Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7815 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7815 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE sedente in Gela, con avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata
–
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Caltanissetta, n. 2991/21/2016 depositata il 30 agosto 2016.
e sul ricorso RG n. 12755/2017 proposto da:
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
controricorrente –
RISTRETTA BASE, LITISCONSORZIO
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Caltanissetta, n. 3924/7/2016 depositata il 7 novembre 2016.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del sei febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso quanto alla prima controversia per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; quanta alla seconda per l’accoglimento del ricorso.
Dato atto che il difensore dei ricorrenti NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi, mentre la difesa erariale ne ha chiesto il rigetto.
RILEVATO CHE
1.Con avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2006, l’Agenzia riprendeva a tassazione nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (anche con riguardo al mancato versamento delle ritenute sui redditi extrabilancio distribuiti ai soci) le somme derivanti dal disconoscimento di costi sostenuti per operazioni con paesi a fiscalità privilegiata, nonché sopravvenienze passive derivanti da perdite su crediti. La CTP accoglieva parzialmente il ricorso, mentre la CTR, adìta in sede d’appello dell’Agenzia, riteneva la legittimità della ripresa fiscale.
Ricorre in cassazione la società contribuente fondando le difese su quattro motivi, mentre l’Agenzia è rimasta intimata.
Da ultimo la contribuente ha depositato memoria illustrativa.
2.Con avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2006, l’Agenzia riprendeva a tassazione gli asseriti utili extrabilancio percepiti dal contribuente COGNOME qual socio di società a ristretta base azionaria (RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. La CTP accoglieva il ricorso e l’Agenzia spiegava appello, frattanto avendo anche impugnato la sentenza con cui veniva accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento nei confronti della società presupposto della ripresa
nei riguardi del socio. La CTR, preso atto dell’accoglimento dell’appello dell’Agenzia avverso l’accertamento nei confronti della società e della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili prodotti da società a ristretta base, accoglieva l’appello spiegato dall’amministrazione.
Il contribuente COGNOME propone così ricorso in cassazione affidato a cinque motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
Da ultimo il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Pregiudizialmente il collegio dispone la riunione dei due procedimenti, sussistendo fra gli stessi un’evidente connessione avendo essi ad oggetto, con riguardo al medesimo anno d’imposta, l’uno l’accertamento nei confronti della società, presupposto dell’altro relativo all’accertamento nei confronti del socio per la ripresa degli utili extra-bilancio asseritamente percepiti dallo stesso e appunto derivati dal disconoscimento dei costi dichiarati dalla società.
Devono allora prioritariamente esaminarsi i motivi relativi alla controversia introdotta dalla società.
2. Con il primo motivo di ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 110, comma 11, D.P.R. n. 917/1986, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», la contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non raggiunta la prova liberatoria di cui all’art. 110, comma 11, TUIR, per non avere la contribuente provato di avere avuto un effettivo interesse economico a intrattenere relazioni commerciali con imprese residenti in paesi a fiscalità privilegiata. Sostiene infatti la ricorrente che sul punto la sentenza impugnata non è condivisibile, avendo l contribuente dimostrato sia la concreta esecuzione ed effettività delle operazioni commerciali contestate, sia la sussistenza del suddetto interesse economico.
1.1. Il motivo è fondato.
La norma in argomento, art. 110 TUIR, ai commi 10 e 11, nella versione ratione temporis applicabile (quindi anteriore alla novella di cui alla l. n. 147/2013), stabilisce che le spese derivanti da operazioni con imprese residenti i paesi a fiscalità privilegiata sono ammesse in deduzione, sempre che abbiano avuto concreta esecuzione, al loro ‘valore normale’ come fissato dall’art. 9 stesso decreto, salvo che le imprese residenti in Italia forniscano la prova che siffatte operazioni rispondono ad un effettivo interesse economico ovvero che le imprese residenti nei paesi a fiscalità privilegiata, con cui esse posero in essere siffatte operazioni, svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva
Pertanto, al fine della deduzione nei termini di cui al comma 11 occorre(va) -oltre alla prova dell’effettività dell’operazione la dimostrazione o che l’impresa estera svolgesse un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico (sempre che le stesse hanno avuto concreta esecuzione) (Cass. 30 novembre 2021, n. 37373; in senso conforme, Cass. 28 dicembre 2024, n. 34733).
