, limitandosi alla riproduzione di solo brevi stralci di detti atti e per ciò solo incorrendo in difetto di precisione per difetto di autosufficienza.
D’altronde, come anticipavasi, il motivo è comunque manifestamente infondato, alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, a tenore della quale, per un verso, ‘in tema di atto impositivo, ai fini dell’ammissibile motivazione ‘per relationem’, è sufficiente il rinvio dell’avviso di accertamento al p.v.c. notificato al contribuente’ (Sez. 6 -5, n. 29002 del 05/12/2017, Rv. 646527 -01) e, per altro verso, ‘l’avviso di accertamento, nell’ipotesi di doppia motivazione ‘per relationem’, è legittimo ove il processo verbale di constatazione richiamato nello stesso faccia a propria volta riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente’ (Sez. 5, n. 32127 del 12/12/2018, Rv. 651783 -01).
Con il secondo motivo si denuncia: ‘ Omesso esame, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (mancata prova da parte dell’Ufficio finanziario circa l’interposizione fraudolenta della società RAGIONE_SOCIALE nel meccanismo di frode fiscale , alla luce della dimostrata buona fede e/o estraneità della odierna ricorrente rispetto al fraudolento meccanismo )’.
2.1. ‘Conclude la sentenza oggi impugnata ‘la società RAGIONE_SOCIALE, non ha fornito alcuna prova neppure documentale idonea a dimostrare che le operazioni erano state poste in essere con soggetti effettivamente esistenti ed operanti ‘. Tale affermazione della CTR, non soltanto non risponde al vero, ma dimostra come sia stata omessa qualsiasi considerazione e/o valutazione circa le prove documentali addotte dalla società contribuente nel corso del giudizio di merito volte a dimostrare la propria assoluta buona fede e/o estraneità rispetto al meccanismo fraudolento contestato dall’Amministrazione finanziaria. Ciò non può non integrare un evidente vizio di omesso esame ‘. L’unica prova addotta dall’Ufficio riguarda ‘il carattere di cartiera’ della società fornitrice. ‘Da qui si pretenderebbe far discendere un’assurda quanto arbitraria ‘responsabilità oggettiva’ della società contribuente’. ‘In materia di fatture soggettivamente inesistenti, il presupposto indiscusso della Corte di giustizia europea è che non può sussistere, in campo IVA, alcuna forma di responsabilità oggettiva’. ‘esta comunque il fatto che il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere disconosciuto quando il contribuente, come nel caso di specie, abbia dimostrato la propria buona fede’. ‘Circa la prova della buona fede, si è però più volte affermato -e in ciò concorda anche la CTR che ha pronunciato la sentenza oggi impugnata -che il contribuente non può limitarsi alla mera allegazione di fatture o documentazione contabile attestanti il versamento dell’imposta e la concreta effettuazione RAGIONE_SOCIALE
operazioni: si obietta, al riguardo, che tali riscontri probatori vengano addirittura predisposti al fine di mascherare, sotto una patina di apparente legalità, un meccanismo subdolo. Ci si chiede, allora, cosa rimane a questo punto al contribuente rimasto davvero estraneo al meccanismo elusivo posto in essere da altri soggetti per provare la propria buona fede e far salvo, così, il proprio diritto alla detrazione IVA su acquisti realmente effettuati da soggetti di cui si sconosceva o non poteva conoscersi l’intento criminoso’.
2.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
Esso è inammissibile in quanto, ben lungi dal denunciare alcun omesso esame di un fatto storico, così come prescrive il paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., si duole della valutazione, sfavorevole per la contribuente, RAGIONE_SOCIALE prove dedotte in chiave difensiva al fine di dimostrare la buona fede della medesima (prove tuttavia non minimamente localizzate negli atti dei giudizi di merito e comunque descritte e circostanziate, con conseguente violazione del canone di precisione, di per sé foriera della sanzione dell’inammissibilità), viepiù paventando (tuttavia solo astrattamente e genericamente, oltretutto, come subito si vedrà, alla stregua di assunti giuridicamente non condivisibili) che il destinatario di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, onde provare la sua estraneità alla frode, non può far altro che allegare ‘fatture o documentazione contabile attestanti il versamento dell’imposta e la concreta effettuazione RAGIONE_SOCIALE operazioni’.
