Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21150 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21150 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
AVVISO ACCERTAMENTO IRAP-IRES-ALTRO 2005
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 180/2016 R.G. proposto da: BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio degli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, dai quali è rappresentato e difeso unitamente al prof. a AVV_NOTAIO e all’AVV_NOTAIO, come da procura speciale a margine del ricorso,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2178/02/2015, depositata il 19 maggio 2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 marzo 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
preso atto che il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo l’accoglimento parziale del primo di ricorso, rigettati gli altri motivi;
-Rilevato che:
1. A seguito di processo verbale di constatazione, l’RAGIONE_SOCIALE regionale della Lombardia notificava, in data 19 dicembre 2011, al RAGIONE_SOCIALE, quale risultante dalla fusione tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEc.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO, con i quali accertava, per l’anno di imposta 2005, un maggiore imponibile per € 158.664.953,21, con conseguente maggiore IRES, riferita al reddito complessivo globale del consolidato, per € 52.359.435,00 e una maggiore IRAP per € 4.474.663,00, oltre interessi. Con tali avvisi, inoltre, venivano irrogate due sanzioni, la prima consistente in una sanzione pecuniaria nella misura massima del duecento per cento della maggiore imposta accertata, determinata in € 104.718.869,00 ai fini IRES e in € 8.949.326,00 ai fini IRAP, la seconda nella sanzione accessoria prevista dall’art. 21, lett. b ), del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 di interdizione dalla partecipazione a gare per
l’affidamento di pubblici appalti e forniture per la durata di sei mesi.
Tali accertamenti si fondavano sul controllo fiscale effettuato sulle operazioni finanziarie intercorse nel 2005 tra la RAGIONE_SOCIALE -poi denominata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (BPI) -e il RAGIONE_SOCIALE, entrambi coinvolti nell’op erazione di acquisizione del controllo di RAGIONE_SOCIALE Antoniana RAGIONE_SOCIALE Veneta s.p.a.
Sulla base, pertanto, della rilevanza penale dei comportamenti assunti in tali operazioni, a seguito di acquisizione del relativo fascicolo presso la Procura della Repubblica di Milano, l’RAGIONE_SOCIALE provvedeva a contestare la deducibilità fiscale di taluni costi/oneri sostenuti dalla BPI nell’anno 2005, in quanto ritenuti ‘costi da reato’ ai sensi dell’art. 14, comma 4 -bis , della legge n. 24 dicembre 1993, n. 537.
In particolare, venivano ritenuti indeducibili, e quindi venivano recuperati a tassazione, i seguenti componenti negativi del reddito: a ) svalutazioni crediti per € 923.960,00 ai fini IRES; b ) commissioni passive per garanzie ricevute per € 75.125.225,41, ai fini IRES/IRAP; c ) costi di destrutturazione RAGIONE_SOCIALE operazioni su minorities per € 44.070.217,67; d ) costi per consulenze tecniche e legali per la strutturazione RAGIONE_SOCIALE operazioni per € 38.545.550,14 ai fini IRES/IRAP; conseguentemente, per effetto dei suddetti recuperi, veniva diminuita la perdita da trasferire al consolidato da € 471.486.090, come dichiarato dalla società, ad € 312.821.137,00, con maggiore IRES per € 52.359.435,00, e
veniva accertato un valore della produzione netta ai fini IRAP di € 93.304.858,00, a fronte di quello dichiarato di € 64.436.135,00, con maggiore IRAP di € 4.474.663,00.
Avverso tali avvisi di accertamento, il RAGIONE_SOCIALE proponeva separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, la quale, con sentenze n. 8561/22/2014 e n. 8562/22/2014, depositate entrambe in data 15 ottobre 2014, li rigettava, confermando integralmente sia la pretesa impositiva che sanzionatoria.