Sotto il profilo della verifica dell’interesse economico effettivo, occorre «valutare la bontà del risultato imprenditoriale conseguito, sicché occorre tenere conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, e tenendo conto del prezzo stabilito negozialmente, della presenza di costi accessori della fornitura, dei tempi di consegna, dell’esistenza di vincoli contrattuali che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore inserito nella black list o comunque che renderebbero eccessivamente onerosa la transazione con altro fornitore (in tal senso anche la circolare n. 51/2010 dell’Agenzia delle entrate)» (Cass. 6 marzo 2024, n. 6101; in senso conforme, Cass. 28 dicembre 2024). Più in generale
occorre la prova che l’operazione con l’impresa nel paese a fiscalità privilegiata risponde ad un interesse economico che non sarebbe possibile soddisfare, ad esempio, con un fornitore residente in altro paese.
Nella specie la Commissione Tributaria Regionale ha colto la ratio della disposizione laddove ha osservato che «il giudice di prime cure avrebbe dovuto esigere la prova dell’effettivo interesse ad intrattenere relazioni commerciali con imprese residenti in paesi a fiscalità privilegiata (…) Interesse che non può essere ricondotto a sole valutazioni di natura fiscale, ma che deve trovare riscontro anche in ulteriori valutazioni economiche riguardanti l’economicità delle relative operazioni».
Essa però si è sottratta all’esame degli elementi concreti che sono stati portati ai fini della dimostrazione circa la ricorrenza dell’interesse in esame.
Ai fini cioè della corretta sussunzione della fattispecie, occorreva esaminare gli elementi portati dalla parte ricorrente, che ha allegato ad esempio come proprio la stipulazione dei contratti di nolo (relativi al trasporto di cereali) attraverso l’intermediazione del broker prescelto, avrebbe consentito un aumento sensibile dell’utile, sottolineando che l’individuazione delle imprese incaricate del nolo stesso era effettuato in autonomia dal broker sulla base di una ricerca sul mercato internazionale, elementi che i ricorrenti supportano con le relative dichiarazioni dei brokers, anch’esse affidate alla valutazione del giudice del merito.
Anche sotto il profilo dell’altro presupposto (alternativo) per l’applicabilità del disposto del comma 11 dell’art. 110 TUIR, la ricorrente ha fornito elementi che andavano valutati dal giudice del merito, consistenti nella documentazione che riguarda l’assunta effettività delle imprese residenti nei paesi a fiscalità privilegiata (e rintracciate come più convenienti dal broker, per come indicato dalla ricorrente), che la ricorrente individua anche dal Register of
Ships che annota il possesso da parte del noleggiatore delle motonavi che concretamente hanno trasportato i cereali della ricorrente (circostanza quest’ultima che sarebbe riscontrabile dalle fatture in cui è evidenziato appunto il nome dell’imbarcazione).
Orbene, di tutto questo materiale probatorio la CTR non ha fatto alcuna valutazione, per cui sotto tal profilo la sentenza sul punto dev’essere cassata.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «Violazione dell’art. 101, comma 5, TUIR, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», la ricorrente censura il capo della decisione con il quale la Commissione Tributaria Regionale ha accolto il secondo motivo di appello, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva lamentato il mancato riconoscimento delle sopravvenienze passive da parte del giudice di primo grado, ritenendo che sul punto la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale non era condivisibile, visto che: a) dall’esame della documentazione in atti era emerso che solo una parte delle sopravvenienze passive era costituita da importi ‘irrisori’; b) la contribuente non aveva depositato alcuna documentazione riguardante l’attivazione delle procedure di recupero dei crediti vantati nei confronti di clienti esteri.