Esso, come anticipavasi, è altresì, e comunque, manifestamente infondato.
In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la partecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C -277/14; Corte Giust. Bonik, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finan -ziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni sog -gettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429 -01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘reverse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unionale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. COGNOME e COGNOME, C -80/11 e C –
142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435 -01).
Ad una semplice lettura della sentenza impugnata emerge come la CTR abbia fatto puntuale applicazione dei superiori principi, evidenziando in particolare che, assolto dall’Ufficio l’onere probatorio incombentegli, non ha invece la contribuente fornito la prova contraria, che non può consistere nella regolarità formale dei documenti e nell’effettività dei pagamenti, siccome funzionali alla frode, ma deve riguardare l’adozione in concreto di misure di diligenza (anzitutto sotto il profilo della raccolta di informazioni) poste in essere onde evitare ‘a monte’ il coinvolgimento in meccanismi di frode all’IVA: ciò che in definitiva il motivo non assume essere stato né allegato né dimostrato già nei gradi di merito.
Con il terzo motivo si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 14, comma 4 bis della L. n. 537/93, come modificato dall’art. 8, comma 1 del D.L. n. 16/12 (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.). Omesso esame, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n 5 c.p.c., circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (deducibilità ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette dei costi d’acquisto di merce sostenuti dalla società ricorrente e documentati nelle contestate fatture)’.
3.1. Decisiva è la già dedotta, nei gradi di merito, applicabilità della novella legislativa sui cd. costi da reato, pretermessa in sentenza.
3.2. Il motivo è fondato in relazione alla denunciata violazione di legge, nei limiti, tuttavia, della motivazione che si passa ad illustrare.
Costituisce principio ormai acquisito che, ‘in tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l.
n. 16 del 2012, conv. dalla l. n. 44 del 2012, l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, non utilizzati direttamente per commettere il reato, anche per l’ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento RAGIONE_SOCIALE operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del T .U. RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi approvato con d.P.R. n. 917 del 1986, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità’ (così ad es. Sez. 5, n. 11020 del 05/04/2022, Rv. 664285 -01). Peraltro la novella di cui all’art. 8, comma 1, cit., ha ‘efficacia retroattiva ‘in bonam partem” (cfr. tra le molte Sez. 5, n. 32587 del 12/12/2019, Rv. 656018 -01).
Ritualmente introdotta dalla contribuente nell’atto introduttivo del giudizio (di cui il ricorso rende conto) la questione della deducibilità dei costi sostenuti per l’effettivo acquisto, in sé e per sé, degli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui alle fatture, e devolutivamente riproposte dalla medesima in appello (come rammentato dalla CTR) tutte le doglianze già esperite in primo grado, tra cui, dunque, anche quella vertente sul ‘thema’ in esame, l’avere la sentenza impugnata, che non si è ‘funditus’ espressa al riguardo, ritenuto l’indeducibilità di detti costi integra il vizio di violazione di legge.
Ne consegue la necessità che il nuovo giudice, in sede di rinvio, previo annullamento ‘in parte qua’ della sentenza impugnata, esamini la questione che ne occupa, nondimeno nella rigorosa osservanza della giurisprudenza innanzi citata, con precipuo riguardo al fatto che in tanto la deducibilità dei cd. costi da reato è ammessa in quanto essi ‘non utilizzati direttamente per commettere il reato’.
In conclusione, in accoglimento del terzo motivo, la sentenza va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, rigettati i primi due, e, in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Sicilia per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 14 febbraio 2024.