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Costi da fatture inesistenti: quando sono deducibili?

Una società cooperativa ha contestato un avviso di accertamento che negava la deducibilità di costi per acquisti documentati da fatture emesse da società “cartiere”. La Corte di Cassazione ha stabilito che, sebbene l’IVA non sia detraibile qualora il contribuente dovesse essere a conoscenza della frode, i relativi costi da fatture inesistenti sono deducibili ai fini delle imposte dirette (come l’IRAP), a condizione che siano stati effettivamente sostenuti. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame su questo specifico punto.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi da Fatture Inesistenti: la Cassazione Apre alla Deducibilità

Con l’ordinanza n. 7061/2024, la Corte di Cassazione torna su un tema cruciale per le imprese: la gestione e la deducibilità dei costi da fatture inesistenti. Questa pronuncia chiarisce un importante distinguo tra la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette, stabilendo che, anche in presenza di una frode fiscale, i costi realmente sostenuti dall’acquirente possono essere dedotti dal reddito d’impresa, a determinate condizioni. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa: L’accertamento fiscale e le società cartiere

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società cooperativa attiva nel commercio di animali vivi. L’Amministrazione Finanziaria contestava alla società la deduzione di costi per circa 61 milioni di lire (anno d’imposta 2000), sostenendo che le fatture corrispondenti fossero state emesse da società “cartiere”.

Le indagini della Guardia di Finanza avevano infatti rivelato che le società fornitrici erano mere entità fittizie, prive di una reale struttura aziendale, inserite in un meccanismo fraudolento finalizzato all’evasione dell’IVA. Di conseguenza, l’Ufficio recuperava a tassazione i costi, rideterminava la perdita d’esercizio dichiarata dalla cooperativa e richiedeva il pagamento di maggiori imposte (IRAP e IVA), oltre a interessi e pesanti sanzioni.

L’Iter Giudiziario: Dal primo grado alla Cassazione

L’iter processuale è stato complesso. In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione alla società, annullando l’accertamento. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in appello, ribaltava la decisione, accogliendo le tesi dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado ritenevano che l’Amministrazione avesse fornito prove sufficienti sull’inesistenza soggettiva delle società fornitrici e che la contribuente, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto accorgersi della frode.

La società cooperativa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali. Mentre i primi due motivi, di natura procedurale e relativi all’onere della prova sulla buona fede, sono stati respinti, il terzo motivo ha trovato accoglimento, cambiando le sorti del giudizio.

La Deducibilità dei costi da fatture inesistenti: il punto decisivo

Il cuore della questione, affrontato nel terzo motivo di ricorso, riguarda l’applicabilità dell’art. 14, comma 4-bis, della Legge n. 537/1993. Questa norma, nella sua formulazione più recente, stabilisce il principio della deducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti ai fini delle imposte sui redditi.

La società ricorrente ha sostenuto che, pur ammettendo la natura fraudolenta dell’operazione ai fini IVA, i costi per l’acquisto degli animali erano stati effettivamente sostenuti e, pertanto, dovevano essere considerati deducibili dal reddito d’impresa. La Corte di Cassazione ha ritenuto questa argomentazione fondata.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ribadito un principio ormai consolidato nella giurisprudenza tributaria. Esiste una netta distinzione tra il trattamento ai fini IVA e quello ai fini delle imposte dirette (come IRAP e IRES).

1. Ai fini IVA: La detrazione è negata se l’acquirente sapeva o, con la normale diligenza, avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’operazione fraudolenta. L’onere di provare tale consapevolezza spetta all’Amministrazione Finanziaria.
2. Ai fini delle imposte dirette: I costi da fatture inesistenti (per operazioni soggettive) sono deducibili se l’impresa dimostra che sono stati realmente sostenuti e che rispettano i principi di effettività, inerenza, competenza e certezza. La deducibilità è esclusa solo se i costi stessi sono serviti direttamente a commettere un reato.

Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che i giudici d’appello avevano omesso di valutare la questione della deducibilità dei costi sotto il profilo delle imposte dirette. Pur confermando l’indetraibilità dell’IVA, avrebbero dovuto verificare se la società cooperativa avesse effettivamente sostenuto le spese per l’acquisto del bestiame. Poiché questa valutazione non è stata fatta, la sentenza è stata cassata con rinvio.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza 7061/2024 conferma un importante baluardo per le imprese che, pur agendo in buona fede, si trovano coinvolte in frodi fiscali altrui. La decisione sottolinea che l’indetraibilità dell’IVA non comporta automaticamente l’indeducibilità del costo dal reddito. Le aziende possono difendere la deducibilità dei costi da fatture inesistenti dimostrando la realtà economica dell’operazione sottostante, ovvero che la spesa è stata effettivamente sostenuta e si riferisce a un’acquisizione reale di beni o servizi. Il caso torna ora alla Corte di giustizia di secondo grado, che dovrà riesaminare la vicenda attenendosi a questo fondamentale principio.

Quando l’Amministrazione finanziaria contesta l’uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, cosa deve provare?
L’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare due elementi: primo, che la società fornitrice è una “cartiera” fittizia; secondo, che l’acquirente era consapevole della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

È sufficiente per un’azienda dimostrare di aver pagato le fatture per provare la propria buona fede ai fini IVA?
No. Secondo la Corte, la prova della buona fede non può consistere nella semplice esibizione delle fatture e dei relativi pagamenti, poiché questi elementi possono essere essi stessi parte del meccanismo fraudolento. L’azienda deve dimostrare di aver adottato misure di diligenza concrete per verificare l’affidabilità del fornitore.

I costi relativi ad acquisti documentati da fatture soggettivamente inesistenti sono sempre indeducibili ai fini delle imposte dirette (es. IRAP)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che questi costi sono deducibili a condizione che siano stati effettivamente sostenuti e rispettino i principi generali di effettività, inerenza e competenza. La deducibilità è esclusa solo se i costi sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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