Interposti separati gravami dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 2178/02/2015, pronunciata il 6 maggio 2015 e depositata in segreteria il 19 maggio 2015, rigettava gli appelli riuniti, con condanna della soccombente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla base di quattro motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
All’udienza pubblica del 22 marzo 2024 sono comparsi i procuratori RAGIONE_SOCIALE parti, che hanno concluso come da verbale in atti.
Il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo l’accoglimento parziale del primo motivo di ricorso, rigettati gli altri.
-Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso, la società eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 331 cod. proc. pen. e 4 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, l’ illegittimità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha rigettato la doglianza afferente alla nullità degli avvisi di accertamento emessi sia ai fini IRES sia ai fini IRAP, in quanto notificati tardivamente, dato che in relazione alla fattispecie contestata in sede tributaria non sussisterebbe l’obbligo di denuncia per uno dei reati fiscali di cui al d.lgs. n. 74/2000, in quanto i costi recuperati non sarebbero ‘fittizi’.
Secondo la ricorrente, in particolare, nel caso di specie, non ricorrerebbe l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 in quanto con l’espressione ‘elementi passivi fittizi’ sarebbero da annoverarsi soltanto i costi non effettivamente sostenuti o sostenuti in misura inferiore rispetto a quelli dichiarati, e non anche i costi effettivamente sostenuti ma indeducibili. Dagli atti del giudizio, infatti, sarebbe pacifico che le componenti negative del reddito, relative alla sopracitata operazione finanziaria, sarebbero state effettivamente sostenute e contabilizzate. Ciò posto, ne deriverebbe che, poiché il fatto denunciato dovrebbe essere almeno astrattamente sussistente, la mancanza quantomeno di un elemento essenziale della fattispecie incriminatrice eliminerebbe lo stesso obbligo di denuncia penale, presupposto necessario ai fini dell’applicazione del regime del raddop pio dei termini. In altri termini, nel caso di specie, adottando
l’interpretazione secondo cui per ‘elementi passivi fittizi’, quale elemento essenziale del reato previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000, sarebbero da intendersi soltanto i costi fittizi o difformi da quelli dichiarati, la fattispecie incriminatrice non sarebbe neanche astrattamente esistente in quanto i costi oggetto di giudizio sarebbero stati in realtà effettivamente sostenuti, con la conseguenza che non vi sarebbe neppure l’obbligo di denuncia penale e, quindi, mancherebbe il presupposto stesso per l’applicazione del regime del raddoppio dei termini.
In secondo luogo, sempre rispetto al regime del raddoppio dei termini e, in particolare, al ricorrere degli elementi previsti dall’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 e alla conseguente sussistenza o meno dell’obbligo di denuncia, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente ritiene che, ai fini del calcolo del superamento o meno della soglia di punibilità fissata dalla norma, l’espressione ‘ imposta evasa ‘ sarebbe da interpretare nel senso di ‘imposta effettiva’ e non, come invece ritenuto dalla C.T.R., di ‘imposta teorica’. Secondo l ‘impostazione seguita dal giudice a quo , infatti, si dovrebbe far riferimento all’imposta calcolata sulla rettifica operata sulla dichiarazione della consolidata, a prescindere RAGIONE_SOCIALE ricadute che tale rettifica avrebbe sul consolidato. La diversa ricostruzione presentata dalla società, invece, considerere bbe quale ‘imposta evasa’ quella risultante dal maggior reddito complessivo globale derivante dal consolidato a seguito della rettifica operata sulla dichiarazione di una consolidata. Tale diversa interpretazione, sottolinea la RAGIONE_SOCIALE, non sarebbe priva di rilevanza, dato che, rispetto a periodi di imposta in cui una società dichiarerebbe perdite fiscali, bisogna
accertare se tale perdita riesca comunque a coprire il maggior reddito accertato, con la conseguenza che comunque nessuna imposta sarebbe dovuta. Nel caso di specie, infatti, sarebbe pacifico che, nell’esercizio 2005, sia la consolidata BPI che la consolidante-parte ricorrente avrebbero sostenuto una perdita fiscale, per come presentata in dichiarazione, superiore e, quindi, assorbente rispetto al maggior imponibile accertato in capo alla consolidata, con la conseguenza che, comunque, non sarebbe stata dovuta alcuna imposta. Conclude la società evidenziando che, mancando l’imposta evasa, intesa come imposta effettiva, non sarebbe superata la soglia di punibilità prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 e, quindi, non sarebbe applicabile il regime del raddoppio dei termini, difettando il necessario obbligo di denuncia.
