Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1858 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1858 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29021/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (-) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE FIRENZE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. FIRENZE n. 1607/2016 depositata il 20/09/2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni delle parti;
FATTI DI CAUSA
Con quattro avvisi di accertamento emessi per gli anni di imposta 2009-2010-2011-2012 ADEDirezione di Firenze ha contestato alla società RAGIONE_SOCIALE la presenza di costi indeducibili ex art. 14 comma 4 bis l. n. 537/1993, con un conseguente maggior reddito di impresa ed a fini IRAP per circa 2,5 milioni di Euro. Tali avvisi facevano seguito ad un PVC emesso dalla GDF di Empoli in data 15/04/2014 e ad un procedimento penale intrapreso dalla Procura della Repubblica di Firenze relativamente ad irregolarità nel trattamento degli scarichi connessi alla conciatura di pellame, da parte del Consorzio RAGIONE_SOCIALE Fucecchio e dalla citata società contribuente, che al primo conferiva i liquami oggetto di trattamento dopo averne operato la raccolta presso le imprese del territorio.
La società contribuente ha proposto impugnazione avverso detti avvisi, ma la CTP di Firenze ha respinto i ricorsi riuniti con la sent. n. 1598/2015.
La contribuente ha impugnato tale decisione e l’appello è stato ugualmente respinto dalla CTR della Toscana con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso in decisione.
Avverso detta sentenza ha proposto impugnazione la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con ricorso ritualmente notificato contenente cinque motivi di impugnazione.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
E’stata quindi fissata udienza pubblica per il 13/11/2024.
Nel corso di detta udienza la causa è stata discussa oralmente dal solo Avvocato dello Stato NOME COGNOME Il sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto dalla contribuente si fonda su cinque motivi che possono riassumersi così come segue:
art. 360 n. 3 e 5 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 co. 4 bis della l. n. 537/1993 per omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento a punto decisivo della controversia;
art. 360 n. 3 e 5 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 co. 4 bis della l. n. 537/1993 per omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento a punto decisivo della controversia;
art. 360 n. 5 per omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento a punto decisivo della controversia;
art. 360 n. 3 e 5 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 co. 4 bis della l. n. 537/1993 in relazione a motivazione illogica e contraddittoria con riferimento a un punto decisivo della controversia;
in via subordinata art. 360 n. 3 e 5 in relazione alla violazione di norme costituzionali, motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione al secondo motivo d’appello e illegittimità costituzionale del citato comma 4 bis.
I primi quattro motivi di ricorso appaiono strettamente connessi e possono pertanto essere affrontati congiuntamente. Con gli stessi mezzi, la parte ricorrente sostanzialmente deduce che -vuoi sotto un profilo di censura motivazionale, vuoi sotto il paradigma della
violazione di legge -al contrario di quanto ritenuto dalle due decisioni di merito la contribuente era in realtà estranea alla commissione del reato non colposo che sarebbe, in quanto tale, ascrivibile esclusivamente al RAGIONE_SOCIALE Fucecchio ed ai suoi dipendenti, il reato essendo consistito nell’alterazione dei risultati delle analisi sulla presenza di inquinanti negli scarichi reflui a valle dell’impianto di depurazione, ciò che avrebbe consentito di continuare il trattamento dei liquami che, altrimenti, avrebbe dovuto essere interrotto.
I motivi così proposti appaiono in parte infondati ed in parte inammissibili.
Iniziando proprio da quest’ultimo aspetto, occorre ricordare come la novella dell’art. 360 n. 5 c.p.c. abbia fortemente limitato l’oggetto del controllo motivazionale affidato al giudice delle leggi. Infatti, da un lato si è affermato che per effetto della modifica dell’art. 366-bis c.p.c., introdotta dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale). (Cass. civ. n. n. 29883 del 13/12/2017), E tanto sulla scia della nota decisione a S.U. che ha stabilito coma la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla
luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Nella specie, appare evidente la contraddittorietà della contestazione che sotto il medesimo angolo di visuale riconduca la pretesa illegittimità della decisione, contemporaneamente, sotto il tema del vizio motivazionale e dell’errore di diritto, tanto è vero che i motivi, in realtà, contestano con chiarezza proprio l’applicazione dell’art. 14, comma 4 bis della l. n. 537/1993, ciò che esclude, dal punto logico prima ancora che giuridico, che tanto sia avvenuto sulla scorta di una motivazione che non supera il c.d. ‘minimo costituzionale’. Del resto, le censure non indicano sul punto una vera e propria ‘omissione’ quanto, piuttosto, un’alternativa ricostruzione fattuale e giuridica della vicenda.
Se, quindi, i mezzi proposti appaiono inammissibili nella parte in cui contestano la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., occorre piuttosto verificarne la fondatezza o meno sotto il profilo della censura per violazione e/o falsa applicazione della richiamata disposizione.
Ma anche sotto tale profilo, come anticipato, i motivi di ricorso non possono trovare accoglimento. Gli stessi, infatti, nel loro nucleo essenziale, non negano che un reato non colposo vi sia stato e che per esso sia stata esercitata l’azione penale, ma protestano una
certa estraneità della società RAGIONE_SOCIALE rispetto a condotte che sarebbero da ascrivere unicamente al RAGIONE_SOCIALE Fucecchio.