A parere della ricorrente tali argomentazioni non sarebbero rilevanti in quanto circa l’irrisorietà degli importi, essa doveva essere valutata in rapporto al fatturato, mentre circa la mancata attivazione delle procedure di recupero, la deducibilità della sopravvenienza passiva poteva essere riconosciuta anche ove non fosse conveniente affrontare il recupero del credito, se di modesto importo rispetto alle spese legali.
2.1. Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 101, quinto comma, TUIR, nella versione anteriore alla novella di cui alla l. n. 147/2013, subordina la deducibilità delle perdite su crediti non in base al criterio prudenziale di cui all’art. 2425 -bis, n. 1, cod. civ.,
bensì in base a quello dell’irrecuperabilità del credito in termini di certezza, ossia in caso di definitiva inesigibilità o irrecuperabilità dello stesso (Cass. 4 maggio 2018, n. 10686).
Pertanto, salvo il caso in cui la perdita in parola non sia correlata all’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale (per il quale invece la norma prevede un’automatica presunzione dei requisiti per la deduzione, cfr. Cass. n.13712/2022), occorre la presenza della perdita stessa in termini di certezza e precisione, requisiti sussistenti solo quando il debitore non paghi volontariamente e i crediti non possano essere soddisfatti coattivamente (Cass. 3 ottobre 2018, n. 24012; Cass. 23 dicembre 2014, n. 27296).
In particolare, ove la perdita derivi da rinuncia al credito, occorre che l’atto unilaterale di rinuncia (come anche la transazione) sia giustificato da una effettiva irrecuperabilità dello stesso (Cass. n. 37174/2021), poiché, diversamente, rientrerebbe negli atti di liberalità indeducibili ai fini fiscali (Cass. 20 aprile 2016, n. 7860; Cass. 27 aprile 2018, n. 10211; Cass. 22 novembre 2018, n. 30224).
Nella specie la sentenza impugnata si è adeguata a tali principi avendo escluso la deducibilità delle sopravvenienze passive oggetto del giudizio per non avere la contribuente assolto all’onere di dimostrare l’attivazione delle opportune procedure di recupero e la oggettiva irrecuperabilità dei crediti nei termini sopra indicati 3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato «Violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 39, comma l, lett. d), D.P.R. n. 600/73, rilevante ex art. 360, comma l, n. 3, c.p.c.», la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE/2011 relativo all’omesso versamento di ritenute alla fonte sugli utili accertati e presuntivamente distribuiti, venendo in rilievo la presunzione di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, essendo RAGIONE_SOCIALE una
società di capitali a ristretta base azionaria. Sostiene la ricorrente che le argomentazioni addotte dalla Commissione Tributaria Regionale non siano condivisibili, sia perché l’Amministrazione Finanziaria non avrebbe dimostrato che la contribuente fosse una società a ristretta base azionaria, sia perché la presunzione di distribuzione degli utili dovrebbe ritenersi superata dalle considerazioni svolte dalla ricorrente nel ricorso introduttivo, con il quale essa aveva impugnato il suddetto avviso di accertamento rilevando che le contestazioni dell’Ufficio riguardavano, in realtà, non proventi positivi non dichiarati o proventi negativi sovraesposti, ma bensì costi pacificamente sostenuti e regolarmente corrisposti al fornitore estero.
3.1. Il motivo è ammissibile nella misura in cui dalla parte in fatto del ricorso emerge come l’avviso di accertamento attenga all’omesso versamento delle ritenute sugli utili extracontabili derivanti dalle due riprese oggetto dei motivi precedenti. Esso non è peraltro fondato, poiché con il medesimo si contesta la natura di società a ristretta base azionaria. La contestazione, a differenza di quanto asserito dalla CTR, era presente nell’atto di appello e si basava su alcuni elementi consistenti a) nella natura di società per azioni; b) nell’assenza di legami fra i soci.