In terzo e ultimo luogo, secondo la ricorrente, il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere applicabile anche all’ imposta IRAP il regime del raddoppio dei termini, non essendo le violazioni fiscali in materia IRAP penalmente rilevanti. La fattispecie incriminatrice di dichiarazione infedele, ex art. 4 del d.lgs. n. 74/2000, infatti, farebbe riferimento soltanto alle dichiarazioni presentate ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte su i redditi (IRES) e dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). La C.T.R., in particolare, avrebbe errato nel trattare in modo unitario le doglianze formulate sull’applicabilità del regime del raddoppio dei termini previsto dall’art. 43, terzo comma, D.P.R. n. 600/1973, non accorgendosi, invece, che le stesse censure non sono tra di loro sovrapponib ili, l’una riguardante l’imposta IRES, l’altra l’imposta IRAP. In altri termini, per quanto riguarda l’avviso di accertamento con il quale è stato contestata una maggiore
IRAP, lo stesso dovrebbe ritenersi nullo in quanto non si applicherebbe il regime del raddoppio dei termini, dato che tale accertamento non sarebbe sussumibile sotto la fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso il RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4bis , della legge n. 537/1993, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, che, con riferimento all’art. 14, comma 4bis , della l. n. 537/1993, nella sua formulazione previgente e per come successivamente novellato dall’art. 8, comma 1, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazione dalla 26 aprile 2012, n. 44 , per ‘costi da reato’ si dovrebbero intendere soltanto i costi che si pongano in un rapporto causale diretto con la realizzazione dell’attività illecita . La RAGIONE_SOCIALE.T.RRAGIONE_SOCIALE, invece, avrebbe erroneamente interpretato tale disposizione, in aderenza all ‘operato dell’Ufficio, ricomprendendo tra tali costi indeducibili quelli ‘riconducibili’ , ancorché strettamente, al reato. La disposizione, per come formulata nel testo previgente e soprattutto per come modificata, prescriverebbe, invece, che, ai fini della indeducibilità, i costi attengano a beni o servizi direttamente utilizzati al compimento del delitto, con la conseguenza che dovrebbero ritenersi deducibili sia i costi funzionali ad un’attività lecita, come sarebbe quella di acquisizione del controllo di una banca, sia i costi che non hanno alcun legale di causalità diretta con la commissione dei reati, ponendosi cronologicamente ‘a valle’ degli stessi. Nella prospettiva interpretativa offerta dalla RAGIONE_SOCIALE, pertanto, mancherebbe il fondamento stesso della pretesa impositiva
dell’RAGIONE_SOCIALE, non sussistendo ‘costi da reato’ indeducibili, trovandosi anzi di fronte a ‘delitti senza costi’, cioè a delitti la cui realizzazione non presupporrebbe l’acquisizione di alcun bene o servizio, o, comunque, trattandosi di costi fisiologici e tipici di una qualunque operazione di acquisizione societaria.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata era errata, nella parte in cui i giudici avevano rigettato la doglianza della società afferente all’illegittimità RAGIONE_SOCIALE sanzioni irrogate (principale e accessoria) per oggettiva incertezza normativa.