Tale conclusione è, tuttavia, non condivisibile e non riflette neppure compiutamente le ragioni della decisione impugnata.
Non è contestata, in primo luogo, l’affermazione della CTR conforme quanto ad accertamento fattuale a quanto rilevato dai giudici di primo grado -secondo cui ‘La Commissione condivide pienamente la sentenza impugnata per tutte le motivazioni in essa riportate constatando: -che esistevano stretti legami tra il Consorzio e la società ricorrente connessi soprattutto alla partecipazione di maggioranza detenuta dal Consorzio (83,33%) del capitale della RAGIONE_SOCIALE, alla partecipazione dei rappresentanti legali e dei vertici direzionali del Consorzio negli organi direzionali e tecnici della società, alla concessione in comodato gratuito alla RAGIONE_SOCIALE dei locali di proprietà del Consorzio, nello stesso edificio nel quale insisteva anche la sede dell’Ente; – che i vertici del Consorzio erano stati condannati per il reato ambientale loro ascritto per l’effettuazione di processi di depurazione in un impianto manomesso ed in violazione di ogni autorizzazione’.
Come esposto nel controricorso dall’Agenzia, il sig. COGNOME NOMECOGNOME oltre ad essere presidente del consiglio direttivo del Consorzio, era anche membro del Cda della RAGIONE_SOCIALE, inoltre, il reato contestato non è affatto limitato -come pare accreditare la ricorrente -ad una qualche mera alterazione di dati o esami, bensì consisteva nella violazione degli artt. 110 c.p. e 260 del d.lgs. n. 152/2006 relativo a soggetti che in concorso tra loro, con più operazione e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative gestivano abusivamente…ingenti quantità di rifiuti liquidi derivanti da lavorazioni industriali conciarie. In particolare, omettevano di impiegare adeguati quantitativi di prodotti chimici di
abbattimento del carico inquinante, falsificavano la documentazione delle analisi del laboratorio interno all’ente e falsificavano i campioni di controllo’.
Ora, i costi di cui la ricorrente sostiene la deducibilità, corrispondono esattamente a quanto pagato al consorzio per il compimento di detta attività illecita che, si ripete, riguardava anche la gestione ed il trattamento dei liquami raccolti sul mercato dalla contribuente.
Suggestiva la tesi della ricorrente (vds. nota n. 6 a p. 16 del ricorso) secondo cui poiché il Consorzio conciatori di Fucecchio ha subito la confisca degli importi ricavati dall’attività di depurazione, poiché tra questi ricavi vi sono anche i corrispettivi che la RAGIONE_SOCIALE ha pagato al Consorzio medesimo per il trattamento dei rifiuti che essa conferiva, allora gli stessi sarebbero oggetto di una ‘doppia tassazione’. Vero essendo il contrario, a prescindere dalla diversità dei piani e dei soggetti rispettivamente incisi sul piano sanzionatorio, posto che certamente il prezzo o il profitto del reato possono valere per un soggetto economico tanto a fini di confisca penale quanto, per altri, dal punto di vista tributario, come onere che, proprio per aver direttamente consentito la commissione del reato, va ritenuto indeducibile.
Peraltro, come anticipato, la mancata specifica censura degli accertamenti in fatto compiuti dalla decisione di merito, sopra richiamati, in ordine all’assenza di reale terzietà fra RAGIONE_SOCIALE e società dalla medesima controllata, rende evidentemente recessive le ulteriori censure mosse in ricorso.
Sez. 5, ord. n. 9077 del 01/04/2021, ha correttamente precisato che in tema di tassabilità dei proventi da attività illecita, a norma dell’art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012), norma integrante “ius superveniens” astrattamente più favorevole al contribuente e,
quindi, avente efficacia retroattiva, l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, con la richiesta di rinvio a giudizio, è sufficiente ad escludere la deducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva ritenuto indeducibili i costi sopportati per l’esercizio senza autorizzazione di attività odontoiatrica, in relazione alla quale il contribuente era stato condannato per il reato di cui all’art. 348 c.p.).
L’imputazione per la quale è stata esercitata l’azione penale (ed anzi vi è stata condanna in primo grado, come conferma nella nota n. 1 la stessa ricorrente) contempla una condotta articolata che riguarda anche la gestione e la raccolta dei rifiuti oggetto di illecito trattamento alla quale certamente non è estranea la stessa contribuente ed i soggetti che per essa hanno operato direttamente ed il cui costi è anzi, direttamente, quello che si vorrebbe dedurre dal reddito d’impresa.
Ne consegue pertanto il rigetto, sotto il denunciato profilo di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., dei motivi di ricorso in esame.
3. Inammissibile appare, invece, il quinto motivo di ricorso, il quale opera una mescolanza di contestazioni che portano la ricorrente a contestare -contemporaneamente -sia la motivazione della sentenza impugnata che la costituzionalità delle disposizioni applicate.
Pertinente appare, mutatis mutandis , il seguente principio di diritto, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che
suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. (Cass. n. 26874 del 23/10/2018). Tanto, non senza ricordare che Corte Cost. 23 febbraio 2011 aveva comunque ritenuto inammissibile la questione di costituzionalità sollevata nei confronti dell’art. 14 cit.
Il ricorso deve essere, pertanto, complessivamente respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso per quanto in motivazione;
condanna parte ricorrente ed in favore della controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.250, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 novembre