Sotto il primo profilo risulta la piena compatibilità fra la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili e la forma di s.p.a. (cfr. Cass. 18032/2013), mentre non è certo presupposto per l’applicazione della suddetta presunzione la presenza fra i soci di rapporti di parentela, in quanto la ‘ristrettezza’ della base sociale implica di per sè un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio (Cass. n. 24572/14), derivante appunto dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, e non già necessariamente da un vincolo di parentela.
Va in proposito affermato il seguente principio di diritto
‘Per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili fra i soci di una società a ‘ristretta base azionaria’, fondata sul disposto di cui all’art. 39, primo comma, lett. d) del d.p.r. n. 600/1973 -non è necessario che tra i soci stessi sussista un legame di parentela, né è ostativo che la società stessa rivesta la natura di società per azioni, essendo sufficiente la ristrettezza della base sociale che implica in sé di norma un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio’.
Dunque, pur con diversa motivazione, la sentenza sul punto non dev’essere cassata.
Nella parte in cui invece il motivo si richiama all’infondatezza della ripresa in ragione dell’insussistenza di utile extrabilancio, lo stesso risulta assorbito da quanto discende dall’accoglimento del primo motivo e dal rigetto del secondo.
4. -Con il quarto motivo, rubricato «Error in procedendo. Violazione dell’art. 112, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma l, n. 4», la ricorrente deduce che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi pronunciata sull’eccezione relativa all’ingiustificata maggiorazione delle sanzioni in materia di IVA, riproposta nel giudizio di secondo grado per contrastare l’appello erariale in punto di sanzioni.
4.1. Il motivo è fondato.
In effetti la ricorrente aveva insistito sia in primo grado che con l’atto di costituzione in appello in ordine al fatto che a pag. 6 dell’accertamento l’ufficio aveva applicato l’aumento alla sanzione in materia di violazione i.v.a. e d’altronde il fatto che l’ufficio non avesse in realtà effettuato recuperi a tassazione a fini i.v.a.
Orbene nulla di tutto ciò viene minimamente trattato nella sentenza d’appello, pur costituendo l’oggetto del motivo parte del provvedimento amministrativo impugnato.
5. Venendo ora ai motivi proposti dal COGNOME, con il primo d’essi, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», il contribuente deduce che la sentenza impugnata va censurata per non avere disposto la sospensione necessaria del processo relativo all’avviso di accertamento che lo riguardava, pur essendo, alla data della relativa pronuncia, ancora pendente il processo riguardante l’avviso di accertamento presupposto n. TYQ03D500298/2011, emesso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in materia di IRES e IRAP per l’anno 2006. Deduce a riguardo che l ‘ avviso di accertamento da ultimo citato era stato parzialmente annullato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta con sentenza n. 91/03/13, con la quale era stata dichiarata legittima la sola sanzione irrogata ai sensi dell ‘ art. 8, comma 3 bis del d.lgs. n. 471 del 1997; che la suddetta sentenza era stata riformata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo con sentenza n. 2991/21/16 del 25 luglio 2016, depositata il 30 agosto 2016, con la quale era stato confermato l’avviso di accertamento relativo alla società; che alla data in cui la Commissione Tributaria Regionale ha pronunciato la sentenza impugnata con il presente ricorso era ancora pendente il termine per la proposizione del ricorso in Cassazione avverso la sentenza n. 2991/21/16; che tale ultima sentenza non è passata in giudicato, avendo la società RAGIONE_SOCIALE proposto ricorso per cassazione contro di essa, iscritto al r.g. n. 4569/17 e non ancora definito. Conseguentemente la sentenza impugnata, invece di decidere sui motivi di appello proposti dall’Agenzia delle Entrate, avrebbe dovuto sospendere il processo ex art. 295 cod. proc. civ.
5.1. Costituisce principio consolidato quello per cui l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, in
ipotesi come quelle riferibili alla contestazione di utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano. Tuttavia, solo l’annullamento dell’accertamento societario con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari (Cass. n. 752 del 2021 cit.).