Nello specifico, il RAGIONE_SOCIALE deduce che il giudice a quo avrebbe omesso di pronunciarsi sulla legittimità RAGIONE_SOCIALE sanzioni irrogate sulla base della mera petizione di principio per cui non sussisterebbe l’esimente dell’obiettiva incertezza e che la società contribuente non l’avrebbe provata. In sede di giudizio, invece, parte ricorrente avrebbe osservato l’esistenza di una incertezza normativa oggettiva derivante da diversi fattori, tra cui il tenore vago della previgente formulazi one dell’art. 14, comma 4 -bis , della legge n. 537/1993, l’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale, nonché la necessità di un intervento chiarificatore della Corte Costituzionale.
In via subordinata, la contribuente lamenta che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe comunque errato nel ritenere non sussistente l’eccepita esimente RAGIONE_SOCIALE obiettive condizioni di incertezza.
Secondo la stessa, infatti, la predetta esimente troverebbe il suo fondamento nell’obiettiva circostanza che ci si trovi dinanzi a previsioni normative equivoche tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l’in dividuazione certa di un significato determinato. La parola ‘riconducibili’ recata dall’art. 14, comma 4 -bis, della L. n. 537/1993 costituirebbe pertanto una incertezza normativa obiettiva e, quindi, caso di operatività del l’esimente in questione.
1.4. Con il quarto e ultimo motivo di ricorso, la società contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, l’ illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici hanno rigettato la doglianza della RAGIONE_SOCIALE afferente alla illegittimità della irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni pecuniarie in misura superiore al minimo edittale, non ricorrendo i relativi presupposti di legge. Ad avviso della ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere sufficiente, ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa tributaria in misura superiore al minimo edittale, la sola inesistenza della esimente della obiettiva incertezza normativa e non anche i presupposti previsti dall’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 472/1997, che fisserebbe il principio secondo il quale l’irrogazione di una sanzione amministrativa in misura superiore al minimo edittale presupporrebbe che la violazione contestata si connoti di particolare gravità, non potendosi invece considerare una sanzione superiore al minimo edittale sempre e comunque
legittima. Da tale assunto, ne deriverebbe che, mancando i presupposti previsti dall’art. 7 citato, il giudice di seconde cure avrebbe dovuto rideterminare le sanzioni al minimo edittale.
2. In via preliminare, deve rilevarsi che, successivamente all’udienza di discussione ed alla riserva della decisione da parte di questa Corte, la difesa della ricorrente ha depositato, in data 1-2 luglio 2024, due memorie per applicazione dello ius superveniens , in conseguenza dell’entrata in vigore del d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (in G.U. del 28 giugno 2024, entrato in vigore il 29 giugno 2024), e ciò con riferimento al profilo della modifica della sanzione per infedele dichiarazione di cui all’art. 1, comm a 2, del d.lgs. n. 471/1997, ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. a ), num. 3), del d.lgs. n. 87/2024, ed al profilo dei rapporti tra processo penale e giudizio tributario.
A tal proposito, questa Corte evidenzia che l’art. 5 del d.lgs. n. 87/2024 dispone che l’art. 2 dello stesso d.lgs. (riguar dante le sanzioni) si applichi alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024; nel contempo, l’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, prevede che «Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo».
Appare quindi opportuno, sulla questione del rapporto tra l’art. 5 d.lgs. n. 87/2024 e l’art. 3, comma 3, d.lgs. n. 472/1997, e, più in generale, sulla rilevanza dello ius superveniens nel caso di specie, assegnare al Pubblico Ministero ed alle parti, ai sensi dell’art. 384, comma 3, cod. proc. civ., un termine di gg. 60 dalla comunicazione della
presente ordinanza per il deposito in cancelleria di osservazioni sulle suddette questione.
Riserva all’esito la decisione.
P.Q.M.
La Corte, visto l’art. 384, comma 3, cod. proc. civ., assegna al Pubblico Ministero ed alle parti il termine di gg. 60 dalla comunicazione della presente ordinanza, per il deposito in cancelleria di osservazioni sulle questioni indicate in premessa. Riserva all’esito la decisione.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2024 e, a seguito di