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Costi da società cartiere: quando sono deducibili?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7031/2024, ha chiarito la distinzione tra indeducibilità IVA e deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette in caso di operazioni con società cartiere. Sebbene la detrazione IVA venga negata se il contribuente non prova la sua buona fede, i costi da società cartiere, se effettivamente sostenuti per un’operazione reale e non direttamente utilizzati per commettere un reato, possono essere dedotti dal reddito d’impresa, in applicazione retroattiva di una norma favorevole al contribuente.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi da Società Cartiere: la Cassazione apre alla Deducibilità per le Imposte Dirette

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il complesso tema dei costi da società cartiere, stabilendo un principio fondamentale sulla loro deducibilità. Se da un lato la detrazione dell’IVA è preclusa in caso di coinvolgimento, anche inconsapevole, in una frode, la deducibilità del costo ai fini delle imposte sui redditi (come IRES e IRAP) segue regole diverse e più favorevoli per il contribuente in buona fede che ha effettivamente sostenuto la spesa.

I Fatti del Caso: una contestazione su costi da società cartiere

Una società cooperativa, operante nel commercio di animali vivi, si è vista recapitare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione Finanziaria contestava la deducibilità di costi per oltre 268 milioni di lire, sostenuti nell’anno d’imposta 1998. La ragione della contestazione risiedeva nel fatto che le fatture provenivano da una società fornitrice identificata come una “società cartiera”.

Secondo le indagini della Guardia di Finanza, questa società era un mero schermo, priva di struttura, personale e beni, interposta fittiziamente in una transazione tra un venditore europeo e l’acquirente finale italiano. Lo scopo era quello di creare un meccanismo fraudolento per evadere l’IVA. Di conseguenza, l’Ufficio ha negato alla cooperativa sia la detrazione dell’IVA sia la deducibilità dei relativi costi dal reddito imponibile.

Il Percorso Giudiziario: Dalle Commissioni Tributarie alla Cassazione

Il contenzioso ha avuto esiti alterni nei primi due gradi di giudizio. La Commissione Tributaria Provinciale ha inizialmente dato ragione alla società contribuente, annullando l’accertamento. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale ha ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’Amministrazione avesse fornito prove sufficienti sull’inesistenza del fornitore e che la società acquirente non avesse dimostrato la propria buona fede e l’estraneità alla frode.

La cooperativa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali: un vizio di motivazione dell’atto impositivo, l’errata valutazione della prova sulla sua buona fede ai fini IVA e, infine, la violazione della norma sulla deducibilità dei cosiddetti “costi da reato” ai fini delle imposte dirette.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente i motivi di ricorso, arrivando a una decisione che distingue nettamente il trattamento fiscale ai fini IVA da quello ai fini delle imposte sui redditi.

La Questione dell’IVA: l’Onere della Prova della Buona Fede

I primi due motivi, relativi alla nullità dell’atto e alla detrazione IVA, sono stati respinti. La Corte ha ribadito il consolidato principio secondo cui, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare che il fornitore è una società fittizia e che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, di essere parte di un’evasione. Una volta fornita tale prova, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode, prova che non può limitarsi alla regolarità formale delle fatture e dei pagamenti.

La Svolta sui Costi da Società Cartiere e le Imposte Dirette

Il terzo motivo di ricorso è stato invece accolto. La Cassazione ha focalizzato l’attenzione sull’art. 14, comma 4-bis, della Legge n. 537/1993, una norma che disciplina la deducibilità dei costi relativi a operazioni illecite. La Corte ha evidenziato che, secondo la normativa più recente e con efficacia retroattiva favorevole (c.d. in bonam partem), l’acquirente di beni può dedurre i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti, anche se consapevole del carattere fraudolento dell’operazione ai fini IVA.

Il principio fondamentale è che, ai fini delle imposte sui redditi, ciò che conta è l’effettività del costo. Se la spesa è stata realmente sostenuta per l’acquisto di un bene o servizio e rispetta i principi generali di effettività, inerenza, competenza e certezza, essa è deducibile. L’indeducibilità scatta solo se tali costi sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato. Nel caso di specie, il costo era per l’acquisto di animali (un’operazione reale), non per la commissione diretta di un illecito.

La Commissione Tributaria Regionale aveva omesso di valutare questo specifico aspetto, limitandosi a confermare l’indeducibilità tout court sulla base della frode IVA. Per questo motivo, la sentenza è stata cassata con rinvio.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 7031/2024 della Corte di Cassazione segna un punto importante per le imprese che, loro malgrado, si trovano coinvolte in transazioni con costi da società cartiere. La decisione chiarisce che il trattamento ai fini IVA e quello ai fini delle imposte dirette non sono sovrapponibili. Anche quando la detrazione IVA è negata per mancanza di prova della buona fede, il costo effettivamente sostenuto per l’acquisto di beni o servizi può essere legittimamente dedotto dal reddito d’impresa. La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio a un nuovo giudice, che dovrà riesaminare la questione alla luce di questo principio, verificando se i costi sostenuti dall’azienda fossero reali e non impiegati direttamente per la commissione del reato.

Quando un’impresa può detrarre l’IVA su fatture provenienti da una società “cartiera”?
L’impresa può detrarre l’IVA solo se riesce a provare di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto e di non essere a conoscenza, né di aver potuto conoscere con l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale. La sola regolarità formale dei documenti non è sufficiente.

Se la detrazione IVA è negata, i costi da società cartiere sono sempre indeducibili anche ai fini delle imposte sui redditi (es. IRES/IRAP)?
No. Secondo la Corte, anche in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i costi possono essere dedotti ai fini delle imposte sui redditi a condizione che siano stati effettivamente sostenuti, siano inerenti all’attività d’impresa e non siano stati utilizzati direttamente per commettere un reato.

Chi deve provare cosa in un contenzioso su fatture da società cartiere?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare che la società fornitrice è fittizia (cartiera) e che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. Successivamente, l’onere si sposta sul contribuente, che deve fornire la prova contraria, ovvero di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nell’illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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