Ciò posto, risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che l’appellato, nel costituirsi in giudizio, aveva eccepito l’illegittimità derivata dell’accertamento impugnato e che la Commissione Tributaria Regionale era a conoscenza del fatto che il relativo giudizio ancora non si era concluso con sentenza passata in giudicato, avendo il predetto giudice del gravame ivi evidenziato che il giudizio iscritto al r.g. a. 18460/2013, riguardante l’avviso di accertamento presupposto, era stato deciso dalla Commissione Regionale con sentenza n. 2991/21/2018 pronunciata il 25 luglio 2016, depositata il successivo 30 agosto.
Orbene la sentenza impugnata, discostandosi dai principi sopra riportati, ha invece deciso la controversia, appunto nonostante la pendenza del giudizio inerente al pregiudiziale accertamento nei riguardi della società.
Proprio ciò costituisce l’essenza della censura proposta col primo mezzo, indipendentemente dal fatto che in sede d’appello fosse o meno possibile procedersi al potere di sospensione di cui all’art. 295 cod. proc. civ. (piuttosto che quello di cui all’art. 337 stesso codice).
Tuttavia, il coordinamento delle decisioni relative alle impugnazioni degli avvisi di accertamento notificati alla società e al suo socio è avvenuto dinanzi a questa Corte con la riunione dei rispettivi
giudizi, con la conseguenza che l’art. 295 c.p.c. ha perso ogni rilievo, per cui il motivo risulta inammissibile.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/73, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili prodotti dalla società contribuente trattandosi di società a ristretta base azionaria, stante l’applicabilità dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, non avendo il socio addotto argomenti di prova idonei a vincere la suddetta presunzione.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato «Error in procedendo. Violazione dell’art. 112, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4», si censura la sentenza impugnata, deducendo che, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., non si è pronunciata sull’eccezione relativa all’ingiustificata maggiorazione delle sanzioni dal medesimo reiterata nel giudizio di appello per contrastare l’impugnazione erariale sul punto.
Con il quinto motivo di ricorso, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1, quater d.P.R. 115/2002, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.», si censura, infine, la sentenza impugnata nella parte in cui la Commissione Tributaria Regionale, nell’accogliere l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ha dato atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio del contributo ai sensi dell’art. 13 citato.
Tutti tali motivi sono assorbiti dall’accoglimento del primo e del quarto motivo proposto dalla società e dal rigetto del secondo e del terzo degli stessi.
Con il quarto motivo di ricorso, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 2909 cod. civ., rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.», si sostiene
sempre da parte della difesa del COGNOME che la sentenza impugnata deve essere cassata, essendosi formato il giudicato esterno sulla posizione giuridica del socio RAGIONE_SOCIALE, perfettamente analoga a quella del ricorrente, relativamente all’annualità 2006, avendo la Commissione Tributaria Regionale di Potenza accertato, con sentenza depositata in data 31 ottobre 2014, passata in giudicato, l’infondatezza dell’avviso di accertamento relativo alla predetta L.T. s.r.l. per il suddetto anno di imposta, derivante dalla medesima verifica fiscale svolta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
10.1. Il motivo è infondato, non sussistendo alcun rapporto di pregiudizialità fra giudizi che riguardano la posizione di soggetti differenti.
Al postutto entrambe le sentenze impugnate devono essere cassate, in accoglimento dei motivi primo e quarto proposti dalla società RAGIONE_SOCIALE respinti gli altri, e parzialmente assorbito il terzo, nonché dall’assorbimento dei motivi secondo, terzo e quinto proposti dal COGNOME, respinti il primo e il quarto, con rinvio al giudice d’appello che provvederà a conformarsi ai principi qui espressi e altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento dei motivi primo e quarto, parzialmente assorbito il terzo e respinti gli altri motivi proposti da COGNOME; assorbiti i motivi secondo, terzo e quinto, inammissibile il primo e respinto il quarto dei motivi proposti dal COGNOME, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sez. staccata di Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà a decidere le controversie conformandosi ai principi qui affermati e altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025
Il Giudice estensore
(NOME COGNOME Il Presidente
(NOME COGNOME)